Le scarpe? Le compro in Brasile
17/12/2008
Belle, pratiche, economiche ed ecologiche. Le calzature brasiliane conquistano il mercato italiano. Non più unicamente infradito, ma scarpe di ogni tipo. Cronaca di un boom silenzioso e al femminile.
Le calzature verdeoro muovono alla definitiva conquista del mercato italiano. Il fenomeno non riguarda più solo le famose infradito in gomma, belle ma di poco valore, peraltro rivendute con margini del cinquecento per cento dagli scaltri commercianti nostrani. A invadere la penisola sono ora scarpe di elegante fattura e dal design ricercato, realizzate con materiali eco-compatibili e dal giusto prezzo. Un fenomeno decisamente al femminile, che interessa in misura poco significativa il segmento maschile. Non ostante parecchi marchi brasiliani in Italia risultino tuttora sconosciuti al grande pubblico, la loro diffusione è maggiore di quanto sembri. Controllate l'etichetta di quello stivale o di quel mocassino che avete comprato qualche tempo fa. Potrebbe essere "Made in Brasil".
Passati gli edonistici ottanta, tramontati gli indefinibili novanta, la parola d'ordine del nuovo millennio è «informalità». La calzatura brasiliana risponde a questa esigenza sia appagando il gusto che rispettando portafogli e sensibilità ecologica. La sua cliente di riferimento ama la praticità, anche e soprattutto quando vuole essere elegante. Un pubblico che comprende praticamente la totalità delle donne. Con origini e orizzonti sempre più globalizzati, la consumatrice italiana è meno schiava della griffe e più attenta alle proprie finanze. Ai suoi piedi ben si addicono questi aggraziati, comodi ed economici contrafforti, eventualmente trasformabili in armi di seduzione. Funzione ad essi intrinseca, quali consolidati accessori della naturale sensualità verdeoro. Da Praia do forte a Praia a mare, piante, alluci e calcagni martoriati trovano meritato sollievo. Da Botafogo a Bottanuco, il tacco alto si trasforma in rampa di lancio, cessando d'essere strumento di tortura. Da Vila Mariana a Villamarzana, caviglie, malleoli e polpacci vengono messi in vetrina senza sacrifici.
Secondo Abicalçados, associazione da cui provengono i dati di seguito citati e che riunisce le industrie brasiliane del settore, nel 2007 sono state acquistate in Italia 5,5 milioni di paia di calzature prodotte in Brasile. L'aumento rispetto all'anno precedente è stato del 33 per cento, con un fatturato che ha superato gli 83 milioni di dollari (+51,7 per cento). Il Brasile è terzo al mondo per volumi fabbricati. Esportatore sin dagli anni 60, oggi vende all'estero il trenta per cento della sua produzione (seicento milioni di dollari su un fatturato totale di quasi due miliardi), raggiungendo i mercati di centocinquanta Paesi.
Le proiezioni per la fine di quest'anno, ovviamente basate su dati parziali, dicono che l'Italia, crisi permettendo, potrebbe diventare il quarto o addirittura il terzo acquirente mondiale dell'industria brasiliana, dopo Stati Uniti e Argentina, sulla stessa linea di Gran Bretagna e Venezuela. Con una metafora, è possibile affermare che il Brasile è ormai ai nostri piedi. La scarpa brasiliana è generalmente identificata come prodotto "giovane" e "trendy" e le stesse definizioni valgono per chi lo indossa. Innegabilmente, l'immagine solare comunemente associata al paese si riflette su alcuni settori della sua economia, in particolare su quelli più voluttuari o, comunque, legati alla moda. La calzatura brasiliana è generalmente percepita come assolutamente contemporanea e, particolare per nulla disprezzabile, sostanzialmente accessibile quanto al costo.
Si devono in gran parte al Brasile sia l'affermarsi del sandalo basso e minimalista, da usare in tutte le occasioni, che il ritorno del tacco pieno a zeppa, vertiginoso eppure confortevole. L'ultima tendenza, in arrivo da São Paulo, è la sandália gladiadora, calzatura che ricorda quelle dei centurioni romani. La gamma dell'offerta verdeoro è molto ampia e copre praticamente ogni segmento del mercato. Peculiarità dei sistemi di fabbricazione applicati in Brasile è la loro spiccata manualità, che ha contribuito a mantenere un carattere sostanzialmente artigianale alla produzione. Una qualità che, seppure con le dovute cautele, viene generalmente riconosciuta anche alle aziende che sfornano volumi importanti. In Italia questa caratteristica alimenta una visione delle scarpe brasiliane molto migliore, ad esempio, di quella riservata ad articoli provenienti dall'estremo oriente.
La ricerca, che ha elaborato nuovi composti ecologici e il diffuso utilizzo di materiali autoctoni a basso impatto, sono ulteriori punti di forza. Lo sanno bene gli esperti di marketing di Rio e São Paulo. Nelle campagne pubblicitarie a sostegno dell'industria nazionale spiccano i riferimenti ambientali. Il verde è il vero colore-moda del duemila. Il nome di riferimento è Goóc, marchio creato negli Anni 80 da un immigrato vietnamita, oggi titolare di grandi fabbriche-laboratorio a São Paulo e a Feira de Santana (Ba). Nella produzione delle sue scarpe, l'azienda utilizza gomma rigenerata ricavata da pneumatici usati, pellami riciclati e altre materie prime di recupero. La sua comunicazione punta a esaltare il brand e a evocare nel consumatore il senso di appartenenza a una "tribù". Il prodotto finale, a volte, nemmeno appare.
Due confronti statistici risultano particolarmente interessanti, mostrando risultati antitetici. Il primo è quello tra esportazioni e importazioni brasiliane verso e dal nostro Paese, tradizionale produttore di calzature. L'impressionante rapporto numerico è di quasi cento a uno. Ai cinque milioni e mezzo di paia in uscita dal Brasile, si contrappongono le sole 58mila paia di scarpe italiane arrivate laggiù nel 2007. Anche il raffronto tra i prezzi medi all'ingrosso delle calzature è stridente. Quelle verdeoro costano circa 15 dollari il paio. Le italiane 141, le più care al mondo.
La tradizione calzaturiera si sviluppa in Brasile nell'ottocento, grazie all'opera dei primi calzolai giunti al seguito della corte portoghese. Proibite agli schiavi e riservate alle classi più abbienti, le scarpe di fattura europea all'epoca erano veri e propri status symbol. La stragrande maggioranza della popolazione usava ancora zoccoli, ciabatte, rozzi stivali o calzature da lavoro. La diffusione su piccola scala della scarpa moderna inizia con il proliferare dei laboratori di calzoleria a Rio de janeiro, sul finire del secolo XIX. Il decisivo impulso allo sviluppo dell'industria nazionale giunse, tuttavia, con l'arrivo degli immigrati tedeschi e italiani, a partire dai primi anni del novecento.
Il Rio Grande do sul fu il primo polo manufatturiero del Paese. Responsabile per il 38 per cento della produzione brasiliana, è tuttora il principale. Vi sono localizzati alcuni tra i distretti calzaturieri più attivi in Brasile, ciascuno formato da centinaia di piccoli centri. Quelli della valle del Rio dos Sinos, della valle del Paranhana e della Serra gaúcha sono i più famosi. Seguono, per importanza, gli Stati di São Paulo e Minas Gerais. Il primo con i distretti di Franca, Birigüí, Santa Cruz do Rio Pardo e Jaú. Il secondo con Nova Serrana, Uberlândia, Uberama e la zona metropolitana della capitale Belo Horizonte. Gli stati nordestini del Paraíba e del Ceará sono divenuti negli ultimi anni la nuova frontiera della calzatura, grazie a una serie di incentivi statali che hanno portato all'apertura di numerose fabbriche. In tutto il Brasile, gli stabilimenti sono oltre seimila, di varie dimensioni e capacità, per una produzione annua di 650 milioni di paia.
Arezzo è il più diffuso brand distributivo nazionale del settore, primo in America latina nel segmento "fashion" e principale formatore di tendenze del Paese. Opera in franchising, con marchio proprio, attraverso una rete di duecentoventi grandi negozi. In Italia per ora è presente solo marginalmente, grazie ad alcuni licenziatari.
Dal 2000, Abicalçados realizza azioni mirate di promozione internazionale sotto l'insegna "Brazilian footwear". Il piano, appoggiato da Apex Brasil, prevede la partecipazione di aziende nazionali alle principali fiere mondiali di settore, nonché l'organizzazione di eventi di presentazione e l'allestimento di missioni commerciali. In quest'ottica, erano una quarantina le collezioni brasiliane presenti all'ultima edizione del Micam, fiera milanese della calzatura conclusasi a fine settembre, dove la produzione del Brasile ha potuto usufruire di un'ulteriore, prestigiosa vetrina.
In un'area riservata della rassegna, grazie al progetto "Design Brazil", sono stati esposti i modelli di una quindicina di produttori tra cui il gaúcho Cavage, il mineiro Luiza Barcelos e il paulista Sylvie Quartara, destinati al comparto "donna fashion". Oltre a crescere di numero, quindi, le calzature brasiliane alzano il tiro e ampliano il target di riferimento, che ora non comprende più solo il segmento medio-basso ma anche quello di punta. Tra i prossimi appuntamenti italiani vi sono l'Expo Riva Schuh invernale di Riva del Garda, a gennaio 2009 e il Micam primaverile, a marzo.
Parlando di marchi verdeoro, ve ne sono alcuni che in Italia godono di notorietà superiore alla media. È il caso di Melissa, linea in plastica e gomma fabbricata da Grendene, resa famosa già negli anni 70 dai protagonisti della novela "Dancin' days", che la indossavano. La casa-madre cearense produce circa quattrocento diversi modelli e si affida a testimonial popolarissime, come le cantanti di axé Ivete Sangalo e Cláudia Leitte o la super-modella Gisele Bündchen. Fondata a Novo Hamburgo (Rs) e attiva dal 1991, Via Uno ha invece aperto nel nostro Paese dal 2004 a oggi una decina delle sue oltre duecento boutique monomarca, o flagship store. Dal Piemonte alla Sicilia, passando per Milano, Genova e Roma. Oltre a scarpe di ogni tipo, la casa propone accessori e bigiotteria. Novità 2009 saranno i "Summer boots", stivaletti estivi in camoscio leggero.
La crescente diffusione in Italia delle calzature brasiliane è un fenomeno che si accompagna al pessimo momento attraversato dalla nostra industria. Dopo cinque anni consecutivi segnati da riduzioni dei volumi, per un totale 2007 inferiore del 30 per cento rispetto a quello del 2003, le previsioni di quest'anno fanno ipotizzare un andamento addirittura peggiore. Questo a causa degli scenari internazionali interlocutori, della caduta verticale dei consumi interni e della diffusione del prodotto straniero, brasiliano compreso.
Heitor Klein, numero uno di Abicalçados, ci lancia un'ancora di salvataggio: «Oggi – ha recentemente dichiarato il dirigente – il primo produttore ed esportatore mondiale è la Cina. Il Brasile è il terzo produttore e il quinto esportatore, dopo l'Italia che è ancora quarta. Ma nei prossimi cinque anni i cinesi dovranno ridurre la loro produzione a causa dei crescenti costi della manodopera locale, nonché delle leggi che tutelano il lavoro e l'ambiente. Inoltre, su un palcoscenico mondiale caratterizzato da eccesso di domanda, ci saranno solo due grandi attori in grado di rispondere unendo le forze, cioè l'arma del prezzo e quella della qualità: Brasile e Italia». Ci sarebbero quindi spazi di cooperazione tra italiani e brasiliani. In questo ambito possono essere inquadrate alcune recentissime iniziative, come la partnership che ha portato al successo del brand Paraná, nato dall'unione fra creatività italiana e produzione brasiliana. Si tratta di una linea di scarpe sportive multiuso, realizzata in Brasile utilizzando materiali elastici e suole in caucciù amazzonico, commercializzate da una società con sede a Roma.
Costi onesti e giusto rapporto qualità-prezzo sono tendenze diffuse all'interno della produzione brasiliana. Considerazione sacrosanta, fatte ovviamente le dovute eccezioni. Ad esempio quella rappresentata dalle opere d'arte da mille euro il paio firmate dalla paulista di origini tedesche Franziska Hübener e prodotte in Brasile da una cinquantina di artigiani, oggetto del desiderio di signore-bene e rampolle dell'alta società italiana in vacanza a Capri o in Costa Smeralda.
Non possiamo dimenticare, infine, la grande passione verdeoro, cioè le popolarissime ciabatte-icona "Havaianas". São Paulo Alpargatas, multinazionale che le produce in decine di modelli, è da qualche tempo l'azienda leader del settore calzaturiero in America latina. Acquisendo il 25 ottobre scorso Alpargatas Argentina, la sua capacità produttiva complessiva è salita a 250 milioni di paia, con un fatturato consolidato di 2,1 miliardi di real annui, filiali in ottanta paesi e 19mila dipendenti.
Fonte:
Brasiliando/Musibrasil
Antonio Forni