Le riforme che fanno bene al Paese

09/01/2009

Superbonus pensionistico e legge Biagi sul lavoro: due esempi di come si può governare venendo incontro agli interessi di lavoratori e cittadini. Con pragmatismo e senso della misura.

Quasi ventiseimila domande in neppure tre mesi hanno convinto il ministro del Welfare, Roberto Maroni, a prorogare il bonus per chi non va in pensione di anzianità ad oltre il 2007. E ad estenderlo a chi resta al lavoro pur avendo raggiunto i 65 anni di età, data della pensione di vecchiaia: in questo caso sarà necessario anche il consenso del datore di lavoro.

BONUS DA PROROGARE
È bene chiarire che per ora si tratta di promesse (per giunta prenatalizie), ma l’orientamento è quello. Il bonus è la corresponsione in busta paga dei contributi previdenziali ai dipendenti che abbiano raggiunto i requisiti per la pensione di anzianità: 35 anni di lavoro e 57 di età anagrafica. Dovrebbe scadere il 31 dicembre 2007, quando, con la riforma, l’età anagrafica salirà a 60 anni, e nel 2010 a 61. Ma le 25.510 domande giunte finora, un boom, hanno convinto il governo del successo di questo incentivo.

La caratteristica del bonus è infatti la sua semplicità. Mette in tasca al lavoratore l’intero importo dei contributi, il 32,7 per cento della retribuzione lorda; ed essendo esentasse la cifra vale intorno al 40 per cento. Difficile ottenere aumenti di stipendio simili.

A CHI CONVIENE
In cambio il dipendente «congela» la pensione al momento in cui rinuncia ai contributi: vale a dire che quando la percepirà gli mancheranno gli ultimi anni di versamenti, quelli in cui ha percepito il bonus.
Si tratta di fare due calcoli abbastanza facili: sommare i bonus percepiti e sottrarre la decurtazione della pensione futura.

Più alta è la retribuzione, più conviene chiedere il bonus, perché un incentivo robusto copre qualsiasi decremento pensionistico. Senza contare il fatto che negli anni nei quali si resta al lavoro si percepisce lo stipendio pieno, con gli eventuali aumenti e automatismi contrattuali, i quali incidono a loro volta sul bonus.

OCCUPAZIONE RECORD
Un’altra notizia di questi giorni è l’ulteriore calo della disoccupazione: è scesa al 7,4 per cento, un livello che ricorda gli anni Settanta; nettamente al di sotto della media europea. Questa cifra è stata interpretata diversamente dalla maggioranza e dall’opposizione.
Per la prima è un successo e la conferma della bontà delle politiche sociali. Per l’opposizione ed i sindacati si tratta dell’effetto del moltiplicarsi di lavori precari.

Resta il fatto che c’è più gente, in prevalenza ragazzi, che trova un impiego e una retribuzione. Il problema dei precari esiste, ma è sperabile che come tutti i fenomeni nuovi troverà i propri antidoti (esempio, le banche si stanno finalmente attrezzando per concedere credito anche a chi non ha un posto fisso).

PRAGMATISMO E POLEMICHE
Anche in questo caso si tratta dell’effetto di riforme e innovazioni, partite già con i governi dell’Ulivo, che sono state immediatamente comprese dai cittadini. La logica del pragmatismo, e magari del buon senso, ha avuto la meglio sulle polemiche.

Non altrettanto è accaduto con altre leggi, a cominciare dalla riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Un anno perso per una battaglia che non ha prodotto alcun effetto e di cui probabilmente non c’era la necessità, se non quella di dare un segnale politico a favore della Confindustria.
Così come l’ostilità al bonus per le pensioni è giunta in prima battuta dai sindacati (contrari alla riforma) e in secondo dalle aziende, che si sono trovate un ostacolo nello smaltire il personale anziano senza pagare dazio.

Non è evidentemente con i segnali, in un senso o nell’altro, che va avanti un Paese. Tanto più se questi segnali non vengono capiti, anzi vengono del tutto rigettati, dai diretti interessati: lavoratori e cittadini.

Panorama.it
14/1/2005