Le mucche si mangiano l’Amazzonia

09/01/2009

La deforestazione è cresciuta del 6 per cento rispetto allo scorso anno e si tratta del tasso più alto dal 1988. E il presidente di sinistra Lula ha visto scappare dalla maggioranza di governo i Verdi indignati e si vede puntare addosso il dito di Wwf e Greenpeace.

Il primo a meravigliarsi è stato proprio lui, Luiz Inácio Lula da Silva. Il presidente del Brasile non se l’aspettava. I dati diffusi proprio dal governo brasiliano, raccolti annualmente dall’Istituto di Ricerca Spaziale, sono chiari: la foresta amazzonica, il più grande polmone della Terra, per il 70 per cento in territorio brasiliano, ha perso 26.130 chilometri quadrati da agosto dello scorso anno. Una superficie di poco superiore all’intera Sicilia. La deforestazione è cresciuta del 6 per cento rispetto allo scorso anno e si tratta del tasso più alto dal 1988, da quando, cioè, sono iniziati i monitoraggi.

I colpevoli? Soia, bovini e strade. Tutto ciò su cui, al momento, si basa l’economia brasiliana. Se la deforestazione è cresciuta del sei per cento, infatti, nello stesso periodo la crescita economica del Brasile è stata del 5 per cento.

LULA E I VERDI IN FUGA
Ed ecco che il mondo intero torna a guardare, preoccupato, il Brasile e le sue politiche ambientali. Lula e i suoi sforzi per preservare la salute dell’intero pianeta. Lula che adesso ha visto scappare dalla sua maggioranza di governo i Verdi indignati e si è visto puntare addosso il dito di Wwf e Greenpeace che chiedono: “Come è possibile voler contenere la deforestazione e allo stesso tempo promuovere con ogni maniera la crescita accelerata dell’agrobusiness?”

Se il primo a sorprendersi è stato Lula, che si aspettava un tasso di deforestazione non superiore a quello dello scorso anno, è, infatti, perché il suo governo, alle politiche ambientali ci tiene davvero. A cominciare dalla scelta del ministro per l’Ambiente, Marina Silva, che di boschivo non ha solo il cognome ma anche un’infanzia degna dei romanzi di Gabriel García Márquez.

DAL CAUCCIU’ AL MINISTERO
Cresciuta nella giungla a raccogliere caucciù, conquistata la poltrona ministeriale, Marina Silva, ha combattuto con tutte le sue forze la deforestazione. Piccola e riccioluta, è conosciuta nel mondo come l’erede di Chico Mendes, il leader del sindacato degli estrattori del lattice di gomma che combatteva per uno sfruttamento sostenibile della foresta e che fu assassinato nel 1988.

Marina Silva si è impegnata per l’aumento delle zone protette, il sostegno alle attività pro foresta e la caccia ai latifondisti spietati. “Ma i risultati non arrivano in una notte” sospira adesso davanti alle devastanti cifre dall’Istituto di Ricerca. E davanti al suo sogno: una riforma agraria che dia ai milioni di contadini ancora senza terra un campo da coltivare, e che implementi nuovi modelli di sviluppo ecologicamente sostenibili, nel rispetto delle comunità tradizionali.

UN FAR WEST DI ILLEGALITA’
Da anni, insomma, i governi brasiliani cercano rimedi, attraverso le tecnologie (come il monitoraggio via satellite) e le multe. Ma buona parte della regione amazzonica resta una sorta di Far West. Lo dimostra il recente omicidio di suor Dorothy, la missionaria americana uccisa nel Parà perché si opponeva ai predatori di terre pubbliche.

L’Amazzonia ha subito gli effetti di una espansione rilevantissima di strade e reti energetiche. Il pascolo è reso facile dal basso costo della terra. E il costo è basso perché gli allevatori possono occupare illegalmente la terra statale senza essere perseguiti. Altrettanto facile è deforestare più del 20 per cento delle proprietà, limite prescritto dalla legge.

L’IMPEGNO DI LULA
Proprio il 15 aprile, il presidente Lula aveva annunciato un piano per prevenire e controllare la deforestazione con una spesa di 135 milioni di dollari in attività che mirano a ridurre la deforestazione: miglior pianificazione della terra, maggiore efficacia della legge forestale, monitoraggio sulle operazioni di taglio, rivalutazioni dettagliate degli investimenti sulle infrastrutture pubbliche, maggiore appoggio per i territori indigeni e per lo sfruttamento forestale gestito dalle comunità locali, maggiore supporto per l’agricoltura sostenibile e più controlli sui crediti per gli allevatori.

Ma è un piano che non funziona, dicono Wwf e Greenpeace, perché si basa su un’azione interministeriale dove gli interessi sono divergenti: i ministeri economici tirano l’acqua al mulino degli imprenditori. “Una politica di controllo delle foreste non serve, dicono gli “Amici della terra” di San Paulo. “Dobbiamo avere il mercato dalla nostra parte”. E propongono invece la loro ricetta: tasse sul legname, fondi per rendere produttiva la foresta, dall’ecoturismo alla creazione di prodotti eco-compatibili.

I BOVINI CONTRO LA GIUNGLA
Qualche mese fa, il Centre for International Forestry Research (Cifor) individuava già gli allevamenti di bovini tra i fattori responsabili della perdita di zone di giungla. Il Brasile è il primo esportatore mondiale di carne bovina, con un fatturato triplicato dal 1995.

La crescita più ragguardevole (dai 26 milioni di animali del 1990 ai 57 del 2002) è nell’Amazònia Legal, territorio composto da nove Stati, che abbraccia la più vasta porzione di biodiversità della Terra. Molti capi pascolano nel Mato Grosso, in Parà e in Rondonia, dove le foto satellitari indicano la maggiore emorragia di alberi. Il diffuso timore della mucca pazza e della Sars in altri Paesi e la svalutazione della moneta locale hanno fatto sì che questo mercato crescesse a dismisura.

IL MAGGIORE IMPUTATO: LA SOIA
L’altro imputato è la soia in gran parte destinata all’alimentazione dei capi degli altri continenti. La coltura brasiliana, spinta dall’enorme sviluppo del mercato mondiale, dai prezzi eccellenti, dai significativi investitori stranieri, da alcuni grandi produttori locali e dal terreno piatto e regolare che resta dopo i grandi incendi, sta avanzando dal Mato Grosso verso l’Amazzonia del nord, ma anche in Parà, Roraima, Rondonia e nell’estremo sud dello Stato di Amazonas.

I sojeros sono approdati sul grande fiume, a Santarem, cittadina a metà dei 2.500 chilometri che separano Manaus dalla foce del Rio delle Amazzoni. La realizzazione di una rete di terminal fluviali, per imbarcazioni che da sole spostano l’equivalente di mille camion di soia, ha ridotto i tempi e le spese. Entro due anni il Brasile supererà gli Stati Uniti come maggior produttore mondiale di soia. Come esportatore l’ha già fatto.

LA FORESTA AMAZZONICA, TRA NUMERI E CURIOSITA’
Cinque milioni di chilometri quadrati verdi. Trentamila tipi di piante e tanto ancora da scoprire

La foresta amazzonica è l’ecosistema più ricco del pianeta, un enorme filtro per l’atmosfera, un manto verde di cinque milioni di chilometri quadrati. Ed è, fin dai tempi dei conquistadores, una fonte inesauribile di ricchezze. Da quando l’uomo ha iniziato l’attacco all’Amazzonia sono spariti 680 mila chilometri quadrati, Francia e Portogallo messi insieme. Della foresta pluviale originaria resta circa l’82 per cento.

Un quinto dell’acqua dolce del mondo scorre per i fiumi dell’Amazzonia. Tra cui il Rio delle Amazzoni che si snoda per 6.868 chilometri. In un ettaro di foresta si possono trovare oltre 200 specie di alberi.

L’immensa quantità di specie animali e vegetali che vivono in Amazzonia è ancora in gran parte sconosciuta. Gli scienziati stimano che solo il 40 per cento degli insetti presenti siano conosciuti. Fino a oggi sono stati identificati oltre 30 mila tipi di piante, ma pare che altre 20 mila siano ancora da scoprire. Nel corso degli anni Novanta, sono state scoperte tre nuove specie di scimmia, due di volatili e decine di specie di anfibi e pesci.

Panorama.it
3/6/2005