Le manifestazioni portano il vento delle riforme in Brasile

01/08/2013

Di Gianandrea Rossi per ItalianiEuropei

A più di un mese dalle imponenti manifestazioni che hanno attraversato gran parte del Brasile, con una ricaduta mediatica globale, cosa è cambiato nel Brasile di oggi, di nuovo su tutti i giornali del mondo per la visita di papa Francesco?

A oltre vent’anni dagli ultimi episodi del genere, quando i brasiliani andarono in piazza per la destituzione del presidente Collor de Mello, centinaia di migliaia di brasiliani sono scesi a manifestare in più di ottanta città contro l’annuncio dell’aumento del biglietto dei trasporti pubblici a San Paolo. Le dimostrazioni hanno avuto luogo in concomitanza con l’avvio delle partite della Confederations Cup (che hanno fatto da formidabile cassa di risonanza) e hanno rapidamente conquistato la simpatia di un’ampia fascia della cittadinanza (Datafolha ha stimato che i manifestanti godevano del 75% di consenso) attorno a una piattaforma costituita da rivendicazioni semplici: il miglioramento dei servizi pubblici, il rifiuto degli sprechi del denaro pubblico (sperperi che si nasconderebbero dietro gli investimenti per i Mondiali di calcio del prossimo anno e le Olimpiadi del 2016) e contro la corruzione, in genere, della classe politica. Complessivamente la protesta è stata pacifica, a eccezione di alcuni e limitati scontri con le forze dell’ordine, soprattutto con la polizia alle dirette dipendenze dei governatori degli Stati. Atti di vandalismo sono stati denunciati a Rio de Janeiro e Porto Alegre.

A una prima riflessione politica colpisce subito l’assenza di una guida del movimento, fattore che poi probabilmente ne ha determinato la progressiva attenuazione. In assenza di una vera regia politica, i dimostranti scesi in piazza hanno trovato coordinamento solo nella forza del movimento sociale Passe livre (biglietto gratis per i trasporti pubblici), nato nelle università pubbliche di San Paolo, oggi radicato soprattutto negli atenei ed esploso attraverso le reti sociali, con un formato che vincola le proteste ad alcune recenti manifestazioni a forte caratterizzazione mediatica, diffuse in Europa nei mesi più acuti della crisi (ad esempio gli Indignados). Si è trattato, dunque, di manifestazioni antipartitiche, incentrate su una forte critica del sistema di potere attuale, incapaci però di esprimere una piattaforma di proposta.

Il governo, evidentemente colto di sorpresa da questo “movimento”, dopo i primi giorni di silenzio e imbarazzo, ha elaborato una strategia per cercare di interagire positivamente con quanto stava accadendo. Dai primi interventi pubblici di Dilma Rousseff è emersa, infatti, la disponibilità del governo “ad ascoltare” le voci di protesta delle centinaia di migliaia di cittadini brasiliani, ai quali la presidente ha promesso di mantenere «l'impegno per la trasformazione della società». La Rousseff ha cercato di valorizzare le manifestazioni, apprezzandone il carattere sostanzialmente “pacifico”, condannando gli “atti isolati di violenza” ed esaltando «la grandezza delle manifestazioni» come «prova dell'energia della nostra democrazia, la forza della voce di strada, il senso civico della nostra popolazione». Pochi giorni dopo sono arrivate le prime risposte. L’Amministrazione di San Paolo (che a differenza del governo dello Stato di San Paolo è in mano al Partido dos Trabalhadores) ha fatto subito dietrofront sull’aumento tariffario dei trasporti pubblici, mentre il governo ha divulgato le informazioni riguardanti i finanziamenti (12 miliardi di dollari), relativi agli eventi sportivi del prossimo biennio, duramente criticati nelle manifestazioni “come sprechi”. A tal proposito, una nota di Planalto ha chiarito ogni dubbio in merito, sottolineando la portata propagandistica di questi slogan: i finanziamenti pubblici stanziati per i Mondiali non hanno riguardato gli stadi, ma «infrastrutture come porti, aeroporti e strade, che miglioreranno la vita dei cittadini»; la realizzazione degli stadi, invece, non ha comportato alcuna spesa pubblica ma è stata finanziata attraverso il BNDS (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social), con finanziamenti agevolati a privati. Inoltre, sempre secondo la nota della presidenza della Repubblica, «la realizzazione di grandi eventi rappresenta per il paese un’opportunità per stimolare gli investimenti nelle infrastrutture e nei servizi, migliorando le città e la qualità della vita della popolazione brasiliana».

Le manifestazioni di queste settimane sono state amplificate, ricevendone enorme visibilità, dai media brasiliani, dalle televisioni e dai giornali, rimbalzando sulle principali testate di tutto il mondo. In molti casi si è fatta largo l’idea di un “tramonto del modello di sviluppo dell’era Lula”, basato essenzialmente sull’incentivo ai consumi, sostenendo che le proteste – sommate alla fase di rallentamento della crescita, all’aumento dell’inflazione e all’avvio di politiche monetarie – testimonierebbero un forte campanello d’allarme per il paese. Fonti più vicine al governo (ma non solo) hanno invece lanciato un messaggio diverso, sostenendo che il Brasile di oggi, unico dei BRICS a vantare un autentico regime democratico, con queste manifestazioni mostra la solidità e la maturità del suo sistema politico. «Per la prima volta nella nostra storia un governo ha affrontato il problema della nostra società: la disuguaglianza. E ciò è avvenuto ampliando e non restringendo le libertà democratiche» ha commentato Marco Aurélio Garcia, dirigente del PT e consigliere speciale della Presidenza, sottolineando come milioni di nuovi cittadini, usciti dall’indigenza grazie alle politiche economiche e sociali intraprese negli ultimi vent’anni da diversi governi, siano oggi consapevoli dei loro diritti e li rivendichino apertamente e democraticamente.

Oltre a mostrare la solidità dell’unico BRICS che può vantare una tale maturità democratica da ammettere al suo interno un così ampio movimento di protesta, questa vicenda ha inoltre stimolato il rilancio di un’agenda importante di riforme. Nell’intento di abbassare la tensione, la presidente Dilma Rousseff ha infatti intrapreso un’inedita procedura di consultazione con tutti i governatori dei ventisette Stati e i sindaci delle ventisei maggiori città brasiliane, al fine di mettere a punto una politica condivisa sul tema dei trasporti e di fare il punto per il rilancio dei servizi in genere. Successivamente ha convocato a Planalto le rappresentanze dei movimenti sociali che hanno animato le strade del Brasile nelle ultime settimane. Ha poi riunito i leader dei dieci partiti di maggioranza per definire una strategia comune. Al termine di questo processo di consultazioni, la presidente ha elaborato una proposta di rilancio di riforme per il paese, articolata in “cinque patti”.

Il primo, prevede l’impegno ad aumentare la responsabilità fiscale (per garantire la stabilità economica e frenare l’inflazione). Il secondo, si concentra sulla «realizzazione di un’ampia riforma politica, che ampli gli orizzonti della cittadinanza». Il terzo patto si riferisce all’area della salute, attraverso una «accelerazione degli investimenti già previsti e la contrattazione di medici stranieri affinché prestino servizio nelle città e nelle regioni che maggiormente necessitano di attenzione». Il quarto patto riguarda il problema del trasporto pubblico, detonatore delle proteste: la Rousseff ha riconosciuto che «nonostante i molti investimenti fatti negli ultimi anni, rimane carente la qualità dei servizi» e ha rilanciato un «gran patto nazionale tra governo, governatori e sindaci», che aiuti ad accelerare la costruzione di metropolitane, treni e altri mezzi di trasporto pubblico. Ha inoltre invitato sindaci e governatori a studiare nuove agevolazioni fiscali, simili a quelle già concesse dal governo federale, come lo sgravio fiscale di gasolio ed elettricità per i mezzi di trasporto pubblici. Il quinto patto, infine, riguarda l’istruzione. Il governo punta a migliorare i servizi e a tal fine ha ottenuto l’approvazione di una legge sulle royalties petrolifere: il fondo costituito con le royalties petrolifere sarà destinato per il 75% al settore dell’educazione e per il 25% a quello della salute. Nel giro di pochi giorni è stata inoltre approvata un’importante riforma sanitaria, che mira ad aumentare il numero dei medici con programmi di scambio internazionali. Infine, il Congresso ha approvato un’importante variazione della definizione di reato di corruzione, che verrà d’ora in poi considerato “reato grave” alla pari degli omicidi.

Ma la conseguenza più importante delle manifestazioni è stata la nuova offensiva politica messa in campo per sedare l’imponente moto di piazza da parte di una presidente, spesso criticata per la sua eccessiva “concentrazione” su temi amministrativi. La Rousseff ha colto l’occasione per rilanciare la sua azione proprio su questo terreno e, nel secondo patto lanciato al paese, ha riproposto il nodo della riforma politica, considerata da molti osservatori come la “madre di tutte le riforme”, che nessun governo post dittatura è mai riuscito ad affrontare. Così, mentre l’opposizione si è limitata a sponsorizzare le istanze sollevate dai manifestanti e le critiche mosse al governo (senza, però, riuscire a rappresentale, come lo stesso ex presidente Fernando Henrique Cardoso ha rimarcato, sottolineando questa debolezza del Partido da Social Democracia Brasileira e di tutta l’opposizione), Dilma Rousseff ha avviato una campagna per indire un “plebiscito”, attraverso il quale consultare la popolazione brasiliana in merito alle priorità che occorrerà includere nella riforma politica che il Congresso dovrà approvare. Tra i nodi più controversi quello della riforma del meccanismo di finanziamento delle campagne elettorali e quello del sistema elettorale. La stessa presidente, intervenendo a una trasmissione radiofonica, ha sottolineato l’importanza di indire questa consultazione prima che il Parlamento proceda con la votazione di una riforma costituzionale, ciò «consentirà di dare la parola ai cittadini su temi cruciali: vogliamo sapere cosa pensano i cittadini, ad esempio, su ciò che deve cambiare rispetto al metodo di elezione dei loro rappresentanti, e sui metodi di finanziamento delle campagne elettorali».

Così, se da un lato la portata delle manifestazioni si è drasticamente ridotta, gli effetti determinati in termini di rilancio politico del dibattito interno sono notevoli. La prospettiva di questa riforma apre molti scenari interessanti e inattesi. Un cambiamento della legge elettorale brasiliana potrebbe consentire un’evoluzione dell’attuale sistema politico, in primis rispetto alla forma di finanziamento dei partiti e della politica e, in secondo luogo, per quanto concerne il metodo di votazione, proponendo il superamento dell’attuale schema proporzionale. Diversi leader politici e membri del governo, come lo stesso ministro segretario generale della presidenza della Repubblica, Gilberto Carvalho, hanno ribadito che «occorre superare il finanziamento privato delle campagne elettorali, per sradicare il nodo della corruzione», sostenendo che «solo il finanziamento pubblico dei partiti può garantire la trasparenza delle campagne».

Cosi, mentre alcuni sistemi politici della vecchia Europa per “modernizzarsi” iniziano a studiare metodi di riduzione del finanziamento pubblico della politica, il gigante sudamericano ha trovato una sua via di rafforzamento della partecipazione popolare proprio rilanciando sul tema cruciale del finanziamento pubblico della politica come strumento di democrazia. E questa inattesa “apertura” ha dato la forza alla presidente di ridefinire gli equilibri della propria maggioranza, a fronte delle tensioni con alcuni settori più conservatori della maggioranza, come il Partido do Movimento Democrático Brasileiro, tradizionalmente ancorato al vecchio schema di finanziamento.

In tal senso vanno letti i tentativi dello stesso vicepresidente, Michel Temer del PMDB, di frenare la proposta di consultazione popolare voluta dalla Rousseff e di chiedere, in cambio, un «consistente rimpasto ministeriale per aumentare il peso del PMDB nell’esecutivo». I giornali di questi giorni sostengono che dopo la riforma politica potrebbe infatti dimettersi Ideli Salvatti, ministra delle Relazioni istituzionali (considerata da molti “movimentisti” come un ostacolo al processo di riforme). Mentre Dilma Rousseff ha smentito, per il momento, qualsiasi rimpasto di governo (per evitare di alterare il difficile equilibrio interno alla maggioranza proprio in un momento di così alta contestazione sull’esecutivo), appare probabile nei prossimi mesi una riduzione dei ministeri.

Ad oggi non è ancora chiaro se il “plebiscito” si terrà entro termini utili affinché il Parlamento possa approvare delle riforme valide per le elezioni del 2014 (se non si terrà entro agosto, slitteranno infatti i termini). Ma la vittoria politica del governo, dopo le imponenti manifestazioni, sembra evidente: aver difeso il diritto della popolazione a partecipare e condividere scelte così importanti, come dimostrato dai recenti storici incontri a Planalto della Rousseff con gli esponenti di numerosi movimenti (dal Movimento Sem Terra ai movimenti per i diritti degli omosessuali, a quelli indigeni), ha ripagato politicamente.

Anche se i più recenti sondaggi mostrano una Dilma Rousseff pesantemente indebolita in termini di popolarità (secondo un sondaggio di Datafolha sarebbe scesa ai minimi storici, con una caduta di 27 punti percentuali, dal 57% di marzo, all’attuale 30%), la presidente mantiene comunque la leadership nelle intenzioni di voto (secondo IBOPE otterrebbe il 30% a fronte del 58% misurato prima delle manifestazioni), seguita da Marina Silva con il 22% e da Aécio Neves con il 13%). Si avvicina dunque una lunga e tesa campagna elettorale (in cui molto probabilmente si arriverà al secondo turno) in cui Dilma Rousseff, seppur “indebolita”, appare comunque più solida nella sua “tenuta” sul piano politico, all’indomani della discesa in piazza di questo storico movimento di massa che ha mostrato al mondo la solidità democratica di un paese in eccezionale trasformazione.

 

 

Fonte:
affariitaliani.it