Le grandi sfide del Brasile

01/09/2014

i è parlato moltissimo negli ultimi mesi del Brasile come attore globale emergente grazie alle positive prestazioni economiche degli anni passati. Il gigante sudamericano è alla ricerca di un posto tra le grandi potenze a livello internazionale, ma la combinazione tra la diminuzione della crescita economica e le problematiche sociali fanno pensare che l’obiettivo sia ancora difficile da raggiungere.

ECONOMIA E GRANDI EVENTI SPORTIVI – Il prestigio internazionale del Brasile si riflette nella scelta di organizzare alcuni tra i più grandi eventi sportivi: i Mondiali FIFA appena conclusi e le prossime Olimpiadi nel 2016. La spesa per i Mondiali di  calcio è stata di circa 8,5 miliardi di euro (0,5% del PIL) e quella stimata per i Giochi olimpici è di circa 4 miliardi di euro (0,2% del PIL). Il costo della realizzazione di questi eventi risulta minimo se rapportato alla grandezza dell’economia del Brasile, nonostante le spese per la costruzione delle infrastrutture necessarie per i Mondiali siano state molto più alte di quanto preventivato. Ciò che per ora si può dire rispetto alla Coppa del mondo è che l’impatto delle grandi opere è stato minore del previsto: ci si attende un incremento aggiuntivo del PIL limitato, nell’ordine dello 0,5%. L’altro fattore che sta rallentando la crescita brasiliana è l’aumento dell’inflazione, già in atto da mesi, che ha superato il 6%. Per il momento l’inflazione è ancora contenuta nella banda di oscillazione del 2% tollerata dall’inflation targeting (che la Banca centrale brasiliana ha fissato al 4,5% per quest’anno), ma il trend è in preoccupante rialzo.

VIOLENZA SOCIALE – Proprio l’aumento dell’inflazione e le spese affrontate dallo Stato per organizzare la Coppa del mondo FIFA hanno portato parte della popolazione a manifestare contro il Governo. Le motivazioni vanno ricercate nella frattura esistente all’interno della società brasiliana: è la sesta economia mondiale per estensione, ma la redistribuzione delle risorse va a beneficio solo di una parte della popolazione, lasciando il resto in condizioni di estrema povertà. Qui vanno ricercate le motivazioni delle manifestazioni messe in atto nell’ultimo anno, mentre la repressione delle Forze dell’ordine ha fatto soltanto aumentare la rabbia verso un sistema che viene percepito come ingiusto e incapace di soddisfare le necessità della parte più vulnerabile della società.

ELEZIONI IN VISTA – Dilma Rousseff si ricandiderà alle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo ottobre. L’indice di gradimento della Presidente è sceso al 37%, come conseguenza del malcontento generale per l’alta spesa pubblica per i Mondiali di calcio, l’aumento dell’inflazione e la scarsità di finanziamenti per educazione, trasporti e sanità. È difficile fare delle previsioni, però sembra comunque che la frustrazione di una parte della popolazione, espressa attraverso le manifestazioni dell’ultimo anno, insieme alla mancata vittoria della Coppa del mondo FIFA, avranno un’influenza probabilmente non decisiva sui risultati elettorali. Si deve comunque tenere in conto il costante appoggio dell’ex presidente Lula a Rousseff, fattore che aiuterà quest’ultima a guadagnare voti rispetto agli avversari. La sfida elettorale potrebbe regalare un esito del tutto imprevedibile fino a poche settimane fa, dal momento che la morte in un incidente aereo di Eduardo Campos, candidato del Partito socialista, ha riaperto le porte a Marina Silva, già ministro dell’Ambiente durante l’era Lula. Silva, che gode di ampi consensi per le sue battaglie sociali e ambientali, è in costante crescita nei sondaggi e potrebbe seriamente mettere in dubbio la vittoria di Rousseff in caso di un (molto probabile) ballottaggio.

POTENZA EMERGENTE – Il Brasile rimane la maggiore potenza in Sudamerica, ruolo che si è guadagnato sia grazie all’espansione economica degli anni passati, sia grazie ad azioni politiche concrete a livello regionale. È stato proprio il Brasile a dare l’impulso per la creazione dell’Unasur, prima Organizzazione regionale di natura politica che riunisce dodici Paesi dell’area. Il Brasile fa sentire il proprio peso anche all’esterno dell’America latina: infatti dal 14 al 16 luglio scorso ha ospitato il sesto summit dei BRICS, evento che ha permesso a Rousseff di rilanciare l’immagine del Paese come potenza emergente a livello internazionale. Inoltre il Brasile è membro del G20 ed è l’attore che chiede esplicitamente cambiamenti all’interno del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Chiaramente, la preminenza del Brasile a livello regionale e internazionale si spiega tenendo in conto diversi fattori: la grande crescita economica e le azioni politiche concrete sono state gli ingredienti principali della crescita del peso internazionale di questo Paese. In secondo luogo si devono ricordare altri due elementi non meno importanti: da un lato la perdita di rilevanza (sia politica che economica) dell’Argentina, dall’altro la diminuzione di interesse per la regione da parte degli Stati Uniti hanno permesso al Brasile di crescere e accrescere il proprio potere relativo.

‘RAINBOW DIPLOMACY’ – Questa strategia diplomatica segue la logica dei cerchi concentrici, di modo che l’influenza di un Paese passi dal contesto sub-regionale a quello internazionale grazie allo sfruttamento del soft power. E proprio attraverso azioni di soft power il Brasile è riuscito ad andare oltre i benefici della crescita economica: quest’ultima, infatti, da sola non sarebbe bastata a dare al Paese lo spazio che si è guadagnato a livello internazionale. La creazione di alleanze quali Mercosur, Unasur e CELAC, con scarso impatto reale nella sfera economica, ha portato il Brasile a confermare la propria leadership politica in America del Sud e ad affermarsi come principale interlocutore di grandi potenze come Stati Uniti e Unione europea. Inoltre, grazie a questi progressi a livello regionale, il Brasile ricopre il ruolo di rappresentante della regione in gruppi come i BRICS e il G20. Questa strategia d’azione, basata sullo sfruttamento del soft power brasiliano, è stata portata avanti da Lula durante la propria presidenza (2003-2010) con ottimi risultati. Egli ha saputo sfruttare al meglio i punti di forza del Paese, così come le contraddizioni interne, e trasformarle in potere politico da proiettare all’esterno: il Brasile può essere l’interlocutore ideale delle grandi potenze mondiali grazie alla rilevante influenza economica e politica, ma allo stesso tempo può portare avanti ideali e obiettivi comuni ai Paesi emergenti o sottosviluppati che condividono le stesse problematiche interne.

MARCIA INDIETRO? – Durante la propria presidenza, Lula ha cercato di rendere il Brasile un interlocutore neutrale, ma non indifferente rispetto alle problematiche degli altri Paesi, mentre Rousseff si è rivelata meno flessibile del predecessore, portando per esempio il Paese a schierarsi con i Governi latinoamericani di sinistra e mettendo così a rischio il dialogo con i Paesi della regione che fanno parte dell’Alleanza del Pacifico. Un’altra problematica che Rousseff deve affrontare è l’aspirazione del Messico a condividere l’egemonia regionale con il Brasile. Insieme ai cambiamenti politici, anche il rallentamento economico e le problematiche interne giocano un ruolo cruciale nel mettere in dubbio la capacità del Brasile di continuare sulla strada per diventare una grande potenza. Ciò che risulta chiaro è la necessità di un cambiamento di politica interna ed estera: Rousseff, in vista delle prossime elezioni, dovrebbe riuscire a escogitare una strategia che doni al Brasile nuova credibilità sia nell’arena interna (per esempio aumentando la spesa pubblica destinata ai servizi di sanità e educazione) che in quella internazionale, per far sì che il Paese possa tornare a sfruttare le proprie peculiarità per affermarsi come maggiore potenza regionale e portare avanti l’aspirazione di diventare una grande potenza.

Paola Bertell

 

Fonte:

Il Caffe' Geopolitico