Le banche latinoamericane reggono l’impatto della crisi
09/11/2008
BUENOS AIRES – Grande volatilità in Borsa, spettri di default, previsioni di crescita economica al ribasso, annunci presidenziali non sempre rassicuranti. Tutto farebbe credere che il sistema bancario latinoamericano sia sull'orlo del tracollo. Invece, paradossalmente, gode di un discreto stato di salute.
La prima indicazione viene dal contagio scampato, almeno finora. L'onda d'urto propagata dagli Stati Uniti è stata violenta eppure i Paesi latinoamericani hanno resistito. Un fatto inedito. Negli ultimi 15 anni le crisi sono scaturite in Paesi emergenti e poi hanno raggiunto quelli europei e nordamercani. Quindi dalla periferia al centro del sistema finanziario.
Stavolta si è verificato il fenomeno contrario: la crisi è divampata al centro, gli Stati Uniti, ma le periferie, in particolare quelle latinoamericane, per ora hanno retto.
Seppure con specificità diverse, Brasile, Messico e Argentina presentano caratteristiche di relativa stabilità.
I prestiti bancari rappresentano in Brasile il 40% del Pil, in Messico il 20% e in Argentina solo il 10 per cento. Valori che confermano una buona capacità di tenuta del sistema finanziario.
Le crisi finanziarie degli anni Novanta (effetto tequila ed effetto caipirinha) hanno spinto le autorità monetarie ad agire con prudenza.
In Brasile per esempio il 30% dei depositi bancari sono tesorizzati dalla Banca centrale proprio per creare una garanzia supplementare di liquidità. Il presidente del Banco Santander, Emilio Botin, pochi giorni fa ha dichiarato che «il Brasile è preparato per affrontare un eventuale shock in quanto presenta il miglior quadro macrofinanziario degli ultimi decenni».
Intanto prosegue il processo di ristrutturazione del sistema brasiliano: dopo la maxifusione annunciata due giorni fa in Brasile tra Itaú e Unibanco, che puo' contare su attivi pari a 268 miliardi di dollari,
all'orizzonte si profila una nuova fusione tra le due principali banche pubbliche brasiliane: Banco do Brasil e Nossa Caixa.
Il Messico è l'altro gigante latinoamericano che vanta un ratio patriomoniale molto solido, indicatore di stabilità bancaria, superiore al 14 per cento. Ciò è in parte dovuto alla presenza massiccia di gruppi stranieri che concedono il 70% del totale del credito privato. Si tratta degli spagnoli di Bbva e di Santander, e di Citibank e Hsbc. Un altro elemento lo spiega Guillermo Ortiz, governatore del Banco do Mexico, la Banca centrale del Paese: «Dati alla mano il Messico è il Paese più distante dai prodotti finanziari tossici», con esplicito riferimento ai derivati. «Ecco perché – dice Ortiz – non abbiamo rischi sistemici elevati».
Tutto confermato anche dalla Cnbv (Commissione nazionale bancaria e dei valori), la Consob messicana, secondo cui il sistema messicano «è molto forte, ben capitalizzato e con un bacino di riserve cospicuo».
Anche l'Argentina ha un sistema finanziario sostanzialmente stabile. Il default del 2001 ha provocato una lunga depressione economica ma negli ultimi anni vi è stata una ripresa vigorosa con tassi di crescita del Pil superiori al 8%, quasi "cinesi". Da qui la ricostituzione di riserve della Banca centrale, superiori a 45miliardi di dollari. Miguel Arrigoni, managing director di Deloitte & Touche lo definisce «molto liquido e solvibile». Non solo, «il sistema finanziario argentino ha un elevato livello di redditivitá».
Un'altra spiegazione la offre Aldo Ferrer, economista e presidente del centro studi economici Fenix: «L'Argentina non è esposta al finanziamento esterno e il mercato immobiliare, uno dei primi a cadere in caso di crisi, ha tenuto benissimo proprio perché la concessione di mutui qui è molto selettiva. Il contrario di quanto accaduto negli Stati Uniti».
Fonte:
Il Sole 24 Ore
Roberto Da Rin