Le aziende italiane hanno voglia di correre
09/01/2009
Una ricerca Booz Allen Hamilton mette in evidenza che le organizzazioni, soprattutto quelle delle Pmi, sono reattive agli stimoli della competizione globale
Le piccole e medie imprese italiane sono quelle più affidabili e reattive, mentre le grandi organizzazioni mettono in luce processi anelastici agli stimoli esterni e, in generale, le aziende del nostro Paese tendono a comportarsi in modo dinamico di fronte agli stimoli della competizione globale.
È quanto emerge dai primi risultati dell’indagine sul Dna delle imprese di Booz Allen Hamilton realizzata attraverso un questionario da compilare online e da un software (Org Dna Profiler ) per l’analisi dei dati che mira a individuare gli elementi caratterizzanti delle imprese mediante 19 domande di autovalutazione tese a rappresentare la struttura di un’impresa. Usando una metafora, l’organizzazione di un’azienda può essere paragonata appunto alla struttura del Dna. E come il Dna di un organismo vivente è composto da quattro elementi (le basi azotate) che sostengono la doppia elica, così l’organizzazione di un’azienda è composta da quattro blocchi (struttura organizzativa, processi decisionali, aspetti motivazionali, flussi informativi) che possono combinarsi in molti modi definendo così le caratteristiche e i comportamenti di un’impresa
L’obiettivo dello studio è analizzare la capacità di un’impresa di adattarsi agli stimoli esterni e quindi comprendere quale è il suo grado di flessibilità, anche a livello di processi decisionali, in relazione alle mutevoli condizioni di mercato e di livello competitivo.
Il primo passo che un’azienda deve compiere per far fronte ai problemi posti dal mercato globale, è quello di mettere sotto la lente la struttura della propria organizzazione al fine di individuare gli elementi che influenzano e determinano il comportamento e la performance dei dipendenti.
Lo strumento di autovalutazione per le aziende, Org Dna Profiler, già diffuso negli Stati Uniti (dove ha registrato più di 100mila contatti) viene ora diffuso nei singoli Stati europei e anche in Italia. È disponibile gratuitamente su Internet ed è stato concepito come contributo al management delle aziende per affrontare al meglio le sfide di un mercato che impone continui cambiamenti.
Dna Profiler utilizza sette categorizzazioni: affidabile, reattiva, gerarchica, inerte, dispersiva, sovrasviluppata e burocratica. Ciascuna ha una precisa definizione in funzione del grado di elasticità agli stimoli e della rapidità a reagire agli stimoli.
A tre settimane dal lancio, 1.200 imprese (su 1.400 contatti) hanno compilato il questionario e dall’analisi dei dati emerge che le Pmi sono preponderanti con il 67%, sul totale del campione. Le aziende di piccole e medie dimensioni, cioè con un fatturato fino a 100 milioni di euro, denotano una struttura sana. Infatti, nel 30% dei casi l’organizzazione di una Pmi viene definita come affidabile, cioè «flessibile quanto basta per adattarsi rapidamente ai cambiamenti dei mercati, ma al contempo saldamente concentrata e allineata su una strategia di business coerente». Le imprese affidabili sono il 25% del totale. Nel 14% delle risposte invece l’azienda è considerata reattiva, ovvero non attrezzata in maniera organica al cambiamento, anche se è ancora in grado di adattarsi rapidamente alle nuove realtà.
«Questi risultati – spiega Fernando Napolitano, amministratore delegato di Booz Allen Hamilton – evidenziano che il sistema produttivo italiano ha voglia di correre. Le aziende hanno capito che la crescita è legata alla competitività globale. Occorrono politiche industriali idonee a sostenere realmente la crescita delle imprese, scommettendo sulla ricerca e sull’innovazione anche alla luce della competizione accesa con i giganti asiatici, India e Cina, che corrono a ritmi impressionanti assorbendo porzioni crescenti degli investimenti esteri diretti. La partita su questo fronte è ancora aperta: lo scambio Ue-Usa pesa per il 67% degli Ide, mentre la Cina ne assorbe circa il 10%, pari a 80 miliardi di euro. L’Europa e L’italia devono cogliere la sfida nella capacità di attrarre capitali».
Il 16% delle organizzazioni è classificato come burocratico, cioè caratterizzato da livelli multipli di management che creano una «paralisi da analisi» in un ambiente spesso fortemente politicizzato, mentre sono il 14% le imprese considerate inerti, ossia quelle contraddistinte da resistenze nell’implementare piani concordati.
Questi dati mettono in luce le differenze tra il sistema produttivo italiano e quello degli altri Paesi. Le nostre imprese, grazie alla presenza più numerosa di Pmi, si distinguono per le buone performance in fatto di capacità di reazione e abilità nell’adeguarsi al cambiamento. Infatti, la media estera di organizzazioni considerate inerti è pari al 25 per cento.
Le aziende burocratiche sono presenti in numero significativo e appartengono al range di società medio-grandi con un fatturato fino a 10 miliardi di euro. Tuttavia il valore (16%) è in linea con quello degli altri Paesi. Negli Usa, infatti, le organizzazioni di questo tipo sono il 17%, in Francia il 16% e in Germania il 15%, mentre nel Regno Unito sono particolarmente numerose con il 21 per cento.
In Italia sono invece più diffuse (6%) le imprese gerarchiche, cioè quelle che guidate da un team ristretto di manager senior, conseguono successi principalmente grazie alla volontà e alla lungimiranza dei propri leader. In Germania sono il 2%, in Francia il 3% e in Gran Bretagna il 4 per cento. Le strutture considerate dispersive, ovvero dotate di numerose risorse umane di talento ma che spesso non mirano verso la stessa direzione e allo stesso tempo, ammontano al 4% del totale analizzato dal questionario, un valore inferiore alla media degli altri Paesi.
Solo l’1% delle aziende è infine sovrasviluppata, cioè troppo grande e complessa per essere controllata in modo efficace da un team ristretto, il quale non ha sviluppato i meccanismi di allargamento dell’autorità decisionale.
Il Sole 24 Ore
29/7/2004