L’Argentina punta sul bio

09/01/2009

Esportato oltre il 90% della produzione Norme molto restrittive

BUENOS AIRES • È il secondo Paese del mondo, dopo l’Australia, per superficie certificata come biologica. Tre milioni di ettari, che solo in piccola parte vengono però utilizzati per agricoltura e allevamento organici, anche se l’export del settore sta aumentando: il biologico ” made in Argentina” è uno dei comparti dove si esprime la ripresa del Paese sudamericano, a tre anni dalla crisi finanziaria e dalla svalutazione del peso, tradottasi in un toccasana per l’export.

Il settore tira e si professionalizza sempre più, a tal punto che l’Università cattolica argentina ( Uca) ha lanciato alla fine del 2004 un master in gestione delle imprese biologiche, caso unico nel subcontinente. « Il master risponde alla necessità di professionisti in un settore dove la domanda si sta spostando dalle commodities agli speciality food, alimenti processati con maggiore valore aggiunto » , osserva Alessandro Piovesana, all’origine dell’iniziativa.

Va pure segnalato che oltre il 90% della produzione viene esportato, una quota in costante crescita dall’inizio del 2002. Ma il panorama dei mercati esteri si è diversificato. « Fino a tre anni fa le esportazioni erano destinate per l’ 85% all’Europa, che a livello mondiale rappresentava il motore della domanda nel biologico — osserva Sebastian Sala, direttore della Camera argentina dei produttori organici certificati ( Capoc) e presidente di EcoHolding, una società che esporta una ventina di alimenti biologici —. Poi la Ue, per le difficoltà economiche di alcuni Paesi, specie della Germania, ha iniziato a importare meno. In parallelo, però, si sono concretizzati nuovi sbocchi, fino a poco tempo fa impensabili, come Israele, Turchia, Sud Corea e soprattutto Giappone, dove la domanda aumenta decisamente, alimentata anche da prodotti argentini » .

Le cifre. Sui 3 milioni di ettari certificati per il biologico, in realtà solo 65mila vengono coltivati effettivamente con le procedure organiche, anche se altri 200mila sono in transizione e dovrebbero aggiungersi ai precedenti. Sono cifre che pongono l’Argentina al primo posto in America latina, anche se il Paese, che fin dagli inizi degli anni 90 si è lanciato in questo tipo di coltivazione, potrebbe fare di più. I produttori sono circa 1.800 e l’export, cresciuto costantemente negli ultimi anni, ha superato i 40 milioni di dollari già nel 2003.

Al momento grano e cereali fanno la parte del leone, specie la soia: sembrerà strano, ma in uno dei Paesi di maggiore produzione di soia transgenica aumenta anche la coltivazione di quella organica. Poi vanno bene frutti, come pere e mele, esportati nella Ue e negli Usa quando lì rappresentano primizie. « Ma la scommessa è puntare su prodotti a valore aggiunto. Tendenza in corso, vedi il settore dell’olio d’oliva bio destinato soprattutto agli Usa » , dice Sala.

La scarsità di grosse realtà imprenditoriali ha scoraggiato l’arrivo dei capitali esteri, che finora hanno snobbato il biologico. Eppure qui esiste una normativa ad hoc tra le più restrittive e serie del mondo. Già nel 1993 il Paese si è dotato di una legge, rivista in seguito. « Con la Ue abbiamo ottenuto l’equivalenza — conclude Sala— Ora stiamo lavorando per giungere alle stesse condizioni con Usa e Giappone: con il Paese asiatico è questione di mesi. Speriamo anche che accelerino i negoziati con il Mercosur e che gli europei ci concedano un trattamento doganale preferenziale: sarebbe una vittoria » .

Il Sole-24 Ore
sezione: MONDO E MERCATI data: 2005-03-15 – pag: 8
autore: LEONARDO MARTINELLI