L’antirazziale Orson Welles, ovazioni a Venezia

03/09/2015

VENEZIA. Si è palesato, l’uomo Welles, nel suo trasformismo più acuto: lo Skylock scespiriano. Se n’è parlato parecchio del suo "Mercante" risalito da una cassa messa giù anni fa nelle cantine di Cinemazero e quasi dimenticata per un po’. Da Pordenone il salto veneziano è stato la conseguenza logica per una archeologia rara, finita giustamente nel tempio italiano del cinema in una pre-apertura di Venezia 72. Sul palchetto della sala Darsena – accanto all’Orchestra classica di Alessandria che ha ridato toni alla partitura originale del film del maestro Lavagnino – Paolo Baratta e Alberto Barbera, presidente Biennale e direttore Mostra, in un doveroso battimani per una «progettualità friulana che non manca di sorprendere». Esempi forti scivolano fuori dal profondo Nord Est con una gittata continua, conquistando inaspettate fette di Penisola.

Il ritrovamento è più o meno noto. Welles, nel 1969, pur glorificato da Quarto potere, non se la passava come avrebbe dovuto. Giracchiava, spesso non finiva per il danaro scarso, lasciava debiti, il solito finale dei geni poco compresi in vita. Insomma, vien fuori ’sta rarità – Il Mercante di Venezia – e si corre a restaurarla. Laddove il buco nero inghiotte immagini e voci, si compensa con una registrazione del ’38 col vocione di Welles. Un incastro da mission impossible, diventata possible. Cinemazero guida l’avventura con, al fianco, il Filmmuseum Munchen e la Cineteca del Friuli, oltre a quella nazionale e a un sacco di partners calamitati dall’impresa.

Del Mercante firmato Bardo rimane la dinamica dell’ebreo, il resto ha subìto sforbiciate. Persino Porzia è scomparsa missing. Riccardo Costantini, coordinatore di Cinemazero, e intervistato da Gian Paolo Polesini, racconta l'incredibile ritrovamento del film che pareva perduto Orson è a dir poco seducente, s’impone con quel timbro scuro vagamente yiddish e sbuca fuori – primo fotogramma – da sotto il ponte dei sospiri, sopra una gondola, col sigaro acceso. L’entrata nel personaggio Shylock è pubblica, il camerino è open space e lui, dopo colpi di pennello e spargimento di fondotinta, entra a gamba tesa nel plot. L’ebreo di Welles è di una coerenza inattaccabile. Strozzino, certo, ma quando i signorotti cristiani gli chiedono tremila ducati per intrappolare una signorina (certi affari non hanno tempo) il barbuto usuraio – pigliato sempre a sputi e a insulti dai futuri creditori – si vendica vomitando loro addosso tutto il suo sdegno, aprendo ugualmente il borsellino. Per la mancata restituzione il pegno, però, non sarà l’interesse, bensì una libbra di carne da asportare dal corpo del garante Antonio. Vecchia storia.

Orson, stringendo sulla morale, invita a diffidare dai pregiudizi razziali ed è lezione che risale dai decenni, trovando habitat favorevole nel contemporaneo. Una trentina di minuti che si masticano con avidità per abbondanza di fascinazione. E la standig ovation dei mille della Darsena è spontanea. Il mattatore americano fa confluire su di sè ogni sguardo possibile, lasciando nelle retrovie una Venezia inquieta, che poi è più Asolo e la dalmata Traù. E sulla Terrazza del Casinò l’Orson’s party piglia vita all’imbrunire. Spritz Aperol e Bellini passano di mano in mano con, sullo sfondo, la spiaggia dell’Excelsior. Nemmeno entrato nel rullo, Il Mercante di Venezia, è già conteso. Lo vuole il Moma di New York, il festival di San Paolo del Brasile e, of course, il Museo del Cinema di Torino. Son soddisfazioni.

Fonte: Messaggeroveneto