La svolta del Brasile è in Europa

25/03/2014

La bandiera brasiliana reca il motto "Ordem e progresso", che richiama l'aspirazione a costruire una società nuova in base ai principi scientifici, con termini tratti dalla sociologia positivista di August Comte. Per larga parte del secolo scorso quel motto è stato un obiettivo ideale assai più che una realtà. E oggi, per interpretare il Brasile, si dovrebbe in effetti allargare il motto della bandiera verde-oro a un termine ulteriore, di segno opposto ma fondamentale per cogliere le tendenze in atto: ordine, disordine, progresso.

L'evoluzione politica degli ultimi anni – in particolare sotto la presidenza di Lula da Silva – sembra avere finalmente liberato le energie creative della società brasiliana. Nello scorso decennio il dinamismo del Brasile ne ha fatto un laboratorio di grandi sperimentazioni, come i programmi statali di sostegno all'istruzione e al consumo (Bolsa Escola e Bolsa Familia), o l'inedito mix di politiche interventiste, pro-mercato, consociative. L'emergere di un'ampia classe media è il segno di un cambiamento qualitativo che non investe solo l'economia ma naturalmente anche gli equilibri socio-culturali e dunque il consenso, o il dissenso, politico. La diffusione dei consumi e delle abitudini tipiche delle classi medie spinge il sistema politico e istituzionale ad adeguarsi e modernizzarsi per rispondere a nuove aspettative, ma come sempre il cambiamento non avviene in modo lineare: deludere, anche solo temporaneamente, quelle aspettative crescenti significa incorrere nel rischio del dissenso e a volte della contestazione aperta, come Dilma Roussef ha dovuto constatare nel corso del 2013.

Da tutto ciò è derivato un grande impulso innovativo, ma anche un notevole tasso di "disordine" – per molti versi insito nei tratti culturali di un paese multicolore. Il volto del Brasile di oggi è, come sempre accade nei Paesi in cambiamento tumultuoso, uno strano misto di vecchio e nuovo. Ci sono le resistenze di antiche strutture sociali, ma anche amministrative e burocratiche; ci sono nuove generazioni al tempo stesso più aperte al mondo ma anche più fiere di sentirsi brasiliane, proprio grazie ai successi tangibili del Paese; c'è un'eredità controversa nei rapporti con il resto del continente americano, dall'Argentina come ex-Paese leader fino agli Stati Uniti come perenne presenza in qualche modo indiretta eppure sempre influente; infine c'è la spinta a creare nuove relazioni, dall'Africa all'Asia-Pacifico.

Se questo è lo sfondo, il dilemma di oggi è segnalato dal rallentamento della crescita economica: il Brasile ha bisogno di una profonda ristrutturazione economica. Il modello precedente – fondato essenzialmente sull'export di commodities quale fonte sicura di finanziamento dell'agenda sociale – è messo in discussione dallo slow-down della Cina, principale acquirente di materie prime agricole ed energetiche.

Modificare le leve del proprio sviluppo economico non è affatto un obiettivo semplice, per un Paese ancora fondamentalmente privo di una capacità industriale avanzata. Per fare progressi in questo senso, il Brasile dovrà aprirsi all'esterno molto più di quanto non abbia fatto fino ad oggi. Ciò crea, almeno in teoria, nuovi spazi alla manifattura europea e ad investimenti in alcuni settori.

La complementarietà con una Cina assetata di commodities è stata la condizione dello sviluppo brasiliano dello scorso decennio. Quella con l'Europa manifatturiera potrebbe diventare il traino dello sviluppo futuro del gigante latino-americano – a patto che entrambi, Brasile ed Europa, siano in grado di cogliere tale opportunità.

 

Fonte:
Il Sole 24 Ore