La ripresa mondiale marcia a ritmi pre-crisi

31/01/2011

Indicatori reali

L'economia si ferma. Anzi no, riparte.

Il dilemma, che nei mesi scorsi ha arrovellato famiglie e imprese, analisti e investitori, si è sbrogliato in favore della seconda, e migliore, soluzione. La crescita globale ha accelerato il passo sul finire del 2010 e i primi indizi del 2011 confermano che il ritmo è vivace. Di fatto, anche l'anno in corso segnerà un incremento del Pil mondiale prossimo a quello degli anni migliori pre-crisi.

Progressi robusti sono stati registrati ovunque, o quasi. A guidare la carovana ci sono, è naturale, gli emergenti. Il cui passo stellare (in media il 6,5%, con 8-10% in Cina e India e la metà in Brasile e Russia) mostra fisiologici rallentamenti. Ma ora anche gli avanzati fanno la loro parte.

Negli Usa i consumi, le vendite di case, gli ordini di beni durevoli, la fiducia e le valutazioni dei responsabili degli acquisti, sia nel manifatturiero sia nel terziario, segnano tutti bel tempo, che secondo gli indici anticipatori proseguirà a lungo: la politica economica (nei tassi e nelle tasse) aggressivamente espansiva dà un contributo determinante, e ci sono sintomi di capacità della ripresa di auto sostenersi. L'aumento del Pil punta a un +4% nel 2011.

Velocità che più che si dimezza nel complesso dell'area euro. Dove la fiducia si è stabilizzata a gennaio ai livelli più alti da fine 2007, con un riequilibrio tra Germania (giù) e Francia (su), e il buon Pmi manifatturiero è stato rimpolpato dall'incremento di quello nei servizi. La doppia velocità della crescita è all'interno dell'area, con i Paesi mediterranei (inclusa l'Italia) in affanno e quelli nordici dinamici: la scommessa è che la forbice si chiuda verso l'alto, ma senza mutamenti nella competitività ciò sarà più difficile.

Inflazione

L'inflazione è più temuta che reale. Sono molto salite le quotazioni delle materie prime, anche se il petrolio ha un po' corretto gli eccessi. E ciò ha fatto salire i prezzi al consumo di quei beni nei quali è maggiore il peso degli input primari. Ma il resto dei listini è rimasto fermo: l'inflazione, tolti energetici e alimentari, resta attorno all'1% annuo in Usa ed Eurozona. Perché il costo del lavoro è frenato dalla moderazione imposta dalla disoccupazione e dai recuperi di produttività. Il pericolo inflazionistico, nei paesi avanzati, ancora è lontano.

Tassi di interesse, valute, moneta

Sei mesi fa i rialzi dei tassi di interesse erano un curiosum limitato a pochissimi paesi. Ora il movimento si è fatto corale. Le fiammelle sono appena percettibili in Europa e in America, nel segmento a breve. I tassi ufficiali muovono al rialzo nei paesi emergenti, dalla Cina all'India e alla Thailandia, che agiscono anche su altri strumenti (coefficienti di riserva obbligatoria, massimali, moral suasion) sono messi al servizio della restrizione. Nel comparto a lungo termine si notano maggiormente i rialzi, che partono da quei segmenti di mercato dove l'effetto-rifugio aveva portato i rendimenti a livelli anormalmente bassi: i titoli pubblici. Ora che l'avversione al rischio è meno forte la domanda si normalizza e i rendimenti aumentano.

Questo aumento è fisiologico nei paesi con finanze pubbliche meno disastrate, ma è chiaramente patologico per i paesi afflitti dalla crisi dei debiti sovrani. Tuttavia, le buone notizie stanno nel fatto che i rialzi dei tassi sui titoli pubblici non si trasferiscono al costo del denaro per gli operatori privati. Per le imprese non finanziarie il confronto fra le variazioni dei rendimenti dei titoli a 10 anni, da novembre 2009 a novembre 2010, porta a risultati consolanti: in Germania c'è stata una netta discesa; la stessa cosa è accaduta in Belgio; in Italia c'è stato un aumento di soli 0,3 punti; in Spagna di 1,1; nei paesi più a rischio, come Grecia e Portogallo, i rialzi dei tassi per le imprese sono stati una frazione del rialzo dei rendimenti sovrani. Insomma, il timore che gli strappi sui rendimenti dei titoli pubblici potessero travasarsi in un più alto costo del danaro per il settore privato e costituire quindi una minaccia per la ripresa, sono stati smentiti.

In campo valutario continua la resistenza all'apprezzamento delle valute degli emergenti. Il Brasile, restio ad aumentare ancora i tassi già elevati, ha messo in opera alcune sofisticate manovre per rendere più costose le scommesse sull'apprezzamento del real; altri paesi esitano, per le stesse ragioni del Brasile, a ricorrere alla restrizione monetaria per timore che incoraggi afflussi di capitali e causi monete più forti. La Cina continua nella politica dei piccoli passi per calmare quanti vorrebbero uno yuan meno svalutato e ha permesso emissioni in yuan sui mercati internazionali. In realtà, tuttavia, queste emissioni sono limitate e devono essere inizialmente regolate in dollari. La via verso la convertibilità è ancora lunga, ma quel che importa non è il cambio nominale: la dinamica di prezzi e costi in Cina sta portando a un apprezzamento reale dello yuan.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
di Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi