La mappa dell’Italia misurata dal Fisco
18/08/2008
Una distanza che diventa un abisso, fra il gruppo delle Regioni del Nord che fino all'anno scorso ha continuato a correre e ad accumulare redditi e il Mezzogiorno che sprofonda in un progressivo impoverimento strutturale e generalizzato.
Al peso del Sud va ascritto interamente anche il risultato opaco del contribuente medio italiano, che in nove anni ha visto crescere il proprio reddito reale solo del 2 per cento. Un po' poco, per un ciclo così lungo, e in tempi di fiammate inflattive la dinamica a scartamento ridotto dei redditi degli italiani diventa un dato ancor più preoccupante. Mai come in questo caso, però, la media statistica mostra tutti i suoi limiti, e non rende ragione né dei buoni risultati di Nord-Ovest o Emilia Romagna né dell'arretramento del Sud.
La cronaca quotidiana è ricca di segnali sul freno tirato che contraddistingue l'andamento del Sud, e che i tanti orgogliosi tentativi individuali, come il fiume delle risorse per lo sviluppo arrivate da Roma o dall'Europa, non sono riusciti a cancellare. Ma solo uno sguardo allargato alla storia fiscale degli ultimi anni riesce a misurare davvero le dimensioni della faglia che divide in due i redditi, e insieme a loro le opportunità di crescita, di lavoro e il livello dei servizi degli italiani.
I numeri delle dichiarazioni dei redditi 2006, raggruppati per territorio e attualizzati al 2007 con gli indici Istat dal Centro Studi Sintesi, non lasciano alcun margine a distinguo o incertezze.
Più che ai valori assoluti, che comunque vanno rapportati anche al diverso costo della vita dei territori e quindi potrebbero nella pratica risultare meno distanziati di quanto appare sulla carta, bisogna guardare al confronto con la situazione di otto anni fa, facendo ovviamente partecipare al gioco anche il tasso di inflazione. Con questi criteri, dall'Abruzzo in giù è tutto un fiorire di segni meno, fino all'ultimo posto della Calabria, dove il contribuente medio ha perso in otto anni il 14% del suo reddito.
A colpire è la nettezza dei confini, che conferma il tratto strutturale della doppia dinamica e non si confonde nemmeno scomponendo il dato a livello provinciale.
Dalla disaggregazione, anzi, arrivano conferme ulteriori, a partire da Milano che consolida il proprio primato (23.183 euro a contribuente) con una crescita a doppia cifra (+10,6%). Sul podio del benessere (imponibile) seguono Bologna, con 20.890 euro a dichiarazione (+6,8% rispetto al 1999) e Roma (20.193, +4,6%).
È proprio la Capitale a trascinare fra le Regioni in crescita il Lazio, che nelle altre Province si attesta a livelli di reddito più modesti, intorno ai 13mila euro, e, con l'eccezione di Viterbo (+1,9%), in drastica diminuzione rispetto al passato (dal -5% di Latina al -8,4% di Frosinone). Le uniche realtà del Centro-Nord con un (modesto) segno meno sono Prato (-0,3%) e Macerata (-0,4%), mentre cercare un territorio del Mezzogiorno nella colonna delle province in positivo è fatica vana.
La partita dei primati, a tutti i livelli territoriali, è interamente giocata a NordOvest, in particolare tra la Lombardia (unica Regione che supera l'asticella dei 20mila euro) e una Valle d'Aosta cresciuta a livelli record (il reddito medio è aumentato in otto anni del 32,1%, l'11% al netto dell'inflazione). In quest'ultimo dato troverà nuovi argomenti l'idea di chi, a partire dal Governo che l'ha messa nero su bianco nella premessa al Ddl delega, intende cogliere l'occasione del federalismo fiscale per riscrivere regole e privilegi di alcuni Statuti speciali.
Ma chi si occupa di federalismo deve guardare soprattutto a Sud, ai 13.650 euro registrati dal contribuente medio napoletano, con una perdita del 6,6% in otto anni, ai 13.472 euro dei palermitani (-5,2%), giù giù fino ai 9.356 (-18,7%) dei crotonesi. Perché in un Fisco federale la colonna delle entrate localizzate sul territorio è il dato cruciale, e più si allargano le differenze più diventa difficile applicare a tutto il Paese un meccanismo che lasci "in casa" una quota consistente di risorse senza condannare alla bancarotta zone più o meno ampie del Mezzogiorno.
Fonte:
Il Sole 24 Ore