La crisi della finanza latina

16/10/2008

La gravità della crisi finanziaria mondiale può anche essere colta dalla partecipazione del Presidente Bush, fatto mai avvenuto prima, nel pomeriggio di sabato 13 alla riunione del G20 presieduta dal ministro dell’economia del Brasile, Guido Mantega.

In mattinata il presidente nordamericano aveva partecipato al più noto G7. Il G20 riunisce le maggiori economie del mondo: G7, Ue, oltre ad Australia, Cina, India, Brasile, Messico, Russia ed altri paesi. In questa occasione Bush ha pronunciato il suo 20° intervento nei 23 giorni di crisi. Crisi che logicamente da alcuni giorni sta arrivando anche in America Latina, con la chiusura della borsa di San Paolo, perché colpita da caduta dei prezzi del 10%, interventi delle banche centrali di Messico e Brasile, con la vendita di miliardi di dollari per sostenere le loro monete, il peso e il real, in caduta libera.

La scarsità di mezzi finanziari, la caduta del prezzo delle materie prime, la spinta inflazionistica comporteranno per lo meno una caduta della crescita che negli ultimi anni era stata buona, circa il 5% annuo, anche se molto al di sotto degli altri paesi emergenti. Quando ancora le turbolenze sono in atto è difficile dire quali conseguenze ci saranno nei due gruppi di paesi in cui potremmo dividere l’America Meridionale, ovvero il Brasile, il Cile, la Colombia ed in parte anche il Perù ed il gruppo formato da Venezuela, Bolivia, Argentina ed Ecuador; Cuba economicamente non conta nulla e, dopo gli ultimi uragani, è al disastro.

Il primo gruppo di Paesi ha utilizzato i recenti anni di crescita per sistemare la propria economia e mettere ordine nei conti statali, favorendo e rispettando gli investimenti provenienti dall’estero. Il Brasile ha battuto su questo campo anche la Cina e l’India, ha in cassa 200 miliardi di dollari per sostenere la propria moneta. Il piccolo Cile da anni è esempio di economia sana ed aperta, firma di continuo accordi di libero commercio con tutto il mondo. Certamente non sarà immune da danni, ma alla fine della tempesta finanziaria non dovrebbe aver subito grandi perdite. Gravi interrogativi si pongono sul secondo gruppo di paesi, a cominciare dal logorroico Chavez. Il presidente venezuelano domenica 5 ottobre ha affermato che il suo paese sta creando un “nuovo sistema finanziario” basato sull’alleanza con i suoi partner strategici, l’Iran, la Russia e la Cina, con il consiglio e la “consulenza” di Fidel Castro. Verranno create banche miste con questi paesi e aperte “borse di valori Chavez-Ahmadinejad”, lo stesso con gli altri paesi. Purtroppo vi è un dato importantissimo, specialmente per il Venezuela, il prezzo del petrolio è sceso spaventosamente, ad oggi sugli 80 dollari.

Gli esperti dicono che sotto questo prezzo Chavez non avrà più i mezzi finanziari per sostenere sia l’enorme spesa statale, sia la sua politica estera basata sull’esportazione del petrolio a prezzi preferenziali. La Bolivia è ormai stabilmente instabile, in preda inoltre ad un processo di nazionalizzazioni permanente. Incerta è la posizione dell’Argentina che è ormai legata alle vicende economiche del Brasile, è da anni fuori dal mercato finanziario mondiale, dopo il default del 2001 e la seguente rapina operata nei confronti dei creditori esteri. L’Ecuador di Correa, forse reso ebbro dal risultato positivo del referendum sulla nuova costituzione “socialista”, ha trovato il modo di aprire una guerra anche con il Brasile. Molti in Europa si attendono grandi cambiamenti con l’arrivo di Obama. Gli specialisti sono concordi, Obama o McCain l’America Latina, pur senza responsabilità per la crisi, dovrà cavarsela da sola, gli americani del Nord continueranno ad ignorare quelli del Sud, ripagati con avversione ed ostilità permanente.

 

Fonte:
L'Opinione
Roberto Lovari