La Cina tasserà l’export di tessili
09/01/2009
La misura non ancora ufficiale dovrebbe entrare in vigore dal mese di giugno.Il Governo americano estende le quote restrittive ad altri quottro prodotti.
di Luca Vinciguerra
La Cina muove al contrattacco contro la decisione degli Stati Uniti e dell’Unione europea di mettere un freno alle importazioni tessili dalla Grande Muraglia. Ma, al tempo stesso, si prepara ad ammorbidire Bruxelles e Washington con misure interne finalizzate a raffreddare le esportazioni di abbigliamento made in China.
Secondo quanto appreso dal « Sole 24 Ore » da fonti del settore, il Governo cinese sarebbe pronto a imporre una tassa sulle proprie esportazioni tessili. O meglio, ad aumentarla sensibilmente.
Il primo gennaio, alla scadenza dell’Accordo Multifibre, Pechino aveva già introdotto un’imposta sull’export.
Un’inezia: tra 0,2 e 0,3 yuan per ogni capo venduto all’estero, a seconda della tipologia di prodotto.
Dal mese di giugno, questa tassa dovrebbe salire di ben venti volte su tutti i prodotti tessile abbigliamento in uscita dal Paese.
Nessuno escluso. Il che significa che le aziende tessili cinesi saranno costrette a sborsare una cifra compresa tra 4 e 6 renminbi per ogni maglietta, pantalone, gonna o cappotto made in China venduto fuori dai patri confini.
Tanto, poco? Certamente non abbastanza per mettere a tacere i produttori tessili occidentali inveleniti dall’aggressione commerciale cinese seguita alla fine dell’Accordo Multifibre. « Come si può pensare che un’imposta di mezzo euro sia sufficiente a penalizzare le vendite cinesi di abbigliamento nel mondo? » , osserva con disappunto un importante operatore tessile italiano.
La valutazione di Pechino, ovviamente, è ben diversa. Se in valore assoluto la nuova tassa avrebbe in effetti un valore modesto, in termini relativi si tratterebbe di un rincaro di venti volte rispetto alla situazione attuale.
Non è una cosa da poco. Soprattutto dal punto di vista politico, poiché di fronte alle future lagnanze di Stati Uniti ed Europa, la Cina avrebbe buon gioco a sostenere di aver fatto tutto il possibile per riequilibrare i flussi commerciali dell’industria tessile mondiale.
Anche a costo di scontentare i propri imprenditori. Che, dopo la doppia decisione di Usa e Ue di tirare il freno sull’import del made in China, sono a dir poco infuriati. Proprio ieri il Governo americano ha annunciato l’intenzione di estendere le quote, reintrodotte venerdì su pantaloni, magliette e biancheria intima di cotone, ad altre quattro categorie dell’abbigliamento, tra cui il filato di cotone pettinato. « Si tratta — dice un operatore privato di Shanghai — di una decisione ingiusta. Anche per i consumatori europei che, grazie alle esportazioni cinesi, possono risparmiare comprando abbigliamento di buona qualità a basso prezzo. Mi chiedo che senso abbia una misura come quella annunciata ieri dalla Ue. Ma oggi in Europa chi produce più le magliette? » .
Un imprenditore del Guangdong rincara la dose: « Assurdo intervenire sul lino, visto che anche prima della scadenza dell’Accordo Multifibre su questo prodotto non gravava alcuna quota all’esportazione. Forse bisognava fare un piacere a qualche grossa filatura belga o francese » . Un altro tuona contro Washington: « Gli americani a parole sono i grandi paladini del libero commercio, mentre nei fatti si rivelano protezionisti » , dice.
Un altro ancora sostiene addirittura che le statistiche non dicono la verità, e che in realtà dal primo gennaio non c’è stato alcun b o o m dell’export di abbigliamento cinese. « I dati che fanno strillare gli americani e gli europei sono gonfiati perché non tengono conto di tutte quelle produzioni che, prima della scadenza dell’Accordo Multifibre, per aggirare il sistema delle quote, venivano vendute come made in Hong Kong o made in Macao anche se in realtà erano fabbricate in Cina » .
Ma non è solo la ” base”, quella che campa sfornando circa 1,3 miliardi di dollari di esportazioni di tessile e abbigliamento l’anno, ad accusare Bruxelles e Washington di neo protezionismo. Anche il ministro del Commercio, Bo Xilai, ieri ha usato parole dure contro i partner commerciali della Cina.
« Europa e Stati Uniti — ha detto Bo — hanno avuto dieci anni di tempo per prepararsi alla fine del Multifibre. Ma invece di pensare a una soluzione, hanno tenuto in vita il sistema delle quote sino alla fine dell’anno scorso.
Ora, dopo quattro mesi, hanno pensato di imporre dei limiti alle importazioni di prodotti tessili cinesi. Mi pare una decisione irragionevole. Hanno firmato degli accordi per il commercio internazionale. Ora devono rispettarli » .
Il Sole 24 Ore
19/05/2005