Joseph Ratzinger eletto Papa in 24 ore

09/01/2009

Ore 17.30, l’applauso: i cardinali festeggiano Benedetto XVI

Quattro scrutini, come Luciani: uno dei conclavi più rapidi. L’emozione, le mani giunte sopra la testa: «Un umile lavoratore» di Luigi Accattoli

CITTA’ DEL VATICANO – Benedetto XVI viene eletto al quarto scrutinio, come Papa Luciani: il suo è uno dei conclavi più rapidi dell’epoca moderna, secondo, nel Novecento, solo a quello che elesse – con tre scrutini – Pio XII nel 1939. Sono occorse poco più di 24 ore ai cardinali – dal momento dell’extra omnes di lunedì alla fumata bianca di ieri – per scegliere il nuovo Pontefice.

Su Luciani aveva puntato un gruppo promotore agguerrito e quasi non ci fu battaglia, perché l’uomo era defilato e senza nemici. Anche su Ratzinger Papa puntava un gruppo deciso, che vantava, alla vigilia, una trentina di voti. Ma battaglia dev’esserci stata. C’era infatti un gruppo di porporati centro-europei che si era mosso per ostacolare l’elezione del cardinale che è stato per oltre vent’anni braccio destro di Wojtyla e custode della dottrina della fede. Non si saranno arresi tanto facilmente, ma è chiaro – dai tempi dell’elezione – che sono stati travolti da una valanga di suffragi piovuti da ogni parte.

Il tamtam del pre-conclave suonava una musica insistente: cresce il favore a Ratzinger. I probabili trenta voti del primo scrutinio possono essere diventati cinquanta al secondo e settanta al terzo e ottanta e passa al quarto: il quorum era di 77 su 115 votanti. Fu con un’andatura simile che Luciani arrivò al papato in quattro votazioni: 23 voti alla prima, 53 alla seconda, 70 alla terza, 98 all’ultima. Perché si abbia un tale risultato, è necessario ipotizzare che i grandi elettori abbiano velocemente «acceduto» – come si dice nel gergo conclavario – al suo nome.

Se davvero, come prefiguravano le voci del pre-conclave, un buon numero di «papabili» e «grandi elettori» sono stati votati assieme al cardinale bavarese nel primo scrutinio, possiamo immaginare che rapidamente tutti, o quasi tutti, abbiano dato ai loro amici l’indicazione di convergere sul decano.
Un pacchetto di voti – da tre fino a dieci-quindici – potevano essere nella disponibilità dei cardinali di Curia: Re, Sepe, Castrillon Hoyos e, soprattutto, Sodano. E’ probabile che questi siano andati a Ratzinger fin dallo scrutinio numero due, quello con cui si è aperta la giornata di ieri. Già nella notte tra lunedì e martedì avranno condotto un buon lavoro di «caldeggiamento» della candidatura Ratzinger i cardinali italiani Bertone (Genova), Biffi (già arcivescovo di Bologna), Scola (Venezia) e Ruini.

La vicinanza di Bertone a Ratzinger – maturata negli anni in cui fu suo diretto collaboratore alla Congregazione per la dottrina della fede – era ben nota e aveva avuto modo di segnalarsi all’esterno lungo le due settimane di «congregazioni generali».
Sempre in congregazione generale era stata colta – e aveva colpito – la frase con cui Giacomo Biffi aveva concluso il suo intervento, di vibrante rivendicazione dell’«identità» cristiana nei confronti del «sincretismo» religioso che «minaccia» le coscienze cattoliche: «Sapete già a chi andrà il mio voto». Quanto a Scola, è stato a lungo consultore della Congregazione di Ratzinger, che aveva «sognato», in anni passati, di averlo come successore in quell’incarico, quando ancora sperava che Giovanni Paolo II gli permettesse di «ritirarsi in Baviera, per tornare ai suoi studi». Scola si considera un «discepolo» di Ratzinger.

Ma probabilmente il «grande elettore» più efficace è stato Ruini: il presidente della Cei non solo è apparso in progressiva sintonia con Ratzinger nel corso degli ultimi vent’anni, cioè da quando è stato chiamato a incarichi nazionali, ma si considera anch’egli, a suo modo, un «allievo» del teologo tedesco fin dagli anni della formazione, tra Roma e la Germania. Ruini dispone di ottimi agganci con cardinali dell’Est europeo e dell’America latina, anche in virtù degli «aiuti alle Chiese» che l’episcopato italiano ha potuto distribuire grazie all’«8 per mille».

Fuori d’Italia può aver svolto una funzione di «mediatore» di consensi il cardinale Schönborn (Vienna): anche lui deve molto a Ratzinger, per la sua formazione di teologo, e dispone di una rete di contatti mitteleuropei non indifferente. Forse potremmo collocare nella pausa del pranzo il convincimento dei più restii a lasciarsi sedurre dall’immagine mite e forte del «custode della fede»: americani del Nord e del Sud particolarmente diffidenti nei confronti della Curia romana, africani e asiatici che in partenza parevano propendere per una candidatura italiana. Sempre nella pausa del pranzo può essersi dissolto anche l’ultimo nucleo di resistenza attiva all’elezione del decano, che si può immaginare impersonata dai cardinali centro-europei – da Vlk a Danneels, passando per Lehmann – che nella lunga vigilia del conclave avevano segnalato l’intenzione di votare Martini come «candidato di bandiera». E’ vicenda consueta dei conclavi che, un poco per convenienza un poco per progressiva persuasione, i gruppi si sciolgano e i voti dei singoli confluiscano sul cardinale che sale costantemente da uno scrutinio all’altro.

Un’attestazione sicuramente sincera del mutamento di opinione avvenuto in conclave l’ha data in serata il cardinale tedesco Walter Kasper, che ha detto ai giornalisti tedeschi che Benedetto XVI «sarà il Papa della riconciliazione e della pace». Quanto alle sue passate divergenze teologiche con Ratzinger, Kasper — che è anche lui un teologo—ha detto: «Ci possono essere state talvolta diverse vedute come professori di teologia, ma ora che è Papa il rapporto è diverso ».

Secondo Kasper l’elezione in conclave è avvenuta «in un’atmosfera di gioia». «C’era il desiderio — ha aggiunto — di una persona di spessore, ferma nella dottrina, ma che può anche spiegare la fede».

Kasper ha descritto Ratzinger come una personalità «molto affascinante» e ha aggiunto di ritenere la sua elezione al pontificato come «un buon segno anche per il dialogo ecumenico». Non abbiamo informazioni dall’interno, ma si può presumere che il quorum dei 77 voti sarà stato superato all’incirca alle 17.30. A quel momento — come sappiamo dai precedenti conclavi— ci sarà stato un lungo applauso da parte di tutti i cardinali, in piedi. Si sarà alzato pure lui in piedi e avrà ringraziato con un gesto delle braccia simile a quello che un’ora e un quarto più tardi gli abbiamo visto compiere al momento della comparsa al parapetto della loggia centrale della basilica vaticana. A quel punto gli si sarà avvicinato il cardinale sotto-decano, Angelo Sodano, per chiedergli in latino, a nome di tutto il collegio degli elettori: «Accetti la tua elezione canonica a Sommo pontefice?».

Qui possiamo immaginare che abbia risposto con una delle frasi con cui poco dopo si è presentato alla folla: «Fiducioso nell’aiuto del Signore, accetto». «Come vuoi essere chiamato?» gli ha chiesto ancora Sodano e qui è arrivata una risposta sorprendente: «Benedictus decimus sextus». Sorprendente, per il salto a un Papa lontano, come la scelta del nome di Giovanni XXIII da parte di Roncalli e di Paolo VI da parte di Montini. Papa Ratzinger ha voluto sottrarsi all’inquadramento onomastico nella dinastia dei Papi riformatori della celebrazione e dell’applicazione del Vaticano II: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I,Giovanni Paolo II.Masaltando all’indietro anche i due ultimi Papi che si erano chiamati «Pio» (Pacelli e Ratti) ha voluto sottrarsi anche all’inquadramento in una dinastia alternativa a quella conciliare, che avrebbe potuto dare l’idea di un richiamo a «prima» del Concilio.

Scopriremo un poco per volta il senso di questa suggestiva scelta onomastica, ma fin d’ora possiamo intuire il desiderio d’esser chiamato con un nome che dice «benedizione», da parte di un uomo che tanti denigrano e di cui appare così spontaneo «dire male». Perché c’è questo fatto nuovo, nell’elezione del Papa bavarese: egli non è sconosciuto, né ai «chierici» né all’opinione pubblica, come in buona sostanza lo erano tutti i suoi predecessori recenti, escluso Pacelli.

Ratzinger è persino troppo noto, se così si può dire, e il suo pontificato sarà anche una lotta contro la cattiva fama che da tanto l’accompagna. Una delle remore a votarlo, da parte dei cardinali centro-europei, veniva da quella fama: in Germania, in Austria e in Belgio, per non dire altro, sono state ricorrenti — nei 23 anni della sua presenza a Roma—le raccolte di firme e le diatribe pubbliche contro di lui, che hanno segnato profondamente la base della Chiesa e hanno avuto ripercussione all’esterno di essa, negli ambienti ecumenici e nel mondo laico. Ogni nuovo Papa appena eletto vive per alcuni mesi un momento magico, di spontanea sintonia con la sua chiesa, che viene a costituire come una «ricezione» popolare della sua elezione: è probabile che Benedetto XVI incontri invece, da subito, qualche difficoltà a essere accolto. Come lo riceveranno i giovani tedeschi il prossimo agosto a Colonia?

Ha provveduto già ieri sera il cardinale di Colonia Meisner a dire che Benedetto XVI ci andrà, a Colonia, per la Giornata mondiale della gioventù: gliel’ha promesso subito dopo l’elezione, quando si trovavano ancora nella Cappella Sistina. Per il momento il popolo di Roma e la gran quantità di turisti accorsi ieri in piazza San Pietro, al richiamo della fumata bianca e delle campane, hanno accolto benissimo il Papa bavarese. Eccolo che si affaccia alla loggia alle 18 e 43. La piazza è piena e gli riempie il cuore, forse già visitato dal timore per la diffidenza che il suo nome può suscitare. Sorride, più apertamente che mai. Egli sempre sorrideva, nelle interviste e nei dibattiti pubblici, o quando parlava nella sala stampa vaticana. Mai però gli si era visto in faccia un sorriso pieno come ieri. Saluta con le braccia alzate e le mani congiunte, una due volte. Muove le braccia in maniera non ieratica, ma piuttosto sciolta, viva. Si sente che tra lui e i Papi italiani c’è stato il gestuale Wojtyla. Saluta anche con un braccio solo e con la mano aperta, prima con il destro e poi con il sinistro.

Risponde sorridendo agli applausi. Vedendo tutta quella folla che gli grida «viva il Papa» forse pensa, come ha detto una volta: «E’ un miracolo che milioni di persone credano ancora». Quando alza la mano per tracciare la croce verso il mondo, «così frammentato e oscuro», come usa chiamarlo, pare di vedergli in faccia una traccia della «santa inquietudine» di cui ha parlato nell’omelia di lunedì: l’inquietudine di «portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo». Ma è solo un momento. Subito il volto torna ridente e il Papa risaluta, alzando le braccia e congiungendo lemani con una mossa quasi sportiva, che mai avrebbero immaginato di vedergli compiere quanti erano abituati a sentirlo parlare dalla cattedra o dall’altare. Il cardinale Ratzinger non amava i battimani e le grida, che ora sono il principale alleato di Papa Ratzinger. Se ne dovrà giovare, se a Colonia vorrà correggere la propria cattiva immagine. Ora saluta e se ne va, grato dell’aiuto che gli è venuto dalla piazza e forse si chiede quanti— in quella folla—siano i credenti e quanti i curiosi e magari riformula in cuore la struggente invocazione con cui concluse la via crucis scritta per Papa Wojtyla in quest’ultimo Venerdì Santo: «Aiutaci a credere in te, mostrati di nuovo al mondo in quest’ora, fa’ che la tua salvezza si manifesti».

Corriere della Sera
20/4/2005