Italia poco competitiva? Grandi assenti:banche e distribuzione

09/01/2009

Deaglio sollecita gli istituti di credito a «fare il loro mestiere», mentre Bini Smaghi punta il dito contro la «dimensione internazionale ancora inesistente». Innocenzi condivide. Per Perini, invece, mancano i canali distributivi

«La crescita? Non escludo un incremento del 2%, grazie ad un aumento della produttività che le statistiche segnalano solo parzialmente. Credo che il ministro dell’Economia confidi anche in qualche decimale in più».

Mario Deaglio, economista, fotografa così la situazione dell’azienda Italia al convegno di Borsa & Finanza per i dieci anni del settimanale. È stata l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte assieme agli attori dell’economia italiana: Lorenzo Bini Smaghi, presidente della Sace, Guido Giubergia, ad di Ersel, Fabio Innocenzi, ad della Popolare Verona e Novara, Andrea Pininfarina, industriale e vicepresidente di Confindustria, Michele Perini, presidente di Assolombarda e della Fiera di Milano. Oltre ad un focus su Wind con Tommaso Pompei e ad un contributo di Roberto Colaninno.

Nel pomeriggio, invece, di fronte ad un pubblico numeroso ed attento (nella giornata più di 600 persone hanno affollato il palazzo delle Stelline) ha seguito il seminario previsionale condotto da Claudio Kaufmann. Presenti le «star» dell’analisi tecnica di Borsa & Finanza: David Benyaich, Maurizio Milano, Marco Benedetti e, gradito ospite, Alessandro Fugnoli.

Non si è trattato dell’ennesimo dibattito sul declino del made in Italy: «Il capitalismo italiano – spiega il sociologo Aldo Bonomi – ha le sue peculiarità. È un capitalismo del territorio, dove 60 mila imprese piccole e medie ne trainano altre 160 mila. Non ha più senso parlare di distretti, ma di reti lunghe che hanno bisogno di infrastrutture, di sostegni materiali e virtuali. È un Paese che va avanti, ma che è assurdo voler interpretare con le lenti altrui». Non a caso, il dibattito si è arricchito delle testimonianze video dei protagonisti delle «reti lunghe»: Siemens, Aem, Azimut, Ibm, Fineco, Tnt, Alfa Romeo, Citigroup e Digit. «È vero – ha sottolineato Bini Smaghi – Ma il Paese ha accumulato un gap di competitività in questi anni. Ed è da questo punto che occorre partire: almeno da parte nostra, è già in atto un piano per recuperare il passo degli altri. Ma occorre un business plan del sistema».

Non è questione di statistiche o di potere, ha ammonito Fabio Innocenzi. «La chiusura di qualche filiale non ha significato mancanza di appoggio, tutt’al più la diminuzione di alcune attività in perdita che ha consentito di liberare risorse. Bisogna aiutare le aziende qui, con degli accordi, e con presenze mirate all’estero».

Andrea Pininfarina già oggi sviluppa a Pechino il 20% circa delle attività di engineering. Ma l’obiettivo è quello di salire fino al 30 per cento. Il consiglio? «Abbiamo cominciato a far squadra, noi italiani – commenta – Gli altri, tedeschi in testa, lo fanno da sempre. Occorre fare in fretta». Difficile, commenta Giubergia, visto che il tessuto finanziario dimostra pesanti limiti: dimensioni più limitate rispetto alla concorrenza (impressionante il gap nei confronti della Spagna) rendono difficile finanziare ricerca e sviluppo e, quindi, più esportazioni. «Meno private equity, più venture capital mirati alle esigenze delle imprese», tuona Michele Perini di Assolombarda, «euroscettico dell’ultima ora». «Credo che le imprese – aggiunge – sarebbero pronte a rispondere con entusiasnmo a joint venture sulla distribuzione, magari con partner cinesi ma affidate a manager di provata affidabilità. È l’assenza di un attore commerciale italiano che rende difficile l’accesso agli scaffali dei supermercati a Shangai o altrove».

Finanza&Mercati
29-09-2004