Italia: la Grande Distribuzione fatica a decollare

09/01/2009

Oggi si contano ancora 500.000 punti vendita tradizionali ( 8,7 per mille abitanti) contro i 320.000 della Francia ( 5,5 per mille abitanti ), i 470.000 della Germania ( 5,7 per mille abitanti) e i 270.000 della Gran Bretagna ( 4,6 per mille abitanti ). Di contro, la distribuzione moderna italiana è ferma a 10.800 punti vendita, mentre 17.300 sono quelli francesi, 33.700 i tedeschi, 20.000 gli inglesi.

Le difficoltà al cambiamento sono dovute a diversi fattori. Innanzi tutto, nell’attuale fase congiunturale, le dimensioni delle aziende assumono un’importanza strategica; in secondo luogo, esiste in Italia una grossa penuria di spazi adeguati, tanto è vero che il rapporto tra superficie totale coperta da Centri commerciali (poco più di 9 milioni di metri quadrati ) e popolazione è tra i più bassi d’Europa.

Per quanto riguarda il primo aspetto, con l’arrivo dei francesi di Carrefour, di Auchan (Rinascente ) e di Leclerc, dei tedeschi della Metro, fino agli austriaci di Despar e di Rewe (che ha rilevato la Standa ), la presenza italiana, tra i big della GG.DD., si è ridotta ai soli nomi della Coop e di Conad. Al di sotto di questi due gruppi, le marche italiane sono di dimensioni praticamente famigliari, troppo piccole per competere a livello continentale. Se a questo nanismo si aggiungono il calo dei prezzi e, quindi, degli incassi e la mancanza di incentivi governativi, è facile prevedere che gli imprenditori italiani saranno sempre meno invogliati ad investire nel settore ed il nostro Paese continuerà nei prossimi anni ad essere terra di conquista per i giganti non solo europei ma anche d’oltreoceano (è noto l’interesse per l’Italia da parte del colosso americano Wal Mart ).

Per quanto riguarda le problematiche legate alla ricerca degli spazi, la “regionalizzazione” delle normative, diverse su tutto, dagli orari di apertura fino all’”iter” per l’ottenimento delle licenze, non ha facilitato le cose ed ha reso più difficile realizzare quelle economie di scala che sono connaturali alle grandi dimensioni.

Passando ad una rapida scorsa delle quote di mercato, su un giro di affari stimato in circa 260 miliardi di Euro, di cui oltre 100 miliardi relativi ai prodotti alimentari, le insegne straniere detengono il 50% degli “iper”, quota che arriva al 66% per quelli di dimensioni maggiori (oltre i 6.500 metri quadrati ). Si tratta verosimilmente di quote destinate a crescere, con previsioni di tenuta soltanto per i prodotti alimentari per i quali i requisiti di qualità e tipicità che connotano il “Made in Italy” renderanno più difficilmente l’attacco della concorrenza francese.

Previsioni di crescita

Per concludere la panoramica sul settore, che in verità meriterebbe un’analisi più approfondita e dettagliata, che però non si attaglierebbe a queste newsletters, si ritiene che, per rispondere ad un trend che, seppure in un quadro congiunturale di sostanziale ristagno dei consumi, prevede, tuttavia, una crescita delle quote di mercato della Grande Distribuzione Organizzata, la sopravvivenza delle aziende italiane non possa prescindere dalla specializzazione dei canali. Nei prossimi cinque anni i negozi al dettaglio, di tipo tradizionale, di prodotti non alimentari dovrebbe passare dagli attuali 320.000 a circa 300.000 e quelli di prodotti alimentari da 180.000 a 150.000.

Solo allora l’Italia potrà tentare un recupero, almeno parziale, del gap che attualmente la separa dai suoi principali partners europei.

Roberto Meini
E.B.C. s.r.l. Servizi per l’internazionalizzazione