Informatica e tlc, l’Italia è rimasta al palo
09/01/2009
di Mario Cianflone
Non è un quadro positivo, quello che emerge dall’ultimo rapporto Aitech-Assinform, curato, come di consueto, da NetConsulting.
Il mercato Information communication technology cresce, è vero, nel suo complesso del 2,3%, ma a svilupparsi (neanche tanto), è solo la componente delle telecomunicazioni, dove però non corre la tecnologia o l’innovazione bensì le vendite di giochi e musiche per telefonini, mentre l’Information technology è praticamente ferma. In totale il settore Ict nel 2005 ha assunto un valore di 62,611 miliardi di euro: le tlc pesano per 43,115 miliardi e sono cresciute, rispetto al 2004 del tre per cento, mentre l’informatica ha visto una sostanziale stagnazione in virtù di un risicato progresso pari allo 0,9% per un totale di 19,496 miliardi. E a pesare non c’è solo il crollo dei prezzi di hardware, software e servizi. La realtà è che in Italia le imprese non investono in It, e a tirare sono solo i personal computer, soprattutto quelli da casa, non certo i server mediograndi e le infrastrutture It che sorreggono i business delle imprese.
L’Ict nel 2005 è cresciuta in media, in tutto il mondo, del 6,1 per cento, con le tlc a +6,5 e l’It a +5,4 per cento. Impietoso il confronto tra il nostro Paese e il resto del mondo industrializzato.
A parte la Cina, che fa caso a sé, e dove la crescita dell’It (+19,7%) è quattro volte quella americana (ma si partiva da zero, o poco più), la Spagna mette a segno un progresso del sei per cento. Si tratta della seconda migliore performance mondiale, seguita dagli Usa (+5%), dall’intera Europa (+3,5%, +4,4 nella Ue a 25), Francia (+3,3%), Regno Unito (+3,1%), Giappone (+2,9%) e Germania (+2,5%). Tutti i paesi mostrano tassi di crescita ben superiori al risicato + 0,9% italiano. Un dato che la dice lunga sulla volontà delle imprese di innovare nonostante i proclami di facciata ed è una situazione che riflette i limiti di un tessuto industriale fatto di ormai troppe nano-imprese incapaci di spendere in informatica, vuoi per mancanza di budget vuoi per carenza culturale. L’It è infatti un motore per l’intero sistema economico-produttivo e gli investimenti in tecnologia hanno positivi riflessi congiunturali. Ed è per questo che la stagnazione dell’informatica targata Italia preoccupa: a rischio infatti vi è la capacità competitiva che discende anche dalla maggiore efficienza resa possibile dall’Information technology.
La stagnazione dell’It è generalizzata in ogni settore produttivo e spiccano due dati preoccupanti nel 2005 le banche, tradizionali big spender dell’It, hanno investito meno dell’1% in più rispetto al 2004, mentre l’industria ha tagliato le spese in It di circa il tre per cento, e l’anno prima il taglio della spesa era stato di analoga portata. Si tratta di numeri importanti. Visto che le banche valgono 4,419 miliardi di euro e il manifatturiero 4,007. I due comparti insieme assorbono per quasi la metà della spesa informatica italiana. In negativo le assicurazioni, in aumento, ma meno del 2004, la spesa nel settore retail e nei servizi.
Sul fronte della richiesta pubblica, la spesa delle amministrazioni centrali si è contratta dell’1% e si
prevede per il 2006, in base alla Legge finanziaria, un’ulteriore contrazione della spesa informatica del 35%. Migliore la domanda da parte degli enti locali, cresciuta nel 2005 del 3,4%, ma assorbita per circa il 40% da società di servizi di società pubbliche. Si trattadi aziende «in house», cresciute di oltre il 4% nel corso del 2005, sorta di neo-statalismo locale con cui «invece di liberalizzare il mercato, si allarga la concorrenza sleale di chi opera in regimi protetti con i soldi dei cittadini, sottraendo spazi vitali a iniziative imprenditoriali.
Cresce, ma meno che nel 2004, solo il comparto consumer: computer e software per la casa che però hanno prezzi in picchiata e margini scarsi per produttori e importatori.
Analizzando lo spaccato del giro d’affari complessivo si nota che l’hardware è stagnante (-0,1%). In discesa anche il software (-3,5%) mentre aumentano l’assistenza tecnica (+3%) e i servizi (+1,5 per cento). Dati che testimoniano quanto nel nostro Paese le aziende spendano poco in informatica e in aggiornamento, mentre gli investimenti sono spesso concentrati sul mantenimento del parco installato.
Pare anche essere mancato lo stimolo delle Pmi. Le piccole e medie imprese, che già non erano all’eccellenza tecnica e al top di modernità, hanno speso il 3,3% in meno. Mentre le grandi e le medie, (secondo la classica ripartizione Istat) hanno fermato gli investimenti in informatica: +0,1 per cento.
L’informatica
Che il mercato italiano dell’informatin technology per le imprese sia malato lo si desume dall’asimmetria tra la dinamica di vendita dei pc, usati anche in casa, e il resto dell’hardware. In termini di unità vendute crescono – e tanto – solo i personal computer che mettono a segno un progresso del 19,4% a 4,323 milioni di pezzi. Molti pezzi sono dedicati agli utenti individuali e dunque non potenziano le capacità competitive dell’impresa. Al contrario le macchine per il business sono in discesa. Nel 2005 sono stati venduti 20.500 server di taglia media, circa il 10% in meno del 2004. Il dato non è del tutto rappresentativo di una scarsa propensione agli investimenti, quanto piuttosto mette in luce un cambiamento tecnologico e commerciale. È il midrange, il server di taglia media, come il leggendari As/400 Ibm, a non essere più attraente. Infatti il cosiddetti Pc server, ovvero macchine basate su processori Intel o Amd, simili a quelli dei pc, mettono in mostra una crescita considerevole: +17,7% per un totale di 161.200 esemplari. Il rapporto AiTech Assinform / NetConsulting include questa tipologia di elaboratori nei pc tout court, ma poco hanno a che vedere con un personal anzi le prestazioni, grazie ai microprocessori dual core di ultima generazione sono tali da rivaleggiare anche con macchine “proprietarie” grandi e immensamente più costose. I pc server inoltre hanno listini in costante discesa. Un vantaggio per le imprese che possono avere di più spendendo meno, molto meno che in passato.
In picchiata le workstation (-55,8%), ma si tratta di macchine le cui performance sono spesso eguagliate da più economici pc. In calo anche le vendite di grandi computer (un riflesso della stagnazione del banking): la potenza di calcolo installata (in termini di migliaia di istruzioni al secondo) è passata (-3,9%) da 179mila e 172mila Mips.
Ritornando ai personal si nota il boom dei portatili che grazie a un rialzo del 39,4% hanno superato i due milioni di pezzi venduti. Il classico desktop piace sempre meno e le vendite sono aumentate del 5,1% a 2,120 milioni di esemplari. Infine il mercato business dei pc, inclusi i server è cresciuto del 17,2%, ma come visto fagocita anche altri comparti dell’hardware, mentre quello consumer ha registrato un progresso del 26,7 per cento.
Il software ha visto un modesto incremento 8+1,5%9 a 4,082 miliardi di euro. Si evidenzia una crescita del middleware (+5,1%) mentre le applicazioni registrano un rialzo dell’1,6% per un totale di 568 milioni. La parte del leone (2,579 miliardi) la fanno i sistemi operativi.
Le telecomunicazioni
Le tlc (apparati, terminali e servizi per reti fisse e mobili) hanno espresso una crescita modesta: +3% a 43,115 miliardi. Le telecomunicazioni mobili mettono a segno un rialzo del 2,4% per un totale di 20,490 miliardi, mentre quelle fisse, che valgono ora 22,625 miliardi hanno visto un aumento del 3,6 per cento.
Tra i servizi di rete fissa (16,465 miliardi) è boom per Internet (+21%) a 2,390 miliardi. La banda larga ha visto un incremento del 52,4% pari a 6,780 milioni di accessi: per la xDsl è una marcia trionfale: +52,9% a circa 6,5 milioni. Bene anche la fibra (+40,1%) . Per quanto riguarda invece i servizi mobili si nota un calo del fatturato in fonia (-1,6% per un totale di 13,860 miliardi di euro), mentre sono i cosiddetti Vas, i value addedd services, ovvero, principalmente loghi suonerie e giochi a crescere: +28,8% per un totale di 3.310 miliardi di euro. Si tratta di servizi che generano dunque un’ingente massa di denaro e in virtù di prezzi spesso da capogiro (una suoneria, traffico escluso arriva a tre euro e in qualche caso a cinque), producono ampi margini per gli operatori ma contribuiscono ben poco alla crescita tecnologica dell’Italia, mentre drenano reddito disponibile dalle casse delle famiglie italiane.
Fonte:
Il Sole 24 Ore