Influenza aviaria, tra rischio e business
09/01/2009
Nelle ultime settimane il timore di una pandemia sta catalizzando le attenzioni di tutto il mondo. Il virus H5N1, che ha attecchito su centinaia di polli e volatili, ha causato anche la morte di esseri umani.
Si tratta tuttavia di un batterio già presente da alcuni anni e forse colpevolmente trascurato da tutti. E ora che il virus si sta diffondendo a macchia d’olio si parla anche del rischio di pandemia. Un’ipotesi che, se malauguratamente dovesse verificarsi (ma in realtà è poco probabile che ciò avvenga e a tranquillizzare il mondo intero è la stessa Osm) provocherebbe delle pesanti conseguenze, anche economiche. Uno studio della Banca mondiale, che risale al 1999 indica che una pandemia influenzale ad alta patogenicità potrebbe costare 550 miliardi di dollari. Certo, dovrebbe verificarsi davvero una catastrofe, ma non rischiamo tanto, anche se ad aver dato prima attenzione al virus H5N1 ora forse avremmo avuto meno paura.
A stare alle ultime cronache, l’epidemia dei polli ha colpito volatili anche in Turchia, Grecia, Macedonia, Romania: focolai avvistati in pochi giorni che hanno spronato i ministri della salute dei Paesi europei. Riuniti a Hertfordshire, alle porte di Londra, hanno deciso di estendere il blocco delle importazioni da quasi tutta la Russia.
E ora, come già avvenne per il pericolo Sars, i ministri dell’Unione fanno i conti con le disponibilità economiche per affrontare un eventuale emergenza, con le capacità organizzative di ciascun Stato e ancora di più con quella che potrebbe essere l’anello debole dello scudo contro la malattia: la reale capacità delle aziende farmaceutiche di portare sul mercato la quantità di vaccino e antivirali necessaria.
Allo stato attuale, infatti, le case farmaceutiche impegnate nella produzione di antivirali sono sostanzialmente due, di conseguenza la loro capacità produttiva è limitata. Se poi si aggiunge la durata del processo produttivo e la crescente domanda mondiale, è ovvio che i colossi in questione riescono a soddisfare solo in parte le richieste dei vari Governi. L’Italia, per bocca del ministro della Salute, Francesco Storace, ha prenotato il 12% delle dosi mondiali di vaccino, pari cioè a 36 milioni. Una quantità, che resta tuttavia limitata se solo si considera che il Belpaese conta circa 56 milioni di abitanti.
Intanto, mentre i Governi di tutto il mondo si mettono in coda per prenotare dosi di vaccino (che ricordiamo è ancora in fase di sperimentazione), la Roche, la casa produttrice del Tamiflu, un antivirale, ha registrato utili triplicati nell’ultimo trimestre, incassando così notevoli profitti.
I mercati finanziari, si sa, sono sempre stati cinici e lo confermano anche in questa occasione: oltre al gruppo svizzero, è in realtà tutto il settore farmaceutico a registrare sostanziosi guadagni con le principali aziende che si fregano le mani per i succulenti affari che stanno collezionando. E se dunque in Borsa c’è chi da questa situazione ne sta traendo profitto, gli allevatori di pollame e i venditori invece denunciano cali vertiginosi nella vendita di carni bianche.
In Italia, la Cia, la confederazione italiana agricoltori denuncia cali del 30-40% di vendita con i prezzi fermi agli stessi livelli di sei anni fa. Tutto questo sta provocando danni per gli allevatori che ammontano a decine di milioni di euro.
Fonte:
Soldi in tasca
ALAN FRIEDMAN
24/10/2005