Il recupero del dollaro ferma il greggio: meno 7 in due giorni

09/01/2009

Se i conti si fanno solo alla fine della giornata, allora i consumatori di petrolio possono tirare un piccolo sospiro di sollievo.

Gli schermi del Nymex hanno visto il future del Wti per scadenza in luglio perdere il 2,2% e chiudere a 131,31 dollari al barile, 7 meno del record assoluto registrato venerdì scorso. E il Brent all’Ice di Londra ha accusato una flessione percentualmente identica, terminando a ridosso dei 131 dollari.

Ma prima dell’assestamento i mercati avevano assistito a rapide e violente escursioni verso i 138 dollari, con interventi d’acquisto in larga misura collegati alla solita, allarmante sequenza di fosche previsioni sui prossimi traguardi dei prezzi, provenienti dai vertici di Gazprom, piuttosto che dagli analisti di Citigroup e di Merrill Lynch.
In serata hanno prevalso tre elementi determinanti. Il primo, quello di natura più tecnica, è il recupero del biglietto verde rispetto alle altre valute, un fattore che tradizionalmente favorisce il ridimensionamento delle quotazioni espresse in dollari.

Il secondo è il quinto consecutivo calo della domanda di greggio prevista dall’Agenzia internazionale dell’Energia: 86,77 milioni di barili al giorno nel 2008, 70mila meno della valutazione elaborata il mese scorso, causa l’incidenza che gli alti costi cominciano a esercitare sulla propensione al consumo.

Il terzo, quello sul quale si concentrano oggi le speranze di stabilizzazione dei corsi, è tutto di marca saudita. Riad ha ribadito che le attuali quotazioni sono «inaccetabili» e ha rispettato la promessa della vigilia: il 22 giugno a Gedda è stato indetto un incontro che vedrà la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi produttori e di quelli consumatori.

Ci sarà quasi certamente il segretario statunitense all’Energia, Sam Bodman, ci saranno i ministri dell’Opec, alcuni dei quali si sono già espressi a favore dell’iniziativa, e ci saranno anche gli esponenti di spicco delle grandi banche d’affari, che con le loro previsioni hanno contribuito a far salire la febbre del mercato.
Il segretario generale del Cartello, Abdullah al-Badri, è tra i sostenitori delle responsabilità della speculazione e di chi usa pilotarla, allusione evidente alle previsioni secondo cui la soglia di 150 dollari è pronta per essere infranta già questa estate, come hanno affermato nei giorni scorsi gli analisti di Goldman Sachs e quelli di Morgan Stanley (questi ultimi accennando all’ipotesi secondo cui la quotazione potrebbe essere raggiunta il 4 luglio, la festa dell’Independence Day).

L’incontro di aprile a Roma tra Paesi produttori e consumatori non aveva dato risultati a livello di mercato, ma per al-Badri l’incontro a Gedda potrebbe condurre a misure capaci di frenare la speculazione. Come gesto di buona volontà da parte dell’Organizzazione, l’Arabia saudita ha aperto ulteriormente i rubinetti in giugno: 9,45 milioni di barili al giorno, 300mila di più rispetto a maggio, nonostante i produttori insistano nel ritenere che il mercato sia ben rifornito. A sostenerlo con forza è Teheran, e qualche ragione ce l’ha: ieri c’erano intorno all’isola di Kharg, in Golfo Persico, 14 tanker, capaci di contenere 28 milioni di barili, più un’altra petroliera in avvicinamento. Navi che in base alle indicazioni del Baltic Exchange costavano di nolo 109.910 dollari al giorno, quasi 4 volte di più rispetto all’inizio di aprile.

Ovvio che la statale Nioc intenda ridurre il numero di scorte galleggianti, anche a costo di concedere sconti notevoli per far accettare greggio un po’ troppo pesante e con un po’ troppo zolfo.

Fonte:
Il Sole 24 Ore