“Il popolo che non era mai esistito”
09/01/2009
Si celebra oggi il Giorno del Ricordo istituito per commemorare gli esuli fiumani, istriani e dalmati. Simbolo delle manifestazioni la città di Trieste e le foibe di Basovizza e di Monrupino, dichiarate Monumento Nazionale.
Trieste – “Per la prima volta dalla fine della guerra il Governo italiano ricorderà tutti quegli italiani che per troppo tempo non sono stati considerati come tali”. Con queste parole il Ministro per gli Italiani nel Mondo Mirko Tremaglia ha presentato il Convegno Mondiale degli Esuli in programma, oggi, a Trieste in occasione della prima celebrazione del Giorno del Ricordo .
Ideato e organizzato dallo stesso Ministro per gli Italiani nel Mondo con l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi l’evento ha visto la partecipazione di esuli fiumani, istriani e dalmati provenienti da Argentina, Australia, Brasile, Canada, Sud Africa, Stati Uniti, Uruguay.
Oltre lo specchio d’acqua dell’Adriatico si immaggina di nuovo quel litorale, che le cartine geografiche attribuiscono oggi alla Slovenia ed alla Croazia, da cui tra il 1945 ed il 1954 partirono circa 350 mila persone, secondo i dati diffusi dalla Lega Nazionale Trieste.
Quando l’Italia, con la sconfitta in guerra, perse l’Istria con Pola, Fiume e la dalmata Zara, centinaia di migliaia di italiani decisero di abbandonare le loro case: da Fiume, secondo alcune cifre, fuggirono 54 mila dei 60 mila abitanti. Da Pola scapparono in 30 mila. Da Zara in 20 mila su 21mila. Da Capodistria 14 mila su 15 mila. Di questi, 80 mila si imbarcarono per le Americhe e per l’Australia, 100 mila vennero accolti in Friuli Venezia Giulia e altri trovarono rifugio nelle baracche di centonove campi profughi, allestiti dal Carso alla Sicilia.
Scappavano dai partigiani jugoslavi dell’Esercito di Tito che avevano occupato la penisola istriana e le coste della Dalmazia. Gli infoibamenti (persone che venivano gettate, spesso ancora vive, nelle foibe, voragini di origine carsica) erano iniziate dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Le vittime delle foibe furono, sempre secondo stime della Lega Nazionale Trieste, circa 10 mila (non tutte infoibate; alcuni venivano infatti rinchiusi in campi di concentramento). Spesso si trattò di vendette personali tra la popolazione civile, di ritorsioni nei confronti non solo dei rappresentanti istituzionali del Governo italiano, ma anche di figure che venivano identificate quali simbolo della borghesia italiana in quelle terre.
“Ho cercato di rendere omaggio alla storia ed alle vicende di un popolo che oggi è disperso in ogni angolo del mondo; una storia che l’Italia per decenni ha dimenticato” racconta Roberto Mania, parlamentare di Alleanza Nazionale, primo firmatario della legge n 92 dell’11 febbraio 2004 che ha istituito il giorno del ricordo al fine di, recita il testo del documento, “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, l’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale “.
Simbolo di quei drammatici eventi Trieste, città che ha ospitato gran parte degli esuli, i cui discendenti rappresentano oggi un terzo del tessuto sociale del centro urbano e della provincia, e come tale scelta quale teatro principale delle celebrazioni del 10 febbraio; la città nei cui dintorni si trovano le due foibe divenute Monumento Nazionale, quella di Basovizza e quella di Monrupino.
Di valenza simbolica anche la scelta della data in cui celebrare il giorno del ricordo. “Il 10 febbraio 1947 – ricorda infatti Menia – venne firmato a Parigi il trattato di pace tra l’Italia e le forze Alleate; un documento la cui ratifica da parte del Regno d’Italia comportò la perdita delle terre dell’Adriatico orientale dando origine all’esito più grande che la storia del nostro Paese ricordi “.
“Un evento che ha comportato, oltre alla fuga di migliaia di persone – sottolinea ancora il primo firmatario della legge che ha istituito il Giorno del Ricordo – la scomparsa di secoli di cultura e lingua italiane, oggetto di un irreversibile processo di slavizzazione. Ragusa era la quinta repubblica marinara d’Italia per importanza e vi si parlava un italiano simile a quello fiorentino. Oggi che la città si chiama Dubrovnik, quanti italiani sono a conoscenza di questo passato? Un discorso che vale per altre città un tempo note come Fiume, Capodistria, Pola ed oggi segnalate sulle carte coi nomi di Rijeka, Koper, Pula” .
Riguardo al significato che le celebrazioni ufficiali di oggi rappresentano per gli esuli ed i loro discendenti Menia non ha dubbi. “Si tratta della realizzazione di un sogno per le nostre comunità che si sono allontanate e che ora non dovranno più ricordare quei giorni in modo semi-clandestino, carbonaro, come avveniva in passato, ma potranno farlo con il sigillo dello Stato “, ricorda il deputato, figlio di esuli istriani che hanno abbandonato la terra natia per trasferirsi a Trieste.
Un ricordo, quello degli esuli costretti a lasciare le loro case per timore di repressioni da parte dell’esercito di Tito, che ancora oggi provoca turbamenti negli stessi protagonisti di quei giorni. E’ questo il senso delle parole con le quali il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha salutato le celebrazioni del 10 febbraio. “Nessuna delle pagine delle nostra storia può essere cancellata – si legge nel comunicato istituzionale – anche se il ricordo provoca turbamento, dolore, vergogna. Solo il ricordo di ciò che copre di vergogna l’essere umano può impedire di ripercorrere la stessa strada dell’odio e di generare i medesimi mostri “.
“I principi di dignità della persona, di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei diritti delle minoranze – ha invece sottolineato il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – sono il fondamento dell’Unione Europea. In questa nuova realtà unitaria contrassegnata dall’abolizione fisica delle frontiere, italiani, sloveni e croati possono guardare con fiducia ad un comune futuro, possono costruirlo insieme: consolidando innanzitutto una convivenza in cui la diversità è il fattore di arricchimento reciproco, in cui le radici e le tradizioni di ognuno vengono rispettate nella loro pari dignità”.
Quindi il pensiero del Capo di Stato si sofferma con commozione “a coloro che perirono in condizioni atroci nelle Foibe, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945; alle sofferenze di quanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case in Istria e in Dalmazia”. “Questi drammatici avvenimenti – prosegue Ciampi – formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni. E’ giunto il momento che i ricordi ragionati prendano il posto dei ricordi esasperati”.
Un pensiero condiviso da Errol Superina caporedattore responsabile de “La Voce del Popolo”, il giornale delle comunità italiane di Slovenia e Croazia, che nei giorni scorsi aveva criticato aspramente i contenuti della fiction televisiva “Il cuore nel pozzo”, trasmessa da Rai Uno il 6 ed il 7 febbraio; un programma che a suo avviso “non recupera niente, insegna poco e ricorda male “.
“Sebbene sia odioso e irriverente verso le vittime di quelle tragedie lasciarsi coinvolgere in un discorso perverso di reciproche accuse e di rialzo del numero dei morti e delle vessazioni subite e sebbene una violenza non possa trovare giustificazione in un sopruso precedente – ammonisce infatti Superina – per capirne le origini scatenanti, come nel caso delle foibe, non si può prescindere da quella che fu una comprensibile reazione alla sciagurata politica fascista che ha coperto d’infamia l’Italia e gli italiani : le snazionalizzazioni e le persecuzioni perpetrate a danno degli Slavi in Istria e a Fiume, i morti, i villaggi rasi al suolo, le sentenze del tribunale speciale, i campi di concentramento “.
Per questo motivo, secondo il caporedattore responsabile de “La Voce del Popolo” il Giorno del Ricordo dovrebbe costituire l’occasione per avviare una discussione serena, una riflessione che permetta alle giovani generazioni di conoscere la verità raccontata in modo rispettoso per tutte le vittime del conflitto. “Al contrario – conclude Superina – temo che in parte si stia facendo un uso strumentale di quegli eventi utilizzando la giornata del ricordo con dichiarazioni”.
“In Italia, dopo più di mezzo secolo d’ignoranza, d’insensibilità e d’indifferenza – racconta, invece, sulla mailing-list dell’ADES, Claudio Antonelli docente all’Università di Montreal, Canada, figlio di esuli che partirono da Pisino nella Penisola istriana – sono intervenuti dei cambiamenti. Accogliendo un augurio espresso anni prima da Indro Montanelli, Il Ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha chiesto ufficialmente scusa ai profughi giuliano-dalmati e ai loro discendenti per la maniera in cui l’Italia li ha per tanti anni trattati. Alcune piazze e alcune strade sono state intitolate alle vittime degli eccidi commessi dai partigiani di Tito. È stato emesso un francobollo per commemorare il nostro esodo “.
Ma l’emissione dei nuovi francobolli, nel giudizio di Antonelli, è giunta troppo tardi per quanti “si sono spenti lontani dalle amate terre, lasciando ai superstiti il lutto per quel mondo distrutto”. “Comunque – conclude Antonelli – per la prima volta si parla di noi: il popolo che non era mai esistito “.
Ma quale è oggi il grado di conoscenza della vicenda che ha coinvolto, secondo le stime più attendibili, circa 350 mila esuli?
“Rispetto anche solo a dieci anni fa la conoscenza, almeno superficiale, dell’esistenza degli esuli e della tragedia delle foibe – risponde Giovanni Sabbatucci, Docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma e consulente storico per la realizzazione della fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” – risulta incomparabilmente maggiore che in passato; altro è la conoscenza approfondita di una vicenda particolarmente complicata e sulla quale la storia ancora si interroga “.
Secondo Sabbattini a far riaccendere i riflettori della storia su episodi a lungo dimenticati sarebbero stati in particolare il crollo del muro di Berlino e la conseguente nascita di una rivisitazione in chiave critica degli eventi verificatesi negli anni della guerra fredda da un lato, l’esplosione del conflitto nell’ex Jugoslavia che all’inizio degli anni Novanta ha riportato d’attualità il tema della difficile convivenza tra le etnie che abitano la penisola balcanica, dall’altro.
Se negli auspici del Ministro per gli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia le celebrazioni del 10 febbraio rappresentano “un’occasione storica per fare un passo avanti verso quella pacificazione nazionale che gli italiani hanno sognato per decenni”, secondo il docente de La Sapienza il percorso per arrivare a tale pacificazione è ancora lungo e forse non si realizzerà mai appieno. “C’è ancora una forte valenza polemica connessa a quegli eventi e non penso che si arriverà mai ad una riconciliazione dei punti di vista, ma questo è un bene per la storia che deve sempre interrogarsi e studiare gli eventi del passato secondo differenti prospettive”.
“Se giustamente si vuole andare oltre l’oblio e la rimozione che c’è stata per molto tempo su questi capitoli della storia – ammonisce infatti Sabbatucci – bisogna però ricordare che il rilievo posto su una vicenda storica piuttosto che su un’altra non è mai neutro, ma nasce sempre in relazione con lo spirito dei tempi . Tocca allo storico cercare di attenuare le deformazioni, ma ripeto, un certo grado di strumentalizzazione è fatale su ogni evento che si decide di ricordare e su come si decide di farlo”.
Notiziario NIP – News ITALIA PRESS agenzia stampa – N° 28 – Anno XII, 10 febbraio 2005