Il paradosso delle fiere: stand pieni e conti in rosso
25/09/2017
La Stampa, Economia – 25 settembre 2017
Il paradosso delle fiere: stand pieni e conti in rosso
Sono il volano del nostro export, troppi enti però faticano a uscire dalla crisi. Aumentano le perdite dei big: 46 milioni nell’ultimo anno
di Paolo Baroni
ROMA
Stand sempre più affollati, buyers che arrivano a frotte da ogni parte del mondo, ma alla fine della fiera anche tanti conti pericolosamente in rosso. Vanno male le grandi piazze, come alcune più piccole, si salva e cresce chi si aggrega, chi si specializza e realizza al suo interno le rassegne e chi riesce a sfondare all’estero: soffre la Fiera di Milano, che vive tanto di spazi dati in affitto ad organizzatori esterni; continua a perdere milioni di euro quella di Roma; a Bologna si litiga tra Comune e privati e dopo un anno cambia di nuovo il presidente; a Genova, Cagliari e Palermo le società sono in liquidazione da tempo. Secondo le stime de La Stampa, in base ai bilanci del 2016 approvati nelle passate settimane, le 6 principali società che gestiscono manifestazioni fieristiche nel nostro paese hanno totalizzato 46 milioni di perdite, ben 17,7 in più dell’anno precedente.
CHI PERDE E CHI GUADAGNA
In generale le fiere italiane generano un grande movimento: 200 mila espositori totali, 22 milioni di visitatori all’anno stranieri compresi (1,3 milioni), ma molte di loro faticano a trovare un assetto finanziario stabile. Il grosso del deficit l’anno passato lo ha prodotto la Fiera di Milano, l’unica quotata a Piazza Affari, ed anche l’unica di stazza europea in grado di competere coi giganti tedeschi (Colonia e Francoforte) pur fatturando la metà (340 milioni contro oltre 600), società che l’anno passato «a causa di un calendario sfavorevole» è finita in rosso per 22,9 milioni dopo un buco di 1,5 milioni nel 2015 (l’anno dell’Expo) e i -30,7 del 2014.
Poi c’è Roma che fa caso a sé, visto che la società che ha realizzato il quartiere fieristico sulla direttrice che porta all’aeroporto di Fiumicino, la Investimenti spa, ha perso 38,25 milioni, mentre la controllata Fiera Roma srl che si occupa della gestione dei padiglioni ha chiuso il 2016 con 1,8 milioni di perdite prima delle tasse dopo i -4,5 del 2015 ed i -13,3 del 2014. Bolognafiere dopo essere andata in rosso per 6,6 milioni nel 2015 è tornata in attivo per 432 mila euro, lo stesso vale per Verona che l’anno passato ha registrato un utile di 1,1 milioni dopo i -5,6 del 2015, annata in cui però è stato spesato integralmente l’investimento per l’Expo.
Decisamente più in salute Parma (+7 milioni), ed il tandem Vicenza-Rimini, fuse dall’anno passato nell’Italian Exhibition Group (IEG) e che a sua volta mette a segno un utile di 6,6 milioni. Tante altre fiere boccheggiano, altre invece sono sul filo del pareggio come Bolzano (+220 mila euro), Napoli Oltremare (+70 mila dopo il -6,6 milioni del 2015 e i -2,4 del 2014) e la fiera del Garda (+500 mila). Ettore Riello, presidente dell’Associazione esposizioni e fiere italiane Aefi), si mostra però ottimista («tutti i dati ci confermano che anche nel 2017 la ripresa del settore continuerà») circoscrivendo le difficoltà a «qualche situazione». In parte «conseguenza della crisi degli ultimi anni, in parte legata agli importanti investimenti fatti e all’incertezza su alcune normative che pesano sulla situazione patrimoniale dei quartieri fieristici, come ad esempio le recenti modifiche dell’Imu che equiparando le fiere ai centri commerciali hanno prodotto una distorsione enorme».
RAFFICA DI CAMPIONARIE
In Italia si contano una trentina di fiere, 26 quelle associate ad Aefi, per un totale di 4,2 milioni di metri quadrati di superficie espositiva di cui 2,27 coperti, dato che fa di noi i secondi in Europa dopo la Germania e quarti al mondo dietro Usa e Cina. Si tratta perlopiù di società o enti a controllo pubblico, partecipati da Comuni, Province, Regioni e Camere di commercio, che quest’anno daranno vita a quasi mille manifestazioni: al fianco di 200 fiere di livello internazionale e di altre 89 organizzate all’estero (40% Cina, 15% Brasile, 9% sia Usa che india), si contano ben 266 rassegne nazionali e 400 regionali/locali, in pratica folklore e poco di più. Nell’ambito delle rassegne internazionali, quelle più importanti perché muovono i veri fatturati, a farla da padrone sono tre regioni su tutte: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Tra i settori svetta il tessile-abbigliamento-moda con 41 rassegne sulle 200 totali, seguito da sport e hobby, gioielli e meccanica con 23 a testa.
UN VOLANO PER I TERRITORI
Nel complesso, secondo le stime di Aefi, ogni anno durante le rassegne fieristiche vengono conclusi affari per 60 miliardi di euro e ben il 50% delle nostre esportazioni nasce da contatti originati dalla partecipazione a questo tipo di manifestazioni. Tant’è che il 75,3% delle imprese vede nella fiera uno strumento fondamentale per il proprio sviluppo, un «cardine importante» della nostra economia, che tra l’altro genera ricadute sui territori attraverso l’indotto.
Troppa offerta? Molto spesso le città faticano a rinunciare alla loro vetrina, anche a costo di perdere milioni di euro o di farsi concorrenza le une con le altre a distanza di pochi chilometri. «I campanilismi, frutto della stratificazione dei legami coi territori, vanno lasciati da parte: serve una grande alleanza tra le fiere sia per prodotti che per aggredire assieme nuovi mercati», sostiene Riello. «Sui calendari vorrei vedere un po’ meno aggressività – sostiene a sua volta il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini -. Rubarsi le manifestazioni alla fine si traduce solo in una danno».
Proprio nella sua regione il lavoro da fare è tanto: qui i quartieri fieristici sono ben 10, in pratica uno per capoluogo (ma Modena e Ferrara da anni sono finite sotto Bologna). Per questo all’inizio del suo mandato ha proposto di unire le tre società più forti, ovvero Parma, Bologna e Rimini, che possono contare su una proiezione internazionale. Nel frattempo, però, Rimini si è fusa con Vicenza; Parma registra il parziale disimpegno di Comune e Provincia a favore di Cariparma-CréditAgricole e fa corsa a sé col suo Cibus (un po’ stretta tra Milano e Verona); mentre Bologna, che intanto dialoga anche con Verona, sta per avviare una profonda riorganizzazione puntando molto sullo sviluppo internazionale grazie a brand di grande successo come il Cosmoprof ed i suoi derivati e la fiera del libro per ragazzi. «Non credo che piccolo sia bello – ha spiegato Bonaccini a giugno in occasione della Giornata mondiale delle fiere –. Piccolo è bello se si sta insieme a qualcuno. Per competere coi tedeschi serve allargare la collaborazione tra i vari enti». Che occorra razionalizzare il settore e puntare sulle eccellenze, specializzando i vari poli è convinto anche il governo. Che da quando Calenda era ancora viceministro attraverso il piano per l’internazionalizzazione ha convogliato sul nostro sistema-fiere quasi 80 milioni di euro a patto che i calendari venissero razionalizzati e non si fossero sovrapposizioni. Piano piano, quindi, anche sul fronte delle aggregazioni, finalmente qualcosa si muove. «IEG» ha stretto un accordo con Arezzo, alleanza che consente di coordinare le nostre due manifestazioni più importanti nel campo dell’oro e della gioielleria, e Bologna ha ufficializzato l’ingresso col 15% nella nuova società che gestirà gli spazi delle Fiera del Levante.
A inizio luglio, poi, su iniziativa di Cremona Fiere ha preso corpo il progetto Lombardia fiere che oltre a Cremona associa in un unico soggetto il Centro fiere di Montichiari, l’Ente fiera Promoberg di Bergamo e Pro Brixia e che punta a rappresentare l’East Lombardy, area che da sola vale il 22% del Pil nazionale ed il 10% dell’export.
LE SFIDE FUTURE
Il futuro? Per Riello «le fiere dovranno essere sempre meno spazi fisici in cui esporre e sempre più partner e consulenti per il business delle aziende, che devono saper anticipare le tendenze dei mercati, con metodologie sempre più innovative, puntando alla creazione di eventi sempre più mirati e personalizzati, puntando ad una sempre maggiore integrazione tra esposizioni ed eventi congressuali, sviluppando ulteriormente i fuori salone. Senza dimenticare che ora tecnologia, web e social media grazie alla loro enorme potenzialità consentono di far vivere le fiere non più solo 3-4 giorni all’anno ma 365, trasformandole in vere e proprie piattaforme di marketing».
Fonte: http://www.lastampa.it/2017/09/25/economia/il-paradosso-delle-fiere-stand-pieni-e-conti-in-rosso-3QVelRYoiQNGb71E7Q9mZO/pagina.html