Il freddo riporta il petrolio a quota 50

09/01/2009

I mercati guardano alle elezioni in Irak e alla riunione Opec del 30 gennaio.

Il petrolio «rivede» quota 50 dollari. Nelle contrattazioni elettroniche after-hours a New York, il prezzo del greggio si è attestato a 49,40 dollari, dopo essere salito a 49,60 ieri nel corso degli scambi regolari. A spingere in alto i prezzi sono le rigide temperature negli Stati Uniti, che fanno prevedere un aumento della domanda e un incendio scoppiato ieri in una raffineria in Louisiana. Gli investitori sono invece in allerta per ciò che potrebbe succedere il 30 gennaio in occasione delle elezioni in Irak e del meeting dei Paesi Opec.

Il freddo polare nel Nordest Usa, il maggiore consumatore di prodotti da riscaldamento, ha fatto decisamente lievitare la domanda. Le scorte Usa di distillati, che comprendono anche il gasolio da riscaldamento, sono previste, secondo un sondaggio Reuters, in discesa di 2,4 milioni di barili nella settimana al 21 gennaio poichè gli stessi consumatori privati ne hanno scorte in vista del gelo. Invece le previsioni del tempo per i prossimi febbraio e marzo sono per una temperatura più mite del normale e ciò dovrebbe distendere il mercato.

Com’è andato il 2004
Il 2004 è stato l’anno dei record per i prezzi del petrolio, che ha toccato sulla piazza di New York il 25 ottobre scorso i 55,67 dollari al barile e più complessivamente in media, sia negli Usa che a Londra, ha registrato un rialzo della quotazione del 34% rispetto all’ anno precedente. Ma per l’anno appena iniziato le previsioni indicano una frenata, sia pure contenuta, dei prezzi, in vista della decelerazione della ripresa economica mondiale, che dovrebbe comportare una minore domanda di greggio.

In ogni caso, l’anno appena alle spalle è stato veramente shock per l’economia internazionale, tenuto conto del fatto che all’inizio ben pochi analisti avevano previsto un rialzo di questo genere. Una dinamica innescata – ripresa mondiale a parte – dalle tensioni geopolitiche, con la difficile situazione venezuelana e nigeriana, le difficoltà a far ripartire le esportazioni irachene, il dissesto del colosso russo Yukos e i danni provocati dagli uragani negli Stati Uniti, che hanno pesato sulla produzione del Golfo del Messico.

In particolare, da marzo 2003 l’Irak ha perso circa 8 miliardi di dollari a causa dei sabotaggi agli oleodotti del Paese. «Le esportazioni – ha ricordato il ministro del petrolio iracheno, Thamer Abbas Ghadbane – sono ridotte al sud, a causa degli attacchi alle raffinerie di Bassora, e bloccate al nord dopo il sabotaggio a Mossul»

Dopo aver toccato il 25 ottobre il picco a ridosso dei 56 dollari al barile, in ogni caso, i prezzi hanno cominciato a scendere repentinamente da questi massimi. La chiusura a New York nell’ultimo giorno di seduta del 2004 è avvenuta così a 43,45 dollari al barile, mentre a Londra l’ultimo prezzo è stato di 40,46 dollari.

Le oscillazioni violente dei prezzi verificatesi lo scorso anno sono comunque strettamente legate a movimenti speculativi, in quanto in effetti i Paesi produttori hanno sempre fatto in modo che l’economia internazionale non dovesse lamentare carenze nelle forniture. Dopo che i prezzi hanno cominciato a scendere dai livelli-record di fine ottobre, peraltro, i Paesi Opec hanno deciso di tagliare la produzione, per un ammontare di un milione di barili al giorno, con decorrenza dal 1° gennaio.

Per il 2005, in base alle previsioni formulate dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, la domanda mondiale di petrolio dovrebbe aumentare di 1,4 milioni di barili al giorno, contro i +2,6 milioni del 2004, che a sua volta ha rappresentato la crescita maggiore dal lontano 1976. Secondo stime raccolte da Bloomberg, il prezzo sul mercato Usa dovrebbe essere in media di 43 dollari al barile nel primo trimestre del 2005, e di 39 dollari nella media riferita all’intero anno, mentre la quotazione del Brent sarebbe rispettivamente pari a 40 dollari e 36,7 dollari.

Il Sole 24 Ore
26/1/2005