Il dilemma tra crescita e rigore

09/01/2009

Il fronte della finanza pubblica si sta rivelando, com’era nelle attese, il più impegnativo e preoccupante per il nuovo Governo, che ne deve gestire il risanamento: l’obiettivo di un rapporto deficit/Pil pari al 3,8% nel 2006, indicato all’inizio di aprile nella Relazione trimestrale di cassa, è apparso fin da subito fuori portata.

Secondo le ultime stime, presentate nella ricognizione sui conti (due diligence) della commissione Faini, esso starebbe puntando verso il 4,6%, da un valore tendenziale aggiornato del 4,1%; sarà necessaria pertanto, nella seconda metà di quest’anno, una manovra correttiva di almeno 0,5 punti di Pil, equivalenti a 7 miliardi di euro, per rimetterlo in linea con quanto previsto dalla scorsa Legge finanziaria. Ma il maggiore problema è dato oggi dalla possibilità di rispettare o meno il percorso di rientro del deficit sotto il 3% del Pil nel 2007, mentre le stime delle istituzioni internazionali (Fondo monetario, Commissione europea e Ocse) e dei principali centri di previsione collocano il disavanzo italiano ampiamente sopra il 4% anche nel prossimo anno.

Senza interventi strutturali sulla spesa pubblica nella Finanziaria 2007, a cominciare dalla sue aree più critiche quali previdenza, sanità ed enti locali, l’Italia rischia, infatti, l’avvio in sede di Unione europea della procedura di deficit eccessivo, che potrebbe essere accettata contestualmente allo slittamento di un anno (dal 2007 al 2008) del programma di rientro nella soglia del 3%, com’è del resto avvenuto per la Germania, il cui termine di aggiustamento è stato portato al 2007. La situazione sarebbe, comunque, a rischio per le prevedibili reazioni di sfiducia dei mercati finanziari e delle agenzie di rating, preoccupati in particolare dell’andamento del debito pubblico che ha ripreso a salire e dell’avanzo primario, ormai ridotto a livelli insignificanti (meno di mezzo punto di Pil). Non è più tempo, dunque, di operazioni di finanza straordinaria e “creativa”, ma occorre intervenire con misure correttive strutturali per mettere sotto controllo i grandi capitoli della spesa pubblica corrente centrale e periferica, che deve così trovare forme permanenti di copertura.

Verso la Finanziaria 2007 e il Dpef di legislatura

Negli ultimi due anni le tendenze dei principali aggregati della finanza pubblica italiana hanno mostrato una netta accelerazione nel processo di deterioramento, già in atto dal 2001. Il debito è tornato ad aumentare in rapporto al Pil, per la prima volta dopo il 1994, e sta risalendo quest’anno verso il 108%, dal 106,4% registrato nel 2005 e in sensibile rialzo dal 103,8% del 2004, che ne rappresenta il recente livello minimo. Il saldo primario di bilancio, poi, si è pressoché annullato (è pari allo 0,4-0,5% del Pil, dopo aver perso ben tre punti in cinque anni), mentre i tassi d’interesse hanno ripreso a salire. Una situazione tanto più preoccupante perché il debito italiano, continuando a superare il 100% del Pil (insieme alla Grecia), costituisce senza dubbio l’area più critica della finanza pubblica europea. Gli interessi passivi inoltre, a partire da quest’anno e soprattutto nei prossimi, non dovrebbero più contribuire a contenere il deficit di bilancio, al contrario di quanto è accaduto nello scorso decennio.

Una temporanea via d’uscita può essere la ricontrattazione con la Commissione europea dell’orizzonte biennale di rientro dal deficit, che dovrebbe attenuare la consistenza della manovra correttiva nel corso del 2006. L’intervento sul bilancio sarebbe in tal caso parzialmente rinviato alla prossima Legge finanziaria, insieme alla contestuale dilazione dell’obiettivo di disavanzo sotto il 3% all’anno successivo. Ci si potrebbe così concentrare sul Dpef 2007-2011 (esteso all’intera legislatura) e sulla Finanziaria 2007, che tra correzione ed esigenze di sviluppo comporterebbe misure intorno ai 28-30 miliardi complessivi. Il programma di aggiustamento meno stringente non ostacolerebbe, secondo questo scenario, gli spunti di ripresa che incominciano ad arrivare anche dalla domanda interna e sarebbe evitata, nello stesso tempo, la paralisi delle opere pubbliche (dall’Anas alle Ferrovie). I tassi d’interesse in rialzo e l’euro forte non aiutano, a loro volta, le esportazioni e la competitività. Ma la possibile dilazione temporale dell’aggiustamento non consente certo di abbassare la guardia sul difficile versante della spesa.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
Michele De Gaspari