Il conto sui cambi al tavolo degli emergenti
15/08/2011
Goldman Sachs ha già annunciato la sua strategia: vendere dollari americani, scommettendo sull'ormai certa riapertura del cosiddetto quantitative easing. Cioè della manovra ultra-espansiva con cui la Federal Reserve crea moneta e deprezza la valuta americana. La speculazione, insomma, è già pronta ai blocchi di partenza: appena la Fed annuncerà ulteriori inondazioni di liquidità, gli investitori potranno riprendere i loro giochetti. Goldman Sachs ha già dato il via.
E tutti gli altri le andranno dietro: potranno anche ricominciare – in realtà non hanno mai smesso – a prendere soldi in prestito negli Usa (dove il denaro costa zero e la liquidità abbonda) per investire dove i tassi d'interesse sono più elevati. Cioè nei Paesi emergenti.
Il problema è che una manovra monetaria che la Federal Reserve avvia, sperando si ridare fiato all'economia Usa e che gli investitori usano per poter speculare un po', rischia di avere effetti negativi nelle economie emergenti. Perché, attirati da tassi d'interesse elevati, capitali speculativi entrano in Paesi come il Brasile, la Cina e in tutti gli emergenti rischiando di gonfiare le loro valute e di strozzare le economie interne. L'Institute of International Finance calcola che nel 2011 i capitali privati in entrata sui mercati azionari e obbligazionari dei paesi emergenti saliranno a 1.041 miliardi di dollari: stima che è stata aumentata rispetto a quella calcolata a gennaio.
I Paesi più gettonati dalla speculazione sono il Brasile e la Cina: lo Stato sudamericano, come si vede nella grafica, ha registrato nel 2011 flussi netti di capitali in entrata (cioè gli ingressi meno le uscite) per 128,9 miliardi di dollari: cifra che rappresenta una crescita del 189% rispetto al 2008. In Cina i capitali in entrata sui mercati finanziari sono aumentati dell'80%. Ma in altri Paesi, più piccoli, la crescita è ancora più evidente: in Malesia l'aumento rispetto al 2008 è stato del 733%, in Thailandia dell'844%. Solo l'Egitto nel 2011 sta registrando deflussi di capitali. Ma qui la causa è evidente: la crisi politica.
Questi fiumi di denaro che entrano nelle Borse e nei mercati obbligazionari emergenti (i dati non includono altro tipo di investimenti) rischiano però di creare contraccolpi pesanti in queste economie. Per esempio un surriscaldamento delle loro valute, che zavorrerebbe le esportazioni. Attualmente, complice il clima mesto sui mercati, non sta accadendo in maniera evidente. Ma l'anno scorso, in occasione del secondo quantitative easing della Federal Reserve, era successo in maniera dirompente. Tanto che alcuni Paesi emergenti, primo fra tutti il Brasile, avevano addirittura dovuto alzare le tasse sui capitali in ingresso per scoraggiare gli speculatori americani.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
Morya Longo