Il Brasile? E` pur sempre il paese del futuro
02/10/2014
Fu probabilmente il grande Stefan Zweig, fuggito in Brasile dalla persecuzione nazista per poi suicidarsi lì, a coniare l’espressione «Brasile, il Paese del futuro». Gli scettici, che biasimano la promessa non mantenuta del Brasile, amano ripetere che è il Paese del futuro e sempre lo sarà. In ogni caso, uno sguardo ai trascorsi storici sul lungo periodo del Brasile mette al riparo da un pessimismo eccessivo.
Perfino adesso che l’economia mondiale è in ripresa, il Brasile fa parte di un numero ristretto di Paesi in recessione. Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) prevede che nel 2014 e nel 2015 sarà una delle economie in via di sviluppo dalla crescita più lenta. Una delle ragioni di questo fenomeno è l’inflazione, in Brasile di gran lunga troppo alta e che fa sì che la Banca centrale pratichi una stretta continua della politica monetaria, strangolando ancora più, di conseguenza, la crescita. Inoltre, dopo vari tentativi falliti da parte del governo di stimolare la crescita, un deficit di budget elevato comporta il fatto che l’arsenale fiscale brasiliano sia vuoto.
Oltre a ciò, il Brasile non è competitivo: la Banca Mondiale ritiene troppo elevati rispetto alla sua produttività il costo della manodopera e i costi dell’attività imprenditoriale. Le infrastrutture del Paese sono inadeguate, vi è penuria di competenze e il sistema dell’istruzione non vi pone rimedio, le imposte sulle società sono troppo alte e complicate.
La criminalità – conseguenza almeno in parte di un’altissima sperequazione di reddito – continua tuttora a costituire un grave problema. La corruzione del governo è argomento di tutti i giorni per i quotidiani. Il tasso di cambio, secondo il Fmi, è sopravvalutato del 10-15 per cento. I brasiliani chiamano questa sindrome “Custo Brasil” (“Costo Brasile”, ndr). Da tutto ciò consegue un processo di deindustrializzazione e un notevole deficit delle partite correnti, aggravato da un tasso relativamente basso di risparmio nella nazione. Invece di affrontare e risolvere le cause all’origine della bassa competitività del Paese, il governo Rousseff si è impegnato nel protezionismo. Non stupisce quindi che la fiducia sia ai minimi storici e che negli ultimi anni gli investimenti in Brasile siano rimasti indietro rispetto a quelli in altri Paesi in via di sviluppo.
Caso chiuso? Non del tutto. Le prospettive per l’economia brasiliana dipenderanno dal vigore col quale il prossimo governo perseguirà politiche concepite a porre rimedio a questi problemi. Perché, almeno da un punto di vista tecnico, vi si può porre rimedio. È incoraggiante il fatto che i trascorsi storici del Brasile indichino che il Paese può fare di gran lunga meglio. Dopo tutto, malgrado i suoi molteplici problemi, il Brasile si è affermato fino a diventare la settima economia più grande del mondo, più della Francia o dell’Italia. Oggi quindi ha un’apprezzabile classe media e un mercato di consumatori, tanto da essere diventato, per esempio, il quarto mercato automobilistico più importante al mondo.
Nel 2008 la Growth Commission – un’associazione di illustri economisti presieduta dal premio Nobel Michael Spence – ha incluso il Brasile in un gruppo di appena 13 Paesi che si distinguono per il fatto di aver raggiunto una crescita molto alta nell’arco di trent’anni. Il Brasile è cresciuto a un ritmo annuo prossimo all’8 per cento tra il 1950 e il 1980, moltiplicando di nove volte in una sola generazione la sua produzione. A quella fase fecero seguito due decenni pessimi, inaugurati dalla crisi del debito dell’America Latina.
Continuò a crescere, seppure a un ritmo molto più lento, e senza per altro riuscire a tenere il passo con i Paesi ricchi. Poi, tra il 2000 e il 2012, i prezzi dei prodotti primari sono aumentati, la gestione macroeconomica è migliorata anche grazie a un tasso di cambio più flessibile, e la crescita è risalita intorno al 3,5 per cento annuo: si tratta di un indice assai rispettabile, conseguito nonostante l’avvento della Grande Recessione. Pertanto, la storia dello sviluppo del Brasile – anche fino a qualche anno fa – dimostra che il Paese è tutt’altro che vicino a quel disastro irrimediabile di cui si parla talvolta. Nessuno può affermare con sicurezza se la promessa del Brasile sarà effettivamente mantenuta. In ogni caso, però, siamo in presenza di un’economia che può chiaramente crescere in modo rapido su lunghi periodi, che ha abbondanti risorse naturali, e che vanta un mercato di 200 milioni di persone.
Il Brasile ha anche un’economia estremamente poco performante, la cui produttività è solo un terzo di quella statunitense, e i policy-maker non fanno quello che dovrebbero. Per il momento, quindi, non giudicate a un punto morto il Brasile. Come disse il premier cinese Zhou Enlai quando gli si chiese la sua opinione sulla Rivoluzione francese, «è prematuro fare dichiarazioni in merito».
traduzione di Anna Bissanti
Fonte:
L`Espresso