Il Brasile conta sempre di meno, ecco perché

31/03/2015

Spesso ci chiedono che fine ha fatto il boom del Brasile di pochi anni fa. Forse il Gigante latino ha desistito dall'ambizione di occupare uno spazio centrale nello scenario globale? Rispondiamo che il peso politico ed economico del Paese non è più quello di una volta, e cerchiamo di elencare le cause del fenomeno.

Che è reso evidente non solo dalla richiesta d'impeachment nei confronti di Dilma Rousseff, ma anche dal calo delle esportazioni verde-oro nella Regione, e dalle ridotte visite all'estero della presidenta.

Dilma Rousseff

 

E al riguardo, il confronto con la politica estera giramondo del predecessore – Luiz Inácio Lula da Silva – lascia allibiti. Elenchiamo quindi le cause di una perdita di leadership, che ha conseguenze nelle dinamiche globali.

 

Problemi di politica interna

 

La presidente Rousseff è notevolmente indebolita. E se le cause più dirette sono da ricercarsi nello scandalo di corruzione che ha coinvolto Petrobras (e il proprio partito), e negli affanni dell'economia, alla radice di ogni difficoltà troviamo lo scarso appoggio del Congresso alle politiche dell'Esecutivo. Con tanto di opposizione interna del Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb). E poi non si può dimenticare il definitivo scollamento tra il Governo federale e la classe media, le cui avvisaglie si erano manifestate già dal 2013.

 

La recessione alle porte

 

Solo quattro anni fa, quella brasiliana era divenuta la sesta economia mondiale – gli spocchiosi britannici erano finalmente alle spalle – e un clima d'inarrestabile esuberanza spingeva a puntare alla quinta piazza. D'allora però la macchina si è inceppata, e se nel 2014 la crescita è stata appena dello 0,1 per cento, per l'anno in corso si prefigura un calo del PIL pari a mezzo punto percentuale. Insomma, sembra lontana e difficilmente ripetibile, la performance del 2010, quando all'ombra del Cristo redentor si cresceva del 7,5 per cento. Un po' come avveniva nei tristi e laboriosi sobborghi comunisti della Shanghai turbo capitalista. Oggi lo scenario internazionale è molto meno favorevole di un tempo: sono in calo non soltanto i prezzi delle commodity agricole, ma anche l'export verso la Cina. E tra le conseguenze abbiamo la caduta libera del commercio con l'America latina: nei primi due mesi del 2015 le importazioni sono calate del sedici per cento, e le esportazioni del 21,5.

 

La crisi delle grandi aziende ingegneristiche

 

Sino a pochi anni fa le grandi imprese costruttrici erano il biglietto da visita del nuovo miracolo brasiliano, e dominavano il settore delle metropolitane e delle centrali idroelettriche nell'intero Subcontinente. Oggi però l'Operação Lava jato – quella dello scandalo Petrobras – ha finito per indebolirle: molti dei loro vertici sono sotto indagine, con l'accusa di aver formato un cartello per spartirsi gli appalti. Ovvie sono le conseguenze: problemi di liquidità e accesso al credito, debiti aziendali in crescita, declassamento dei rating, difficoltà finanziarie e contratti rescissi, com'è accaduto per l'Oas in Uruguay.

 

L'avanzata cinese

 

E poi i cinesi stanno ingigantendo la propria presenza in Latino America, di cui sono ormai il terzo partner commerciale. Nel 2014 gli investimenti asiatici nell'Area sono cresciuti del settantuno per cento rispetto al 2013, pregiudicando gli interessi brasiliani. Non solo per quel che riguarda gli appalti delle grandi opere, ma soprattutto perché le aziende cinesi appaltatrici preferiscono importare dalla madrepatria, anziché dai vicini brasiliani.

 

Fonte:
Lettera 43