Il Brasile affamato di grandi dighe
19/02/2013
Quella brasiliana è senza dubbio un'economia in grande crescita, nonostante il Pil nel 2012 sia aumentato “solo” dell'1,6 per cento, dopo il +2,7 per cento registrato nel 2011. E lo sviluppo economico necessita anche un aumento della produzione di energia. Per risolvere la questione l'esecutivo di Brasilia ha scelto la ricetta delle grandi dighe, agevolata dalla presenza sul territorio nazionale di immensi corsi d'acqua, Rio delle Amazzoni in primis.
Non c'è solo la contestatissima diga di Belo Monte, oggetto di ricorsi e proteste e da mesi in primo piano sulla stampa internazionale e anche su quella italiana. Basti pensare che nell'agenda del ministero dell'Energia e delle miniere è in programmazione -entro il 2021- la costruzione di ben 34 mega impianti idroelettrici, i quali frutteranno un aumento della generazione di energia elettrica pari a circa il 50 per cento. Dati di assoluto rilievo, che è facile desumere esaminando anche in maniera molto sommaria alcune tra le principali opere già in fase di realizzazione o ancora sulla carta. Prendiamo le dighe di Jirau e Santo Antonio, sul fiume Madeira, nel cuore della sterminata regione amazzonica. Quando la prima sarà completata (si prevede all’inizio del 2015) potrà contare sulle turbine più grandi di tutto il pianeta, 47 torri alte come l’Empire State Building, cioè circa 400 metri, e una linea di trasmissione che si farà strada per quasi 2mila chilometri tra foreste e aree agricole per servire la megalopoli di Sao Paolo. L’impianto di Santo Antonio non sarà da meno, facendo lievitare i costi solo per questi due progetti oltre i 15 miliardi di dollari. Una bella porzione del denaro -fino a 150 miliardi- che si calcola dovrà essere speso entro il 2021.
Insomma, non bastava la caccia indiscriminata al prezioso legno della Foresta Amazzonica, ora ci si mettono anche le “dighe di Stato”. Non è necessaria un’approfondita conoscenza del territorio per comprendere come la biodiversità sia a rischio, così come le popolazioni indigene.
Le tensioni sociali hanno superato il livello di guardia e anche in questo caso c’è ben poco da stupirsi, quando centinaia di famiglie sono sfollate e sradicate dal loro territorio, il più delle volte a fronte di misere compensazioni. Oltre agli incalcolabili danni ambientali, ci si chiede poi se investimenti di centinaia di miliardi siano destinati a garantire sviluppo, oppure graveranno sulle spalle delle generazioni future sotto forma della piaga del debito.
L’associazione statunitense International Rivers ha evidenziato come in totale gli sbarramenti che sorgeranno entro il 2021 saranno addirittura 168. Tra questi vanno ricompresi anche quelli di dimensioni molto ridotte, che però sommati agli altri rischiano di peggiorare una situazione già molto critica. In Brasile scorre un quinto delle acque dolci del Pianeta, ma i fiumi ogni giorno che passa sono imbrigliati, i loro percorsi stravolti, la loro flora e fauna sono in pericolo.
Si calcola che in un decennio sarà inondata un’area di oltre 2.500 chilometri quadrati. Una follia che forse i tanti movimenti di resistenza locali riusciranno almeno in parte a bloccare.
Fonte:
altreconomia