Il brand tricolore sprofonda e attira meno stranieri si salvano turismo e cultura

15/12/2014

Milano Dall’altare alla polvere in meno di dieci anni. Roba da surclassare Napoleone. Nel 2005 l’Italia veniva incoronata come “il Paese con maggiori capacità di attrazione al mondo” ed era inclusa tra i cinque in grado di rafforzare ulteriormente la propria posizione con Cina, Corea del Sud, Australia ed Emirati Arabi Uniti. Nove anni dopo è precipitata al 18esimo posto. E con prospettive tutt’altro che rosee. A certificarlo è il Country Brand Index, pubblicato (a partire appunto dal 2005) da Future- Brand in collaborazione con Bbc News, la divisione internazionale della radiotelevisione britannica. Un indice ritenuto, fin dall’esordio, efficace a valutare la percezione complessiva di un intero Paese. La classifica esamina gli Stati come fossero marchi commerciali e punta a costruirne e renderne una immagine non statica, ma dinamica. Non assume a riferimento solo indicatori socio-economici, ma “pesa” la capacità complessiva di attrarre investitori, clienti, acquirenti, venditori, turisti. Una capacità proiettata nel futuro. Ed è questo che rende il risultato dell’Italia nel Country Brand Index 2014 ancora più preoccupante del suo valore assoluto. Nel 2005 l’indice generale vedeva, appunto, l’Italia in testa, seguita nell’ordine da Australia, Usa, Francia e Maldive. Dal 2006 il nostro Paese ha cominciato, inesorabilmente, a perdere terreno. Era terzo, poi è scivolato in quinta posizione (nel 2007), risalito in quarta (nel 2008)

sceso in sesta (nel 2009), precipitato in 12esima nel 2010, in leggera ripresa nel 2011 (al decimo posto, una piazza conservata anche nel 2012), quindi il crollo nel 2013 (15esimo), accentuato nel 2014, quando è finito in 18esima posizione. Nel frattempo, per rimanere alle ultime due edizioni, la Svizzera ha primeggiato l’anno scorso (seguita da Canada, Giappone, Svezia e Nuova Zelanda) e il Giappone è salito in cima al podio nel 2014. Per la prima volta da quando l’indice è nato. Il Paese del Sol Levante precede Svizzera, Germania, Svezia, Canada, Norvegia, Usa, Australia, Danimarca e Austria. Da quest’anno il Country Brand Index è stato rivoluzionato. In questa edizione sono stati presi in esame 75 Paesi, ma solo 22 sono stati definiti “Country Brand”, perché gli altri non posseggono connotazioni così forti da essere percepiti come “brand”, insomma come “marchi”.

Tra i Paesi non “Country Brand” ci sono tutti i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), potenze regionali come la Turchia o l’Argentina, Stati ricchi di storia come la Spagna o la Polonia. L’essere percepito come un “brand” significa, in sostanza, che l’opinione pubblica internazionale coinvolta nella indagine possiede del Paese una percezione sopra la media in tutti i sei indicatori: sistema di valori, qualità della vita, potenzialità economiche, storia e cultura, turismo, prodotti “Made in”. La percezione non ha niente a che vedere con la riconoscibilità di un marchio. “Lo studio di quest’anno — si legge nella relazione che accompagna la ricerca — rafforza il perenne paradosso della riconoscibilità: essere conosciuto non sempre significa suscitare associazioni molto positive”. Ma, prosegue la relazione, quando “le persone considerano un Paese come brand è molto più probabile che lo scelgano come destinazione di viaggio, che lo raccomandino o che intessano con esso relazioni d’affari”. Va tenuto presente che, a contribuire con le loro risposte alla ricerca, sono stati opinionisti, viaggiatori per affari e turisti abituali di soli 17 Paesi: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Giappone, India, Messico, Regno Unito, Russia, Sudafrica, Thailandia, Turchia e Usa. Un campione rappresentativo, dal quale, però, è esclusa l’Italia.

Analizzando il risultato dell’Italia indicatore per indicatore emerge che il nostro Paese mantiene ancora posizioni di rilievo per quanto riguarda la sua attrattività turistica e il suo retaggio storico-culturale. Due fattori che gli permettono di conservare un ruolo rilevante nell’immaginario collettivo della classe dirigente mondiale. E che sono ribaditi dal risultato di una classifica presente per la prima volta nel Country Brand Index, relativa alle venti città che avranno più influenza nei prossimi tre anni. L’unica italiana è Roma, posizionata al 17esimo posto, inserita principalmente per il suo ruolo di pluri- capitale e per la sua ricchezza di beni artistici e storici. A guidare la graduatoria sono New York, Londra, Pechino, Washington e Mosca. Seguono Tokyo, Parigi, Berlino, Shangai e Dubai. Vengono, quindi, Hong Kong, Singapore, New Delhi, San Paolo, Rio de Janeiro, Los Angeles, Roma appunto, Toronto, Seul e Mumbai.

Per sistema di valori e qualità della vita, potenzialità economiche e produzione di oggetti ad alto valore aggiunto e qualitativo l’Italia si allontana sensibilmente dalla vetta. Paradossi, ma non troppo. Già altre indagini fondate sulla percezione hanno dato del nostro Paese immagini poco confortanti e creato polemiche: è il caso della classifica europea sulla percezione della corruzione. Né i disastri idrogeologici o le “terre dei fuochi” contribuiscono a rafforzare positivamente l’immagine nazionale in giro per il mondo.

Quanto al “Made in Italy” il paradosso è evidente: si tratta di un effettivo declino (e la pesante riduzione della produzione manifatturiera negli anni della crisi lo proverebbe) o solo di un appannamento nell’immaginario? A una domanda del genere, però, è davvero difficile replicare. E solo il tempo potrà permettere una risposta efficace. 1 2 3 Nel 2005 l’indice vedeva l’Italia in testa, seguita da Australia e Usa Sono stati presi in esame 75 Paesi, ma solo 22 sono stati definiti “Country Brand”, perché gli altri non posseggono connotazioni così forti da essere percepiti come “brand”, insomma come “marchi” La Svizzera ha primeggiato l’anno scorso (seguita da Canada, Giappone, Svezia e Nuova Zelanda). Il Giappone (1) è salito in cima al podio nel 2014 precedendo Svizzera (2) e Germania (3). A seguire Svezia, Canada, Norvegia, Usa e Australia

 

Fonte:
la Repubblica