Gli occhi del mondo sul Made in Italy
09/01/2009
Un marchio vincente in tanti settori, una percezione di qualità implicita e di creatività, ma anche un sistema bancario ancora inadeguato e una mancanza di garanzie nel sistema giudiziario. Sono questi i dati più significativi emersi nella relazione presentata dal presidente di Assocamerestero in occasione della Convention Mondiale di Pescara
Pescara – Il sistema Italia e i suoi prodotti sono affidabili agli occhi dei consumatori e degli operatori stranieri; estimatori della produzione italiana i primi, pronti a stringere rapporti di collaborazione in segmenti solitamente considerati critici come ricerca, sviluppo e formazione i secondi. Lo ha ricordato il presidente vicario di Assocamerestero Edoardo Pollastri che, in occasione di un intervento alla XIV Convention mondiale delle Camere di Commercio Italiane all’Estero in corso a Pescara fino a domani, ha presentato una ricerca condotta in 34 Paesi su 500 buyer, rappresentanti di istituzioni locali, associazioni imprenditoriali, fiere, stampa e media.
L’inchiesta, a cura di Assocamerestero, è stata discussa nel corso di una conferenza stampa che ha visto, oltre a a quello del presidente vicario, gli interventi del direttore generale Gaetano Fausto Esposito, dei presidenti della Camera di Commercio di Pescara e di Unioncamere, Ezio Ardizzi e Carlo Sangalli, e del viceministro alle Attività Produttive Adolfo Urso .
Restano vivi e attuali alcuni problemi strutturali del sistema italiano, a cominciare da una credibilità del sistema bancario ancora troppo deficitario, cui si unisce una generale lentezza burocratica che investe anche il sistema giudiziario; ma, è questo un importante dato di fatto dell’indagine, il made in Italy godrebbe ancora di molta popolarità nel mondo.
Aspetto significativo emerso dall’indagine è la fiducia espressa verso l’Italia nel contesto dell’iniziativa imprenditoriale proveniente dall’estero. Collocata al secondo posto dietro gli Stati Uniti nella speciale classifica dei migliori mercati dove lanciare nuovi prodotti grazie alla riconosciuta ricettività del consumatore italiano, l’Italia, ricordano i relatori, “supera perfino la Germania anche in un’ipotetica classifica delle preferenze circa il luogo dove aprire uno stabilimento produttivo”; e si piazza al quarto posto dopo Cina, Brasile e Stati Uniti . Un risultato estremamente significativo, considerando lo svantaggio di costo del lavoro patito nel confronto con molti altri Paesi.
“La grande propensione all’investimento deriva da un’immagine molto positiva del nostro Paese rispetto all’elemento della creatività – ricorda Edoardo Pollastri – . Se si è in presenza di attività per le quali questo elemento è considerato centrale, allora l’Italia è ritenuta un Paese idoneo”. Un diverso vantaggio competitivo che evidenzia una portata decisamente “multisettoriale”. “Questo aspetto – spiega il presidente vicario – vale ovviamente per tutti i settori di nicchia, come il design ad esempio, ma anche per i settori più avanzati come la ricerca. E’ evidente, tuttavia, come in questi segmenti ci si scontri spesso con eccessivi problemi organizzativi e burocratici “.
Un limite importante di questo aspetto potrebbe tuttavia essere costituito dalla sua portata geografica. A prescindere dai vantaggi radicati nel sistema territoriale, infatti, l’Italia non sembrerebbe riuscire ad attrarre l’attenzione degli operatori di importanti aree del mondo, come emerge nel caso di un significativo mercato latinoamericano. “E’ difficile valutare questo elemento nell’esperienza di quest’area – ricorda Luciano Paganelli, presidente della CCIE di Bogotá e coordinatore dell’area ACCA (Ande, Carabi, America Centrale) nel corso degli ultimi sei anni – . In primo luogo dobbiamo considerare che la zona è costituita da moltissime imprese di media o piccola dimensione che non sono in grado di progettare investimenti in Italia. I soli che potrebbero permetterselo, ovvero i grandi gruppi, scelgono di puntare soprattutto sugli Stati Uniti “.
Questa preferenza comunque diffusa nei confronti del sistema italiano sottolinea comunque, dal punto di vista del vantaggio competitivo, il valore rappresentato dall’embeddedness, ovvero dalla proprietà di una risorsa di essere radicata e non trasferibile dal suo luogo di nascita ed esistenza. Una caratteristica associabile a una peculiare creatività italiana, come detto, capace al tempo stesso di tradursi in una produzione pensata e interpretata dagli osservatori come “legata al territorio”. Proprio alla richiesta di definire il carattere identificante del made in Italy, infatti, sarebbe emerso un ruolo prioritario giocato dal legame con il territorio, un aspetto giudicato decisivo dal 74% del campione .
Ma a fronte di un’indicazione così evidente, un nuovo problema potrebbe porsi: esistono confini settoriali di applicabilità per questa risorsa competitiva? “Il Made in Italy fa da traino per molti settori, non solo per quelli tradizionalmente conosciuti – ricorda Paganelli – . Anche se il cosiddetto ‘sapore italiano’ resta un’importante attrattiva, l’Italia si fa infatti conoscere in altri segmenti, come quello dei macchinari. In questo senso le fiere costituiscono un veicolo importante”. Un’opinione condivisa dal presidente vicario di Assocamerestero:” Quest’elemento riguarda soprattutto alcuni settori, in modo particolare quello agroalimentare – spiega Pollastri – , ma è in grado di coinvolgere segmenti anche molto diversi. Potrei portare ad esempio il caso dell’azienda Ducati, emerso in una relazione, i cui prodotti vengono apprezzati proprio perché realizzati e pensati per le strade tipiche del suo territorio”. Esiste, ricorda quindi il presidente vicario di Assocamerestero, una percezione multisettoriale del carattere vincente del marchio italiano dunque, ma quest’aspetto aprirebbe in ogni caso ulteriori problematiche .
Secondo il 93,5% degli intervistati, si ricorda nella relazione, ciò che fa la differenza nei prodotti italiani è la qualità, per l’89% il design e il packaging, mentre il 98% percepisce l’Italia come la culla del design e della creatività, una convinzione molto diffusa in Europa e Giappone. Ma qual’è il valore reale di questa percezione? In altre parole, l’immagine del made in Italy , legata a qualità e creatività, che tende a identificare soprattutto alcuni settori è davvero attuale oppure è legata eccessivamente al passato? ” Non si tratta di immagine legata al passato; al contrario, una conquista abbastanza recente – spiega Pollastri – . Sotto molti aspetti il made in Italy si dimostra vincente in tanti settori, non solo in quello alimentare ma anche in altri segmenti come quello metalmeccanico “.
Seppure applicabili e decisive in una pluralità di settori, la qualità e la creatività, traducibili in produzioni di eccellenza potrebbero evidenziare un problema ulteriore capace di coinvolgere l’intero sistema produttivo. L’esaltazione emersa negli ultimi anni sulle produzioni di nicchia e sui segmenti di eccellenza non rischia di far perdere al sistema l’attenzione necessaria su settori importanti in cui un tempo l’Italia aveva una posizione leader nel mercato mondiale , come l’automotive o la chimica? Un problema già evidente nel passato di cui tenere conto anche oggi, ricorda Pollastri: Non si può puntare solo sui settori di nicchia – spiega – . Credo che in passato l’Italia abbia perso delle ottime occasioni, essendo mancato soprattutto il sostegno all’innovazione quando si è trattato di aiutare le imprese. In questo senso – conclude Pollastri – ha giocato un ruolo importante la mancanza del modello tipicamente americano delle public companies, ovvero il sistema del grande azionariato “.
Fino a qui le riflessioni sulle risorse e i vantaggi, ma l’indagine condotta dalle CCIE non si è fermata agli aspetti positivi, evidenziando almeno un limite di grande importanza: le mancanze del sistema bancario. Secondo la ricerca, infatti, solo il 34% degli intervistati affiderebbe la cura dei propri interessi legali a studi o professionisti italiani mentre il 55% non conferirebbe ad aziende a partecipazione italiani i servizi bancari. “Purtroppo le banche italiane fanno registrare performance modeste oltre a un peso notevole della burocrazia – ricorda Pollastri – ; in altre parole manca quella ‘snellezza bancaria’ tipica di Paesi come Svizzera e Germania e, negli ultimi anni, anche della Spagna “.
Una situazione negativa, sostenuta probabilmente dall’ultima serie di eventi che hanno caratterizzato il sistema bancario, come le polemiche sui piani di acquisizione della Banca Antonveneta, o dei fallimenti di multinazionali consolidate. “Gli ultimi eventi che hanno coinvolto le banche, unitamente agli scandali Cirio e Parmalat, hanno sicuramente influito sull’immagine del sistema bancario. Viene a mancare la certezza del diritto” ha ricordato Pollastri. I problemi del sistema bancario non sembrerebbero però ridursi a una semplice questione di immagine, con evidenti riflessi non solo per gli operatori stranieri in Italia, ma anche per gli operatori italiani all’estero in alcune aree in crescita, come evidenzia il caso dell’ACCA .
“Quello delle banche è un autentico dramma – commenta Paganelli -. L’America non presenta quasi più banche italiane, che sono state sostituite soprattutto da quelle spagnole. Non so se si tratta di una perdita di credibilità, mi sembra piuttosto che si tratti di una scelta strategica, ovvero quella di non coprire l’America Latina. E’ probabile – prosegue il presidente della CCIE colombiana – che alla base pesi un fattore di rischio, considerando gli inconvenienti rappresentati dalle crisi economiche e finanziarie che si sono verificate in Brasile e in Argentina; in realtà bisognerebbe avere una visione di lungo termine. Certo gli operatori italiani che investono in America Latina patiscono questa scarsa presenza bancaria”. Una scelta motivata da esperienze economiche reali, quindi, ma anche un’opzione che evidenzia limiti evidenti nella pianificazione delle attività, e dunque nella distribuzione del rischio, in un orizzonte di lungo periodo.
Notiziario Italic Business News – News ITALIA PRESS agenzia stampa – N° 201 – Anno XII, 20 ottobre 2005