Eni fa il colpo grosso su gas e petrolio in Libia. Scaroni: «Vale più di Kashagan»

09/01/2009

Eni ha firmato con la Lybian National Oil Corporation un accordo strategico che prevede il rinnovo di tutte le concessioni con nuove scadenze, 2042 per il petrolio e 2047 per il gas; estensione delle aree esplorative; aumento delle quantità di gas per l’Italia. In dieci anni saranno investiti 28 miliardi di dollari (50% Eni) più 800 milioni di dollari in sette anni per l’esplorazione da parte del gruppo italiano.

Il negoziato, ha spiegato Scaroni, è stato «complicato e difficile», ma Eni si conferma operatore leader in Libia. «Si tratta di un passo importante per la sicurezza energetica e per la diversificazione degli approvvigionamenti energetici del nostro Paese», ha commentato il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani.

Tripoli, ha detto l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, è «per noi un Paese molto importante, rappresenta molto più di Kashagan», il mega giacimento in Kazakhstan per il quale Eni è entrata in una fase di complesse trattive con il governo. Scaroni ha spiegato che la produzione di competenza del gruppo petrolifero in Libia si aggira in questi giorni sui 280-290 mila di barili al giorno (60% petrolio e 40% gas), circa il 20% della produzione giornaliera complessiva di 1,7-1,8 barili al giorno del Cane a sei zampe. «A Kashagan, se tutto va bene, produrremo – almeno nel primo periodo – 50 mila barili al giorno di nostra competenza (l’Eni partecipa al 18% al consorzio)».

Scaroni ha ricordato che il ruolo del Cane a sei zampe in Libia, dove la multinazionale italiana è presente dal 1959, si è accresciuto negli anni dell’embargo dalla fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 quando «le compagnie Usa e inglesi avevano lasciato il Paese: siamo rimasti praticamente solo noi e siamo cresciuti fino a diventare primo operatore nel Paese». L’ad dell’Eni ha infine ricordato che oltre agli impegni dell’intesa appena sottoscritta il gruppo continuerà a partecipare alle gare in corso per l’aggiudicazione di nuovi lotti.

Guardando all’evoluzione dei prezzi «il petrolio a 88 dollari al barile è certamente alto ma l’economia mondiale sembra reggere questa pressione che invece colpisce i consumatori», ha commentato Scaroni. Niente previsioni, però: «Ogni volta che faccio
stime sbaglio, Nessuno è in grado di dire dove vanno i prezzi», ha proseguito il top manager, spiegando che comunque il rafforzamento dell’euro «per noi europei contribuisce ad attutire» gli alti livelli dei prezzi.

Parlando invece delle possibili ricadute sui consumatori, in termini di aumento dei prezzi dei carburanti, l’ad del cane a sei zampe ha spiegato che il gruppo guarda alla situazione «con un occhio ai prezzi dei prodotti raffinati ma anche uno all’andamento del mercato» interno. Mercato dove – ha spiegato Scaroni – l’Agip sta guadagnando quote di mercato e, «dopo un calo degli ultimi anni, ha messo a segno un recupero di 0,4 punti percentuali a quota 29,9%».

Proprio dal Kazakhstan è arrivata martedì la notizia che un tribunale ha respinto la denuncia presentata contro Eni per presunte violazioni commesse nell’impianto in fase di costruzione presso il giacimento petrolifero di Kashagan. La tesi del ministero delle Emergenze, secondo cui Eni avrebbe violato la legge, è stata respinta, ha detto Nursapa Primashev, presidente della Corte Suprema della città di Atyrau, in un’intervista telefonica a Bloomberg News. Vugar Veysalov, portavoce di Agip KCO, società operativa locale di Eni, non ha voluto fare commenti. Il ministero delle Emergenze aveva bloccato i lavori di costruzione dell’impianto per tre giorni in agosto, a causa di «gravi violazioni» delle norme anti-incendio.

Il progetto della cordata guidata da Eni per sviluppare Kashagan, il maggior giacimento petrolifero scoperto al mondo negli ultimi 30 anni, è stato messo in discussione per lo sforamento dei costi previsti e i ritardi. Il Kazakhstan, uno tra i produttori emergenti, ha reclamato un nuovo piano di sviluppo per Kashagan, da concordare entro la fine dell’anno. Eni, Exxon Mobil Corp., Total e Shell detengono ciascuna il 18,5 percento di Kashagan, mentre ConocoPhillips ha il 9,3 per cento. La compagnia petrolifera di stato del Kazakhstan, KazMunaiGaz, e la giapponese Inpex Corp. hanno ciascuna l’8,3 per cento.

Fonte:
Il Sole 24 Ore