Emilio De Luigi: “Il genio italico”
09/01/2009
La situazione economica italiana è oggi tale che, mentre da una parte si sente sempre di più parlare di diffuso pessimismo degli italiani (vedi la recente inchiesta de La Repubblica), accresciuto dall’attitudine rassegnata della piccola e media industria confinata alla mediocrità, dall’altra parte non si fa altro che discutere di riforme, di incentivare l’imprenditoria, di stimolare la ricerca (questo grande sogno demiurgico di casa nostra), di rinnovamento, di “nuovi patti generazionali”, ecc., insistendo sempre più sulla quasi mitica “genialità italiana”.
Che gli italiani siano gente industriosa e capace non pare discutibile, ne sono conferma i risultati medi decisamente positivi – a volte veri e propri successi – che tantissimi italiani conseguono quando si trasferiscono all’estero (uno studio in profondità di questi risultati sarebbe davvero il benvenuto).
Ci si chiede come mai questa “genialità latina” non riesca a imporsi su scala nazionale, come mai gente tanto industriosa e capace consegua in patria risultati medi tanto più modesti e dimessi. Perchè la preponderante risposta italiana alla nuova economia globale è quasi universalmente di chiusura, addirittura di rifiuto concettuale, con l’assillo costante di usare ogni mezzo per sfuggire ad un confronto che, ci piaccia o no, è assolutamente inevitabile?
Gli interessi politici, i corporativismi, le avidità capitalistiche, le combutte finanziarie, la camorra, la mafia, la corruttela, la “servilità” dei Media, ecc. ecc., son fra le “cause” generalmente più biasimate del “declino” denunciato dal New York Times (che brutto giudizio). Può essere almeno in parte così, ma può anche essere che, a relativizzare la importanza di questi fattori negativi, esistano soprattutto cause obbiettive molto più importanti.
Da notare che il declino stesso (senza chiamarlo così) era stato già denunciato da Mario Draghi quando aveva dichiarato che il livello salariale in Italia è troppo basso. Dimenticando per un momento che molte forze politiche si son affrettate a denunciare come al solito la usuale grettezza del capitalismo, ricordiamoci che le teorie classiche dell’economia stabiliscono che fra i molti fattori che determinano nel mercato il livello del salario, due certamente prevalgono: Il primo è il livello di investimento capitale negli strumenti di produzione (un conto è lavorare una giornata con pala e piccone ed un altro lavorare una giornata con un escavatore); il secondo è la produttività dell’individuo, a sua volta dipendente da diverse cose, quali il livello di preparazione professionale, l’esperienza, le ambizioni etc.
Il primo fattore è interamente controllato dall’imprenditore, che sceglie il livello tecnologico dell’impresa anzi tutto in funzione della resa prevista dell’investimento capitale, poi in funzione delle aspettative e rischi di mercato. Il secondo fattore (produttività) è controllato da chi lavora.
Sappiamo da altre statistiche che i concorrenti vincenti (ci sono anche molti che non ci superano!) spesso ci battono sia per il maggiore livello tecnologico dell’investimento di capitale, che per la maggiore produttività.
Usando la stessa prudenza del Governo e dei Media (che hanno evitato con grandissima cautela di discutere di produttività e di merito ? parole pericolose nella politica italiana) lasciamo a Confindustria e Sindacati di decidere se sia il livello tecnologico o la professionalità dei lavoratori (dilemma assai simile al quesito dell’uovo e della gallina) a condizionare la produttività, e vediamo invece cos’altro agisce nell’equazione italiana.
Un’attenta analisi comparativa con altri paesi dimostra che per offrire agli operatori economici italiani reali possibilità di sviluppo che sicuramente lieviterebbero i salari, occorreranno sostanziali progressi in diversi settori oggi assai carenti, che sono senz’altro la Pubblica Amministrazione, i Trasporti, l’Energia, le Comunicazioni, il Servizio Bancario, la Sicurezza. Non occorre discuterne, nè dimostrarlo, lo sanno tutti o quasi tutti, addetti ai lavori e Media, e sono tema usuale di quotidiane, reciproche accuse fra partiti, istituzioni, parti sociali, ecc.
Il risultato di questa arretratezza è inevitabilmente il declino, perchè anche ammesso che si riesca a “galleggiare” mantenendo lo status quo, in realtà si arretra: Il “sorpasso” spagnolo, respinto con sdegno pari a quello del rigetto del giudizio del New York Times, non sarà ancora una realtà, ma con molta probabilità lo sarà a breve, perchè oggi anche il solo mantenere la posizione economica che abbiamo richiede di fare ogni giorno quei progressi che impediscano il sorpasso a chi ci segue ed è in fase reale di sviluppo. Nè governo, nè politici, nè imprenditori, nè sindacati hanno la possibilità di sottrarci a questa regola, che purtroppo tutti cercano di dimenticare.
Il genio d’Italia si afferma brillantemente all’estero, è vero. Proprio perchè negli altri paesi l’ambiente è diverso, e non castiga come da noi. Se vogliamo che il “genio italiano” riprenda a fiorire anche in casa nostra, dobbiamo rinunciare all’illusione che si tratti solo di strappare migliori salari nei contratti con le imprese o maggiori sostegni dallo Stato: Non si tratta di una partita contrattuale o assistenziale, bisogna soprattutto risolvere le nostre gravi arretratezze.
Purtroppo, i progressi che dovremmo fare non si fanno in pochi giorni, o in poche settimane, o in pochi mesi. Ci vogliono anni. E non dipendono dal sistema elettorale, nè da chi è al governo, nè dal bipolarismo o dal numero dei partiti. Non cerchiamoci scuse: Dipendono da tutti noi e da molto di più.
Un pensierino di Umberto Galimberti, colto al volo a Ballarò: “La genialità e la creatività han bisogno per fiorire di disciplina, di sistema, di lungo, duro lavoro”.
Fonte:
Emilio De Luigi