Economia mondiale: aumenta senza sosta il peso del Bric

24/08/2010

Le economie dell’area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) stanno assumendo vieppiù importanza, tanto che il PIL complessivo dell’intera area dovrebbe raggiungere nel 2015 il 22% del PIL mondiale, dall’8% totalizzato nel 2000 e dal 16% stimato per il 2010.

Le economie dell’area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) stanno assumendo vieppiù importanza, tanto che il PIL complessivo dell’intera area dovrebbe raggiungere nel 2015 il 22% del PIL mondiale, dall’8% totalizzato nel 2000 e dal 16% stimato per il 2010.

Nell’interscambio commerciale, le importazioni del BRIC hanno per la prima volta nel 2009 superato le importazioni degli Stati Uniti. All’interno dei paesi emergenti, il BRIC totalizza circa il 60% del PIL.

In questo numero focalizzeremo la nostra attenzione su Brasile e Cina. L’edizione successiva sarà invece dedicata a India e Russia.

 

Brasile

Con i suoi 194 milioni di abitanti, il Brasile dispone di importanti risorse minerarie ed energetiche e presenta grandi potenzialità fra i paesi del BRIC, tanto che si parla di autentico "boom brasiliano". Nei primi tre mesi dell’anno in corso, l’economia brasiliana è cresciuta ad un tasso annuo del 9%, l’incremento trimestrale maggiore degli ultimi 14 anni, grazie anche al forte aumento riscontrato nel settore degli investimenti.

Questa solidità dovrebbe essere un atout per Dilma Rousseff – sostenuta dal presidente Lula da Silva-, la candidata del PT (Partido dos Trabalhadores) alle elezioni presidenziali del mese di ottobre. Parallelamente, il Brasile sta anche cercando un accresciuto ruolo internazionale, con il suo seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (fino alla fine del 2011), rafforzando le relazioni con i paesi emergenti e perseguendo una linea più indipendente da quella dei paesi occidentali in politica estera.

Per il 2010, le proiezioni indicano un tasso d’espansione economica intorno al 6% (dopo che il 2009 si è chiuso con una contrazione dello 0,2%), grazie al netto rafforzamento dell’esportazione e degli investimenti (per i quali si stima una crescita del 13% nell’anno in corso). La maggior parte delle esportazioni brasiliane è destinata ai paesi emergenti e proprio la Cina è diventata il principale mercato di sbocco, superando USA ed Europa. Per questa ragione anche in Brasile si guarda con particolare attenzione al possibile rallentamento cinese, dal momento che il paese asiatico assorbe soprattutto materie prime dal Brasile.

Complessivamente, il 65% delle esportazioni brasiliane va verso i paesi emergenti, mentre nel settore petrolifero il paese sta assumendo un’accresciuta rilevanza fra i paesi esportatori.

In ambito di politica monetaria, a partire dallo scorso mese di aprile, la banca centrale brasiliana ha dato avvio ad un ciclo di restrizione del credito, aumentando il tasso di riferimento di 75 punti base al 9,5%. Si prospettano ulteriori manovre di questo tipo, che dovrebbero portare il tasso sopra l’11%. Nel mese di maggio, il tasso d’inflazione è salito al 5,2% ( il limite massimo posto dalla banca centrale è del 4,5%), a causa di un aumento dei prezzi alimentari, mentre le altre componenti del paniere non hanno presentato incrementi di rilievo.

Cina

L’economia cinese continua a crescere a ritmi importanti, ma il rischio di surriscaldamento economico, soprattutto per quanto concerne il settore immobiliare, ha indotto nei mesi scorsi le autorità del paese a varare misure di restrizione del credito e norme antispeculative.

L’attuale fase espansiva dell’economia cinese era stata innescata dal pacchetto di stimoli per 600 miliardi di dollari varato nell’autunno del 2008, in concomitanza con le pesanti ripercussioni provocate dalla recessione e dalla crisi del sistema finanziario. L’obiettivo del governo era quello di mantenere un tasso di crescita dell’8%, ritenuto indispensabile per continuare nel processo di modernizzazione e per salvaguardare la coesione sociale di un paese il cui tasso di disoccupazione resta comunque sopra il 9%.

Raggiunto l’obiettivo governativo, già dallo scorso anno l’economia cinese ha dato segni di evidente accelerazione, confermati anche all’inizio del 2010. Nel primo trimestre dell’anno in corso, il PIL del paese è cresciuto ad un tasso annuo dell’11,9%, mentre nel secondo la progressione è stata del 10,3%. Sul parziale rallentamento hanno inciso gli effetti delle misure citate e anche il ridimensionamento del ritmo di crescita della produzione industriale. Confermata una parziale e controllata fase di rallentamento, al momento le stime indicano per l’anno in corso un tasso di crescita del PIL intorno al 10%, che dovrebbe scendere al 9% nel 2011.

Barometro del commercio internazionale, l’export cinese tiene finora molto bene e i dati di luglio confermano questo trend, indicando una crescita su base annua del 38,1% e un saldo attivo della bilancia commerciale pari a 28,7 miliardi di dollari. Ma proprio sull’evoluzione delle esportazioni le autorità cinesi nutrono alcuni dubbi e preoccupazioni. Se l’export presenta in prospettiva delle incognite, legate all’evoluzione economica mondiale, il dato di luglio ha mostrato una crescita inferiore al previsto delle importazioni, un segnale che potrebbe preludere ad un raffreddamento della domanda interna e degli investimenti futuri.

La propensione al consumo interno resta intanto solida e le stime indicano per l’anno in corso una crescita dei consumi privati del 9,1%, mentre i consumi pubblici dovrebbe salire del 10,9% e gli investimenti del 12,5%.

Dopo le misure di restrizione del credito varate nei mesi scorsi –che hanno pure avuto un negativo impatto sui mercati azionari locali-, per la banca centrale si prospetta una pausa, fintanto che non ci saranno segnali economici più nitidi. Dal canto loro, i mercati azionari hanno accolto con soddisfazione la notizia che la tassa sulla proprietà immobiliare , decisa dal governo, verrà introdotta solo a partire dal 2012, più tardi dunque di quanto precedentemente previsto. La fluttuazione controllata e parziale dello yuan decisa dalle autorità monetarie nei mesi scorsi non ha invece avuto impatti particolari all’interno dei mercati.

Iris Canonica

 

Il Punto

L’ottava sui principali mercati finanziari internazionali ha avuto un andamento irregolare. Ad una prima fase promettente, ne ha fatto seguito una contrassegnata da segno negativo. Le contrattazioni hanno evidenziato mediamente un basso volume di scambi.

La sessione più brillante si è rivelata quella di martedì. Per quanto riguarda in particolare gli Usa, ha concorso a supportare la domanda di azioni una serie di fattori, quali alcuni risultati aziendali migliori del previsto, diverse condizioni tecniche come l’uso sempre più crescente di operazioni dettate dagli algoritmi del trading ad alta frequenza, gli interventi della Fed sul comparto obbligazionario in veste di acquirente.

Ciò, malgrado siano riaffiorati timori connessi alla situazione dei debiti sovrani europei, come sottolineato da un sensibile allargamento degli "spread" fra Paesi principali e Paesi periferici. È stato tuttavia puntualizzato che questo fenomeno sarebbe dovuto per molti Paesi più ad un crollo dei rendimenti obbligazionari tedeschi che ad un rialzo di quelli dei Paesi a rischio.

Nel frattempo, i percorsi congiunturali di Stati Uniti ed Europa sembrano divaricarsi: stabili o in frenata i primi, in ripresa la seconda. L’ultimo, più pesante, indizio in questo senso è pervenuto dalla Bundesbank germanica, la quale ha reso noto che l’economia tedesca potrebbe crescere quest’anno intorno al 3 per cento. Si tratta di un’importante correzione verso l’alto rispetto a quando, solo un mese fa, lo stesso istituto centrale accreditava la locomotiva d’Europa di un’accelerazione pari all’1.9%. Questa previsione tiene conto della crescita record registrata nel secondo trimestre, uguale al 2.2%, che a questo punto verrebbe giudicata non una fiammata, ma una ripresa vera e propria.

A pesare sul tono di fondo, a partire da giovedì, è intervenuta la pubblicazione di dati congiunturali sfavorevoli negli Stati Uniti. Le richieste di sussidi di disoccupazione settimanali sono tornate sopra quota mezzo milione, a un passo dal massimo storico del novembre scorso, mentre, secondo i calcoli del Congresso, il deficit federale raggiungerà quest’anno il 9.9% del Pil e scenderà meno del previsto nel 2011.

A livello valutario, contraddistinto a sua volta da scambi esigui, la situazione d’incertezza percepita dagli operatori ha favorito un’ascesa dello yen giapponese, che ha raggiunto un record da 15 anni sul dollaro americano. La divisa nipponica in questa fase ha rimpiazzato il biglietto verde come rifugio entro cui difendersi dalle incognite macroeconomiche e finanziarie. Dal medesimo contesto si è pure avvantaggiato il franco svizzero, che è tornato a livelli record nei confronti dell’euro, in prossimità di 1.31.

 

Fonte:
Bloomberg
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