È l’ora del Brasile – Intervista in esclusiva al Presidente Lula
07/11/2008
di Domenico Calabria – Direttore di èItalia
Il presidente Lula ha portato il colosso latino-americano alla ribalta della politica internazionale. E, alla vigilia del suo viaggio a Roma, spiega a èItalia ed Economy come c'è riuscito
Dal 10 al 12 novembre il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula Da Silva, sarà in Italia per una visita di Stato nel corso della quale avrà incontri con esponenti del mondo politico ed economico. In questa intervista a èItalia ed Economy, Lula illustra la sua posizione sulle principali questioni interne e internazionali.
Presidente, che danni ha provocato in Brasile la crisi finanziaria?
Abbiamo preso delle misure per assicurare la liquidità nell'economia e l'accesso al credito. Sappiamo gli effetti che può avere una crisi di questa grandezza. Sappiamo anche che, nell'eventualità di una recessione profonda negli Stati Uniti, con riflessi in Europa e nei Paesi asiatici, tutti ne avvertiranno l'impatto. Per quanto riguarda il Brasile, ho motivi per affrontare la crisi con ottimismo. I conti pubblici sono in ordine, con un buon livello di riserve in valuta estera, pari a 207 miliardi di dollari. Abbiamo un sistema bancario forte. Ma soprattutto possiamo contare su un mercato interno solido, che abbiamo ampliato negli ultimi cinque anni con le nostre politiche economiche e sociali. I programmi di investimento del governo sono un importante fattore di sviluppo, e intendiamo proseguire in questa direzione. Nessuna opera pubblica – in termini di infrastruttura fisica e energetica, di urbanizzazione delle favelas, di tipo sanitario – sarà interrotta nel 2009. Dopo 22 anni senza crescita, non possiamo permettere che il Brasile retroceda dalla sua traiettoria attuale. Il rafforzamento del mercato interno, il controllo dei conti pubblici e la diversificazione dei mercati di esportazione permettono di affermare che il Brasile continuerà a crescere e che continueremo a creare i posti di lavoro necessari per il Paese.
Lei ha manifestato dure critiche al piano di salvataggio predisposto dagli Stati Uniti. Perché?
Le mie critiche erano relative al ritardo della risposta. La questione dei subprime è stato oggetto di discussione più di un anno fa, e in nessun momento i leader dei Paesi coinvolti hanno preso decisioni con anticipo. Nell'ultima riunione del G8 in Giappone ho sollevato l'argomento e nessuno ha voluto discuterne. Le misure adottate sono andate nella direzione giusta. Mi pare molto indovinata la decisione, proposta da Brown e poi adottata dagli Usa, di ricapitalizzare banche in difficoltà per mezzo dell'acquisto delle azioni e non semplicemente con un appoggio finanziario che socializza i problemi e premia le irresponsabilità di chi li ha causati.
Nel suo discorso di quest'anno all'Assemblea generale delle Nazioni unite, ha affermato che è arrivata l'ora della politica. Cosa intendeva?
I leader internazionali hanno cominciato ad offrire una risposta coordinata alla crisi. Ci vuole una nuova regolamentazione del sistema finanziario, ma è stato necessario che la crisi arrivasse ad un livello di estrema gravità affinché alcuni governi prendessero il controllo della situazione e le resistenze delle istituzioni finanziarie cominciassero ad essere vinte. In ogni caso, questo processo è appena all'inizio, e i difensori dell'onnipotenza e della virtù dei mercati tenteranno di riproporre le loro ragioni. Ogni essere umano è subordinato a regole. Le banche non lo erano. A Basilea le banche centrali hanno da molto tempo preso la decisione che una banca di investimento non poteva indebitarsi più di 10 volte rispetto al suo patrimonio. E mentre in Brasile l'indebitamento varia tra le 9 e 10 volte, negli Stati Uniti arrivava a 35 volte. L'era del dominio dell'economia virtuale è finita, ma purtroppo è finita tardi, e a un costo molto elevato.
Sui fondali dell'Atlantico sono state scoperti dei giacimenti di petrolio che potrebbero arrivare a 100 miliardi di barili, facendo del Paese uno dei primi 10 produttori al mondo. Quando inzierà la produzione?
L'esplorazione commerciale dovrebbe portare alla produzione di petrolio a partire dal 2012. Abbiamo cominciato dal primo pozzo di Jubarte, nello Stato dello Espirito Santo, estraendo petrolio a 4300 metri di profondità. A marzo del prossimo anno inizieremo ad esplorare il pozzo di Tupi, a più di 6 mila metri di profondità. Questo richiede grandi investimenti. Per avere un'idea, nei prossimi sei anni avremo bisogno di almeno 38 sonde, e ogni sonda costa più di 800 milioni di dollari; .più di 200 navi; diverse piattaforme, e per questo stiamo puntando al recupero dell'industria navale, dell'industria petrolifera. Vogliamo condividere questo sforzo industriale con gli altri Paesi dell'America del Sud. Stiamo sviluppando in Brasile una forte industria petrolchimica. L'ultima raffineria è stata inaugurata in Brasile nel 1980. Ora neo vogliamo quattro moderne: una da 600 mila barili al giorno, una da 300 mila barili al giorno, una da 200 mila barili al giorno, e un'altra da 70 mila barili al giorno. Tutto questo puntando a esportare prodotti con maggiore valore aggiunto, e non solo greggio.
Lei ha dichiarato che il suo governo investirà in politiche sociali parte degli introiti della vendita di petrolio…
La scoperta di giacimenti petroliferi costituisce un'opportunità unica per lo sviluppo del Paese, e non abbiamo il diritto di sprecarla. Per questo, ho deciso che venisse costituito un gruppo di lavoro interministeriale che lavora all'elaborazione di proposte per il miglior utilizzo possibile dei proventi e che contempla l'utilizzo di parte degli introiti nell'area sociale, e in particolare nell'educazione. La costituzione del gruppo interministeriale è il primo passo di un dibattito che dovrà coinvolgere l'intera società brasiliana. In questo momento, è prematuro parlare di cifre, ma non ho dubbi sul fatto che parte degli utili devono essere utilizzati per combattere la povertà e per pagare un debito storico con l'educazione brasiliana, essenziale per far fare un salto di qualità e assicurare il sostegno dello sviluppo del Paese.
Con quali occhi lei vede gli investitori stranieri che vengono in Brasile?
L'investimento diretto dall'estero è uno strumento di promozione dello sviluppo per chi lo riceve, e anche un'opportunità di apertura di nuovi mercati per chi investe. Deve essere affrontato come una via a doppio senso. Per il suo profilo economico, per le dimensioni della sua economia, e per la sua stabilità istituzionale, il Brasile è diventato un polo di attrazione per gli investimenti stranieri. Continueremo a fare in modo che l'economia brasiliana e il comportamento del governo restino attrattivi per gli investimenti in Brasile.
Il tasso di disoccupazione da due anni è in calo: dall'8,4% del 2006 all'8,2% del 2007. Oggi invece pare in ripresa.
La mia esperienza come lavoratore e leader sindacale fanno della questione della disoccupazione un punto fondamentale nella politica del governo. Per me non si tratta di una semplice cifra: io so quello che questo rappresenta nella vita di un lavoratore, della sua famiglia, perché ho vissuto un anno e sei mesi disoccupato, nella crisi del 1975. Per questo motivo abbiamo lavorato duramente fin dall'inizio del primo mandato, nel 2003, per creare le condizioni per una crescita sostenibile dell'economia, che si traduce nella ripresa della crescita e nell'apertura di nuove opportunità di avanzamento, di progresso per i brasiliani. Dobbiamo raggiungere a dicembre la meta di 2 milioni di nuovi posti di lavoro effettivi, soltanto in questo anno. Dall'inizio della mia presidenza fino a settembre 2008, più di 10 milioni di nuovi posti di lavoro effettivi sono stati creati. La crescita del mercato interno è diventato un importante fattore di sviluppo economico e riflette anche l'esito delle politiche in materia di inclusione sociale. Negli ultimi sei anni abbiamo avuto una riduzione significativa della povertà, con riflessi sulla crescita della classe media, che rappresenta oggi la maggior parte della popolazione: 52%.
La sua popolarità ha raggiunto il 68,8% lo scorso settembre, la percentuale più elevata della storia.Aquale sue politica attribuisce questo risultato?
Il successo del nostro governo è legato a quello che abbiamo fatto in questi 6 anni, diminuendo la povertà e la disuguaglianza, riprendendo il percorso di crescita, aumentando e diversificando il commercio estero senza trascurare la stabili- tà macro-economica e il controllo dell'inflazione. L'aumento del potere di acquisto dei lavoratori e del salario minimo a fianco di una politica di sviluppo rivolta al rafforzamento dell'industria, sono stati fattori importanti. Tutto questo, abbinando al preventivo del Pac – il Programma di Accelerazione della Crescita, su cui stiamo investendo 504 miliardi di Reais fino al 2010 – una forte politica sociale e di ampliamento del credito. Nel 2003 il Brasile aveva 370 miliardi di Reais di finanziamenti. Oggi ne abbiamo 1.100 miliardi. Abbiamo creato un credito destinato a favorire le persone più povere che attualmente ammonta a 77 miliardi di Reais, circa 50 miliardi di dollari, destinati sia a prestiti per i pensionati, ai quali mai in passato è stato concesso credito, sia all'agricoltura famigliare e all'agrobusiness.
Come è stato possibile realizzare un cambiamento di questa portata?
In economia non esiste magia. È meglio avere regole chiare, uno scenario prevedibile, piuttosto che tentare di inventare misure finanziare per ogni problema che appare. È necessario prevedere. Tutto il mondo deve sapere quello che accadrà ogni giorno, ogni mese, ogni anno, perché questo garantisce la tranquillità. Questo ha permesso che noi potessimo raccogliere quello che stiamo raccogliendo oggi. Il Brasile ha trovato la sua strada, e questo si riflette nei livelli di soddisfazione della popolazione nei confronti del Governo.
Fonte:
Italplanet News