«È il capitale umano la risorsa più preziosa per rilanciare l’Italia»
09/01/2009
ROMA – È venuto a Roma ieri per ricevere la laurea honoris causa dalla facoltà di Economia di Tor Vergata. Dale W. Jorgenson, nato nel Montana, classe 1933, dirige attualmente il Program on Technology and Economic Policy alla Kennedy School di Harvard.
E ieri ha spiegato a un selezionato pubblico di economisti accorsi ad ascoltarlo in che modo lo sviluppo informatico è divenuto la principale causa della rinascita economica americana negli anni 90. Anche per l’Italia, come afferma in questa intervista, è essenziale scommettere su It e capitale umano. Senza dimenticare, tuttavia, di affrontare il problema urgente di un costo del lavoro troppo elevato in rapporto a quello degli altri partner europei.
Professore, cosa c’è dietro alla sindrome da bassa crescita in Italia? Quanto ha contato la mancanza di investimenti in It sulla scarsa performance dell’economia negli ultimi anni?
Direi che i bassi investimenti in It sono un sintomo, piuttosto che una causa della scarsa prestazione dell’economia italiana. Credo che l’investimento in alta tecnologia sia solo un indicatore della salute economica di un Paese. Da questo punto di vista, la performance italiana appare abbastanza in linea con quella di altri Paesi, come la Germania o la Francia. Però è vero che a partire dal 2003 la crescita economica dell’Italia è stata davvero scarsa e direi che questo ha molto a che vedere con la perdita di competitività sui mercati internazionali e con il mancato sviluppo dell’innovazione in campi specifici come quello dei servizi.
Ritiene che, a parte lo scarso sviluppo tecnologico, esistano altre carenze da curare per ottenere più crescita nel nostro Paese?
Penso che in generale l’economia italiana soffra di una debolezza strutturale, che rischia di farsi sentire in modo sempre più acuto. Il lato debole, in particolare è nell’Università, nel campo dell’education in genere. In fondo, il sistema italiano è stato messo in funzione alla fine degli anni 60 ed è stato poco riformato da allora. E se si fa un confronto internazionale sul terreno della qualità accademica, si vede che l’Italia occupa un posto relativamente basso in graduatoria. Credo perciò che tutti indicherebbero questo fattore come un consistente impedimento sulla strada del progresso economico per l’Italia. Ovviamente, per ottenere risultati sul piano della qualità occorrono anche forti investimenti in questo campo.
Non pensa che conti anche il fisco?
Sì, d’accordo, il sistema fiscale può essere un discreto fardello, ma dopo tutto esso serve a finanziare la spesa pubblica e questa struttura del bilancio è il frutto di una scelta democratica, a favore di pensioni, sistema sanitario, servizi sociali: tutte cose che hanno un costo. Credo invece, che, se dobbiamo prestare attenzione agli aspetti strutturali, è più importante considerare in primo luogo il mercato del lavoro. Il costo italiano del lavoro è competamente fuori linea rispetto a quello dei partner europei e questo è uno dei motivi per cui la concorrenza delle economie cinese ed asiatica ha progressivamente spiazzato le merci italiane negli ultimi 3-5 anni. Come ci si confronta con questo problema? Credo che sarà sicuramente un’impresa dura e difficile per Romano Prodi e per la sua nuova squadra di governo. Anche perchè la sua maggioranza è sostenuta da partiti che tendono a tirarsi indietro rispetto all’esigenza di cambiare qualcosa nel mercato del lavoro.
Come vede le prospettive del nostro Paese?
Nell’ultimo quinquennio si è lasciato che molti problemi peggiorassero; molte cose essenziali sono state trascurate. Prodi però è consapevole dei punti deboli dell’economia italiana e si circonderà di molti collaboratori intelligenti. Per questo ritengo che le chance per ottenere un rilancio ci siano tutte.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
ROSSELLA BOCCIARELLI