Doppio sorpasso del Brasile, Rio entra nel G5

07/11/2011

È solo questione di dettagli, e di valutazioni da parte dei vari centri studi. Secondo il Banco Santander, dotato di ottime antenne in America Latina per ovvi motivi, il sorpasso del Brasile sull’Italia quando ad ammontare del Pil avverrà quest’anno, quando si andranno a chiudere i conti del 2011, e si accentuerà l’anno prossimo (vedere tabella in pagina) quando per di più si arriverà a lambire la Gran Bretagna. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale invece il sorpasso sull’Italia sarebbe già avvenuto l’anno scorso e alla fine di quest’anno dovrebbe avvenire anche quello della Gran Bretagna. Sesta o settima potenzia che sia o che diventi, comunque, il Brasile è entrato di diritto nel ristrettissimo circolo dei "grandi". Non è finita: sempre secondo il ranking del Fmi il Brasile nel 2014 sorpasserà la Francia. Ed esistono addirittura previsioni di alcune agenzie internazionali come Eiu (Economist Intelligence Unit) e Bmi (Business Monitor International) secondo le quali entro il 2020 sarà davanti anche alla Germania.
L’inizio del nuovo millennio sembra aver ripagato il gigante sudamericano da decenni di occasioni perdute e, mentre sulle economie del primo mondo infuria ancora la crisi aperta dallo shock finanziario del 2008, il Brasile continua a macinare crescita industriale e consumi. "Il fatto che l’economia brasiliana stia superando quella dei paesi sviluppati ha spiegato un esperto di Eiu è la conseguenza dell’ingresso nella classe media di grandi segmenti di popolazione povera". E questa è in effetti la prima spiegazione del boom.
Appena nove anni fa, all’inizio del primo mandato presidenziale di Lula, la classe media brasiliana a stento raggiungeva il 40 percento della popolazione, il 10 percento erano benestanti, mentre il resto erano poveri e poverissimi. Oggi, per la prima volta nella storia del paese, non è una piramide, da pochi ricchissimi a tanti poverissimi, quella che illustra la distribuzione del reddito. Piuttosto è un rombo o, come è stato scritto, "una cipolla", con una fascia di classe media che sfiora il 54% della popolazione. Lo sbarco nella società dei consumi, grazie alla crescita e ai programmi sociali del governo, di almeno 25 milioni di ex poveri è diventato il motore dello sviluppo del mercato interno. In migliaia, per la prima volta, hanno comprato un frigorifero, fatto le rate per la macchina (solo a Rio il parco auto è raddoppiato in dieci anni) o il mutuo per la casa. E siccome il Brasile produce tutto e difende con dazi piuttosto onerosi alle importazioni la sua industria nazionale, l’aumento dei consumi ha contribuito a polverizzare la disoccupazione (6% nel 2011).
L’altra ragione sono le "commodity", una lunga stagione di crescita dei prezzi delle materie prime e l’avvento della Cina come primo partner commerciale. Non solo caffè, succo d’arancia, carne o pollo, tutti settori alimentari dove il Brasile è il primo produttore al mondo, ma ferro, acciaio, soia e rame sono diventate le esportazioni privilegiate per l’esplosione della domanda di Pechino. Un circolo virtuoso consumi interni e materie prime che ha permesso al Brasile di raggiungere il 7,5 percento di aumento del Pil nel 2010. Un caso agevole come sintesi del mutamento potrebbe essere fatto con il mondo del calcio. Fino all’altro ieri i club europei prendevano facilmente le giovani promesse locali, oggi sono le società brasiliane che si rifiutano di venderli come si è visto con la telenovela del mancato trasferimento di Nyemar, gioiello diciannovenne del Santos, al Real Madrid. "Gli spagnoli non vogliono capire ha detto infastidito il presidente della squadra brasiliana De Oliveira che io posso pagarlo quanto vorrebbero pagarlo loro, dunque me lo tengo. Sono loro quelli in crisi, non noi".
Piuttosto il paradosso è che il Brasile conquista il sesto posto nel ranking delle potenze economiche mentre, dopo un decennio d’oro, sta frenando. La crescita del Pil nel 2011 sarà intorno al 3% e potrebbe forse arrivare alla fine a poco meno del 4 per cento, comunque decisamente meno di quanto previsto inizialmente dal governo (5,5%). Ed è già violento il dibattito sull’inflazione (fra il 6 e il 7%), la bolla immobiliare, l’esplosione del credito (+20% in un anno), e si addensano le nubi sul futuro per i mancati investimenti in istruzione e infrastrutture.
Nell’albergo dove alloggio uno dei due ascensori è guasto da settimane e mi spiegano non possono aggiustarlo perché la ditta della manutenzione non ha la mano d’opera qualificata sufficiente alla domanda di interventi di riparazione. Un caso probabilmente estremo. Popolare però è la consapevolezza delle difficoltà nazionali in vista dei due appuntamenti internazionali (Mondiali di calcio 2014 e Olimpiadi 2016). C’è chi trema solo all’idea visto che, solo per fare un esempio, già oggi per percorrere i 25 km che separano lo scalo aereo di Guarulhos dalla zona centrale di una megalopoli come San Paolo possono essere necessarie anche due ore. O che nella capitale Brasilia ne servano altrettante in una mattinata di traffico passeggeri intenso per un semplice checkin con consegna della valigia.
Ma il Brasile ormai è di moda e grazie al mix virtuoso della vivacità della crescita, della disponibilità di fondi pubblici e delle prospettive di ulteriore sviluppo legate nei prossimi sei anni a Mondiali e Olimpiadi attira sostanziosi investimenti internazionali nonostante i suoi guai infrastrutturali. Il rallentamento di questi ultimi mesi la produzione di auto è calata del 10% e tutto il comparto industriale del 2% potrebbe essere solo una circostanza momentanea legata, sostengono gli esperti, anche all’impatto della crisi internazionale. D’altra parte il Brasile ha una industria solida, grandi risorse ed una popolazione giovane, età media 30 anni. Ricchezze che dovrebbero consentirgli di onorare le previsioni di crescita. Gli osservatori più critici, come Moisés Naim, mettono in guardia sulle difficoltà che potrebbe creare una domanda di consumi che cresce troppo in fretta rispetto alle capacità di soddisfarla circostanza che alimenta l’inflazione e ha già trasformato Rio e San Paolo in città carissime e gli stessi analisti che hanno certificato il sorpasso della Gran Bretagna avvertono: "Se il Brasile non migliora la sua capacità produttiva investendo in scuole e infrastrutture il fatto di diventare una economia più grande di quella dell’Inghilterra non avrà grandi conseguenze sul reddito pro capite".
Altri temono l’euforia e atteggiamenti nazional trionfalistici nelle classi dirigenti che potrebbero favorire una inerzia politica verso le riforme necessarie. E perfino il "présal" (o salt in inglese), ossia gli sterminati giacimenti di greggio che sono stati individuati all’interno delle acque territoriali lungo le coste del Brasile, depone a sfavore. Perché il petrolio con la ricchezza può portare anche la deindustrializzazione (sindrome olandese). Così se le agenzie che studiano il Pil garantiscono nella migliore delle ipotesi di cui si parlava all’inizio Brasile il quinto o quarto posto a scapito della Germania entro il prossimo decennio, per l’indice dello sviluppo umano dell’Onu (Hdi) il paese di Dilma Rousseff naviga in altre acque, al posto numero 84, dietro l’Ecuador e la Bielorussia.

 

Fonte:
La Repubblica