Dal Brasile l’etanolo «buono»

09/01/2009

La polemica sui biocarburanti, che ieri ha raggiunto il vertice della Fao, è deflagrata negli ultimi mesi, come spesso accade, con scarsa attenzione ai fatti.

Dopo esser stati osannati come la soluzione pulita per il caro-petrolio e i cambiamenti climatici, i biocarburanti sono finiti nel mirino e accusati di competere con le produzioni alimentari per l’uso dei terreni e delle materie prime agricole e quindi di essere fra i principali colpevoli del boom dei prezzi del cibo che sta affamando le popolazioni più povere della terra.

Le stime dell’impatto sui prezzi agricoli sono le più diverse: da quella minimalista del segretario all’Agricoltura Usa, Ed Schafer (3%), a quella di alcune organizzazioni non governative e ambientaliste, che parlano del 30 per cento.

Il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, ha ricordato l’altro ieri, in un’intervista al Sole-24 Ore, l’importanza di distinguere fra l’etanolo (il più importante dei biocarburanti) prodotto dalla canna da zucchero e quello derivato dai cereali, granturco e grano, sottraendoli all’uso alimentare. E ancora delle speranze riposte nella “seconda generazione” di biocarburanti, quelli cellulosici, che si possono ricavare per esempio dagli scarti della lavorazione del legno. Etanolo buono ed etanolo cattivo, un po’ come si dice per il colesterolo, secondo la battuta coniata dallo scienziato inglese, Sir David King, e ripresa ieri dal presidente brasiliano Lula.

Non a caso Lula si è schierato con veemenza a difesa dell’etanolo “buono”. Dell’etanolo dalla canna, il maggior produttore mondiale è il Brasile, che ha alle spalle un’esperienza ormai ultratrentennale. La quasi totalità delle auto nuove in Brasile è oggi flex-fuel, cioè ha la possibilità di funzionare con diverse combinazioni di etanolo e benzina. L’etanolo di canna presenta una serie di vantaggi su quello da cereali, prodotto negli Stati Uniti e in Europa. Non sottrae terreni agricoli alle produzioni alimentari: in Brasile la canna occupa il 2% dei terreni arabili e metà è destinata allo zucchero. Solo l’1% quindi è dedicato all’etanolo. La canna assorbe ossido di carbonio mentre cresce e l’etanolo lo elimina, in parte, quando impiegato come combustibile: le emissioni di ossido di carbonio dei veicoli alimentati a etanolo sono inferiori dell’80% a quelle di benzina e gasolio. Inoltre l’etanolo da canna ha una resa molto superiore: per ogni joule di energia impiegato per produrre etanolo, se ne ricavano 8,5.

Il rapporto corrispondente fra input e output di energia nell’etanolo derivato dal granturco (maggior produttore gli Stati Uniti) è di solo una volta e mezzo. Benzina e gasolio arrivano a mala pena a uno. Per ottenere etanolo dal grano, come si fa in Europa, si consuma altrettanta energia di quella che si ottiene. L’etanolo da canna è poi molto più produttivo: 6.800 litri per ettaro contro 3.100 dell’etanolo da mais. L’etanolo ricavato in Europa da barbabietole e frumento è anch’esso assai meno produttivo.

L’ultima accusa rivolta all’etanolo è quella di contribuire alla distruzione della foresta amazzonica: questa procede a passo di carica, ma la ragioni sono altre. Il grosso delle piantagioni di canna in Brasile è concentrato nello Stato di San Paolo, che dista dall’Amazzonia come il Vaticano dal Cremlino, secondo un’altra battuta di Lula.

In Amazzonia per di più non ci sarebbero le condizioni climatiche per coltivare la canna. Condizioni presenti invece in Africa. La produzione di etanolo in quei Paesi potrebbe quindi contribuire al loro sviluppo agricolo, come ha ricordato Zoellick. Il Brasile sta cominciando a esportare il proprio know-how in Angola anche attraverso una joint-venture con l’Eni.

Assai più dubbia la posizione dell’etanolo da granturco: spinto a forza di sussidi dall’amministrazione Bush, è diventato un canale importante per far affluire aiuti agli agricoltori, lobby potente in molti Stati. E intanto viene protetto dalla più efficiente produzione brasiliana con pesanti dazi e contribuisce, esso sì, allo sconquasso sui mercati mondiali delle commodities.

Grande speranza per il futuro è l’etanolo cellulosico, che per ora non dispone delle tecnologie per essere sfruttato commercialmente. Forse sarebbe meglio, ha osservato Zoellick, concentrare nella ricerca su questo i soldi spesi finora per sostenere produzioni inefficienti.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
Alessandro Merli