Dagli italiani nel mondo agli italiani del mondo
09/01/2009
In un’intervista esclusiva il sottosegretario Alfredo Mantica, in partenza per il Sud America, traccia la sua politica per i prossimi cinque anni e parla del significato mutato dell’Italia nel mondo a cui le rappresentanze delle collettività devono adeguarsi con nuove politiche rivolte ai nuovi italiani all’estero
Roma – Cgie, Comites, Circoscrizione Estero. I rappresentanti degli italiani nel mondo a confronto con riforme e revisioni importanti: la ristrutturazione del Cgie e la riforma costituzionale per i parlamentari prima di tutto. News ITALIA PRESS, in un’intervista esclusiva, ha incontrato il sottosegretario agli Affari Esteri con delega per gli italiani nel mondo, Alfredo Mantica, all’indomani degli incontri con il Cgie e i 18 parlamentari eletti sulla Circoscrizione Estero. Necessità di comunicazione tra le parti, ma, soprattutto, un’analisi della reale situazione di quello che rappresenta l’Italia nel mondo oggi. Queste le riposte del sottosegretario, che ci ha tracciato la sua strategia per i prossimi cinque anni di politica degli italiani all’estero. Una politica destinata a rivoluzionare tutta la rappresentanza delle collettività: la rivoluzione parte da domande fondamentali come ‘cos’è l’emigrazione oggi?’, ‘chi è italiano e chi no?’, ‘a che tipo di collettività si rivolgono i rappresentanti degli italiani all’estero?’. A Cgie e parlamentari l’ardua sentenza.
Con News ITALIA PRESS il sottosegretario Mantica ha parlato anche del suo prossimo viaggio in Argentina e Brasile: le lobby, l’assegno di solidarietà, la cittadinanza. Prospettive e difficoltà nella sua prima trasferta oltre confine.
Sottosegretario, quale bilancio ci può fare della riunione di ieri con i 18 parlamentari
E’ stata una riunione informale. Non credo sia usuale che il governo incontri parlamentari di maggioranza e opposizione per un confronto ad ampio raggio come è stato quello di ieri (l’intervista è stata fatta ieri, mentre la riunione si è tenuta il 25 giugno). Penso sia andata molto bene; con 20 anni di esperienza parlamentare alle spalle credo di sapermi rapportare ai colleghi neo eletti. E poi fatto due anni in opposizione in commissione Esteri del Senato con i primi parlamentari italiani eletti nel mondo. Il loro modo di ragionare, di porsi, mi era abbastanza noto. Il problema che c’è sullo sfondo e di cui abbiamo parlato lungamente, più tra colleghi che tra governo e parlamentari, è proprio il loro ruolo in Parlamento.
Faccio un esempio: alla Camera dei deputati ieri hanno votato e deciso un comitato per gli italiani nel mondo all’interno della commissione Esteri. Contemporaneamente in Senato c’è una proposta di modifica del regolamento per formare una giunta che diventerebbe la quindicesima commissione di palazzo Madama. Questo modo di procedere, differente tra le due Camere, mi fa capire che i parlamentari non hanno ancora ben chiaro cosa devono fare, perché se fanno una giunta in realtà si fanno un parlamentino di italiani nel mondo all’interno del Parlamento. Questo secondo me è sbagliato. Questo è un esempio concreto di un fatto di questi giorni che dice che il dibattito si è appena aperto, ma che nello stesso mondo degli eletti nel mondo ci sono opinioni profondamente diverse, tant’è che chiedono strutture parlamentari diverse.
Ecco un altro esempio per spiegare le loro difficoltà: i parlamentari eletti all’estero hanno posto in sede di commissione Esteri il problema dell’Ici sulla prima casa. Ma io ho detto di non essere autorizzato a rispondere sulla questione. Essendo loro parlamentari italiani a tutti gli effetti, devono rivolgersi alla commissione Finanze come gli altri e in quella sede che è di competenza devono discutere un problema che riguarda specificatamente gli italiani nel mondo ma in particolare le Finanze e non gli Esteri. Anche i funzionari di Camera e Senato hanno opinioni diverse in merito alla delega per gli italiani nel mondo e se questa sia una delega omnicomprensiva che riguarda scuola, cultura, tasse, viaggi, turismo, o meno.
Si tratta di una delega richiesta dal ministro Tremaglia, è vero, però allora non c’erano i parlamentari, ma solo il Cgie. Il Cgie è una forma surrettizia di Parlamento e non avendo a suo tempo interlocutori in sede parlamentare il governo ha provveduto in questo senso con la figura di un ministro. Dal 2006, però, ci sono i parlamentari. Da qui nasce l’altro problema di cui abbiamo discusso l’altro giorno: i consiglieri del Cgie e i parlamentari devono parlarsi e confrontarsi sulla razionalizzazione della rappresentanza. Il governo però non può dare indicazioni in questo senso, può, sulle proposte che i parlamentari fanno, esprimere un parere favorevole o meno. Ma il problema lo devono affrontare loro.
Abbiamo parlato anche della riforma del Cgie. Nel marzo del 2009 ci sarà l’elezione dei Comites, poi del Cgie… e i parlamentari? Se consento che si riapplichi la legge e il Cgie torna nella pienezza dei loro poteri, come se non fosse successo niente, allora i parlamentari che li abbiamo eletti a fare?
Qual è la Sua ipotesi in merito al Cgie e a tutta rappresentanza degli italiani all’estero? Pensa a una revisione?
Il problema che ho posto è stato tema di discussione sia con il Cgie che con i parlamentari. Noi abbiamo di fronte cinque anni. Le leggi elettorali si fanno sei mesi prima delle elezioni, prima del 2013 non mi pronuncerò sulla legge elettorale. Da qui al 2013, tra l’altro, c’è una riforma costituzionale, il pacchetto Violante Bocchino, un accordo bipartisan, condiviso, sulla riforma del sistema bicamerale. Come si pongono i parlamentari eletti all’estero di fronte a questa riforma? Se c’è una Camera politica e una delle Regioni, dove andranno loro? Comprendo la loro presenza all’interno del Senato federale, perché sono espressione di un territorio, di un continente che si può definire una grande regione. Ma nell’ambito strettamente politico che cosa rappresentano esattamente? Non sto dicendo che non li voglio, sto solo esponendo un problema su cui lavorare, partecipando al dibattito, definendo le funzioni. Ma in funzione di questo, non solo avranno una nuova legge elettorale, ma anche un problema di rapporti con il Cgie. Se si fa una riforma costituzionale, cambiando il sistema camerale, che senso ha che il Cgie continui ad esistere? Tanto più i parlamentari sono forti, tanto più saranno incisivi nella riforma costituzionale. Dal momento che parleremo della riforma non prima del 2010, vale la pena fare l’elezione dei Comites nel 2009? Io ho presentato loro un problema da affrontare in cinque anni. Ho voluto spiegare il valore di una cosa che accadrà nel dicembre del 2008: la questione del rapporto italiani nel mondo con il paese ha avuto una fase storica anche con momenti eroici, ma che si è chiusa. Oggi c’è il Parlamento. Voi parlamentari eletti all’estero siete italiani, siete legittimati. In più sono passati 30 anni da quando è iniziata la fase eroica. Allora mi pongo una domanda: il 15-19 dicembre 2008 all’auditorium di Roma farò tenere la conferenza mondiale dei giovani italiani nel mondo a cui porrò una sola domanda: ‘Voi che avete 18 anni e siete di quarta generazione che italiani siete? Cos’è l’identità nazionale, cos’è l’appartenenza al sistema Italia? Siete avvocati, professionisti, argentini, brasiliani, francesi e tedeschi: cosa volete dal governo e cosa, soprattutto, volete voi? Ormai è un dato di fatto che il mondo dell’emigrazione antico si sia cristallizzato attorno al Cgie. Era la sua rappresentanza. I parlamentari eletti all’estero sono l’apertura a un mondo nuovo, adesso che voi parlamentari ci siete, questo mondo nuovo costruitevelo. Allora se lo vogliamo sul serio, questi cinque anni sono un periodo durante il quale andare in giro per il mondo, ascoltarli, verificare, vedere i documenti; poi attorno a questo nasce un lavoro politico che supera però anche il concetto assistenziale dei patronati e dei sindacati che hanno un ruolo ovviamente diverso, così come non mi possono venire a dire che nel mondo esistono 5400 associazioni italiane. Ci sono 5400 indirizzi: vogliono sapere quali sono le associazioni che funzionano, se si esprimono, cosa rappresentano. Ce ne saranno 2 mila. 800 associazioni solo in Svizzera mi sembrano tante. Non credo che esista un’associazione culturale e politica in Italia nel numero di 5400. E allora anche lì bisogna essere seri. C’è il problema che è stato sollevato, e che risollevo, dell’editoria e del finanziamento all’editoria. Io ho spiegato ai parlamentari eletti all’estero e al Cgie chi è Beppe Grillo. Il comico ha sollevato un problema che riguarda l’Italia ma anche la stampa italiana all’estero. Continuiamo a fare finta di niente? Entriamo nel dibattito italiano sollevato da Grillo? Altrimenti resta, e lo dico con grande sincerità, la lagnosità degli italiani nel mondo che chiedono soldi e non è questa l’idea di politica o anche l’idea di Tremaglia di arrivare ai parlamentari. Io sono subissato da richieste di ogni tipo come ‘manca la scrivania a Curitiba’: ma c’è bisogno di un parlamentare o di un sottosegretario per questo? Forse non abbiamo capito i ruoli.
Questi due incontri sono stati importanti. Io non so cosa succederà adesso, però tutti i parlamentari eletti all’estero hanno parlato ed espresso opinioni e c’è una condivisione sulle cose da fare; sul come poi discuteremo. E il Cgie ha capito che non può continuare a far finta che non sia successo niente.
E poi ultimo sogno della mia vita, ma questo è il sogno di un’altra legislatura, è quello di passare da italiani nel mondo a italiani del mondo. Se si appartiene a questa identità valoriale che è l’Italia, gli albanesi e i croati, che parlano e ragionano in italiano, non ne fanno parte?
Sottosegretario, Lei è un italico? Condivide la linea della filosofia bassettiana?
Condivido il sogno di chi dice che, caduti i confini, la patria è laddove parla uno la mia lingua. Poi possiamo unirci e organizzarci insieme, però se non si ha una visione e una missione io non ho intenzione di mettermi a gestire un badget e di preoccuparmi di nominare un professore in una scuola. Questa è la mia impostazione su questa vicenda e il motivo per cui ho chiesto al ministro di avere in mano sia la delega per gli italiani nel mondo che quella della cultura.
Cosa farete della conferenza dei politici di origine italiana nel mondo ipotizzata dall’ex viceministro agli Affari Esteri con delega per gli italiani nel mondo Franco Danieli?
Per assurdo l’unica cosa che ho visto di positivo in queste settimane e in queste conferenze è stata l’elezione di Miss Italia nel mondo. Io credo che anche qua ci sia da smantellare una serie di questioni: ho incontrato il giudice Scalia membro federale della Corte degli Stati Uniti. Dal cognome deve essere siciliano, ma non sa una parola di italiano, però questo signore viene ogni anno con la moglie in Italia perché sente forte questo legame spirituale e culturale. Ma a lui non interessa votare per noi: è americano, la sua vita è lì, il suo futuro è lì, i suoi figli sono lì. Allora si prende atto della realtà così com’è: gli italiani nel mondo sono diversi dagli argentini, dai brasiliani, dagli americani, eccetera. Io per esempio mi pongo la domanda ‘cosa vuol dire essere italiano nel mondo essendo nell’Unione europea dove siamo trattati come cittadini europei?’ E’ ovvio che ci debbano essere forme di assistenza e intervento, però non mi dite che un italiano in Germania è un emigrante; è un cittadino europeo a cui è stato concesso il diritto di muoversi liberamente all’interno dell’Unione europea come si muovono i capitali e gli investimenti. Allora il problema che si pone è capire cosa significa essere italiano all’interno dell’Unione europea. Certo, ci sono le storie drammatiche come quella di Marcinelle, ma tutto questo avveniva tanto tempo fa. Tutto questo fa parte della memoria, delle radici e non va cancellato, va acquisito e ricordato e va ricordato anche alle nuove generazioni però il problema oggi è un altro. Tutto questo non è politica, non serve a fare cose.
Riguardo alla lingua italiana nel mondo qual è la sua opinione?
La lingua italiana non la insegno ai bambini italiani, la insegno a chi vuole imparare la lingua italiana. Noi abbiamo una scuola bellissima ad Asmara. Ci sono 800 allievi di cui tre italiani. Però la classe dirigente eritrea viene allevata nella cultura e nella lingua italiane. Se tengo in piedi una scuola come questa devo tenere presente che non insegno agli italiani, altrimenti non ci siamo capiti. Io credo che bisogna sfatare anche alcuni miti come il mito che gli italiani nel mondo siano fascisti, mito che mi ha sempre divertito: noi pensavamo di cambiare il quadro politico italiano e la sinistra era terrorizzata. Io credo che bastasse andare in giro a parlare con la gente per capire la situazione reale.
Ma la conferenza dei parlamentari di origine italiana non è forse l’unica cosa in quel percorso fatto di molta memoria che è da salvare?
Può essere, però attribuendogli un valore relativo. Per esempio l’italiano eletto in Canada o in Argentina, che cosa hanno in comune tra loro? Hanno sì una cultura di riferimento comune, ma li potrei mettere insieme in quanto parlamentari o in quanto ristoratori. Si tratta di un gruppo di una fascia. In questo senso come organizzo la riunione dei giovani posso organizzare altre riunioni settoriali.
Non la considera una lobby latente quella dei politici italiani?
No. Provi ad andare a Bruxelles, i funzionari italiani prima sono europei poi sono italiani. La nostra cultura di fondo non è fortemente identitaria, ammalata di grandeur alla francese, non abbiamo alle spalle l’impero britannico o il culto della hispanidad. Noi tutto questo non l’abbiamo mai avuto. Non è vero che io faccio lobby non la faccio nemmeno dove dovrei farla, perché io non ci credo. Se significa tenere desta e viva l’identità d’appartenenza alla cultura italiana ci credo, ma allora è un risultato mediato nel tempo. Io metterò ancora insieme la Confederazione degli imprenditori però anche lì il sogno di fare investire gli italiani andati all’estero in Italia non c’è. Se invece diciamo che gli imprenditori italiani nel mondo sono un elemento di supporto all’internazionalizzazione delle imprese italiane è un altro discorso. Ma non è lobby; è interesse, opportunità, è creare i circuiti di informazione usando gli italiani. Perciò io lavorerò anche alla Ciim (Confederazione degli Imprenditori Italiani nel mondo, ndr) per un rilancio in un’ottica più pragmatica e serena. Come non se ne può più del made in Italy applicato agli italiani nel mondo: sono due cose diverse. Il made in Italy inteso come l’eccellenza che nasce dalla cultura dell’artigianato italiano è una cosa, l’italiano di Boca Juniors è un’altra. Tutto va riportato nel senso che hanno le cose.
In Argentina e in Brasile cosa andrà a dire, cosa andrà a fare in questo primissimo viaggio?
In Brasile andrò a fare una visita di cortesia, c’è una comunità molto integrata e antica (i primi immigrati sono del 1780), è un grande paese, conosce un grande sviluppo, è una delle grandi potenze mondiali emergenti. Lì siamo di fronte a una comunità che fa anche parte della classe dirigente del paese.
In Argentina credo di andare in un Paese profondamente diverso, dove gli italiani sognano di essere italiani prima di essere argentini ed è un paese che è pieno di problemi, contraddizioni e di situazioni complesse. Sarà comunque una visita di cortesia ma credo che lì ci saranno anche dei momenti di criticità, di dialogo abbastanza serrato. Mentre il Brasile me lo aspetto molto tranquillo, aperto e sereno. Sono due mondi diversi.
In Argentina si troverà di fronte al problema dell’assegno di solidarietà. Qual è la Sua linea?
Cercare di mantenere gli impegni assunti anche se a volte gli impegni sono stati stravolti dalla campagna elettorale.
E sulla cittadinanza? In Brasile si troverà con i Consolati che hanno circa 500 mila richieste.
Noi abbiamo organizzato una task force, un rafforzamento. Il quotidiano Clarín è già uscito con la notizia del rafforzamento di funzionari. Delle cittadinanze ne ho parlato a lungo con l’ambasciatore Valensise (ambasciatore d’Italia in Brasile, ndr). Ma che senso ha il riconoscimento di cittadinanze? Io credo sia un metodo superato.
Come gestirà lo stato italiano questa valanga di nuovi cittadini che richiederanno servizi?
Devo dire che è un problema che non si è posto nessuno. Anche perché nessuno pensava di arrivare a questi livelli. Il problema delle cittadinanze, ne ho parlato con i parlamentari eletti all’estero, mon è un problema esclusivo degli italiani all’estero. E’ il problema di che cosa è la cittadinanza oggi. Ho detto loro ‘se voi siete in grado di animare il dibattito, questo è il vostro ruolo: trasferire in Italia l’esperienza di una realtà anche drammatica e dare una soluzione ai problemi dell’oggi.
Fonte:
News ITALIA PRESS