Così il made in Italy resterà campione
09/01/2009
Ricerca, analisi e molti milioni di euro: insieme alla grande fiera della moda maschile a Firenze viene lanciato un poderoso progetto. Coinvolge un colosso bancario e molte aziende
La ritualità quasi liturgica di sfilate e altri appuntamenti della moda non illude gli operatori: è un momento difficile.
Nel 2004 il sistema tessile-abbigliamento-moda del made in Italy ha continuato, per il terzo anno consecutivo, a perdere colpi.
Come dimostrano i dati definitivi, il fatturato è sceso a 42,5 miliardi di euro, subendo una flessione rispetto al 2001 di oltre 5,2 miliardi di euro (con 24 mila posti di lavoro persi nel 2004 e oltre 66 mila nell’ultimo triennio, secondo i dati di Istat, Inail, Ati e Movimprese).
Eppure, i cedimenti non impediscono la progettualità a lungo termine per gran parte delle aziende medio-piccole. Infatti in concomitanza con la 68esima edizione di Pitti immagine uomo (22-25 giugno alla Fortezza da Basso a Firenze) è stato presentato un poderoso progetto, cui si lavora dal 2004, battezzato I campioni del made in Italy. Che significa due cose: i migliori rappresentanti dello stile italiano e, nello stesso tempo, un prototipo di riferimento.
Messo in piedi da Unicredito e Pitti immagine, con l’intenzione di offrire una consulenza strategica alle migliori imprese, il progetto è partito con la mappatura di 2.300 aziende (pari al 15 per cento dell’intero settore), delle quali sono stati analizzati i risultati economico-finanziari per un fatturato aggregato pari a 80 miliardi di euro, corrispondente ai due terzi del totale di settore. Da qui è nata una banca dati, significativa dei fattori critici e di successo, della competitività e dei limiti strutturali e progettuali delle nostre aziende.
«È una partnership inedita quella che ha fortemente voluto il progetto di I campioni del made in Italy» tiene a precisare Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti.
«Per la prima volta un’istituzione che si occupa di saloni ha voluto offrire un servizio in più ai suoi clienti, chiedendo a un istituto di credito per le imprese quale è Unicredito di svolgere un’analisi approfondita di bilanci e di investimenti delle aziende campione, per affiancarle e sostenerle».
E di affiancamenti ne sono stati fatti circa una sessantina, con aziende quali Allegri, Furla, Avon Celli, Zegna Baruffa; si sono concretizzati nello sviluppo di un business plan per facilitare la pianificazione industriale e finanziaria, seguita dall’erogazione di oltre 100 milioni di euro.
Conferma Augusto Allegri, vicepresidente dell’omonima casa: «C’è stata offerta la possibilità di fare una specie di check-up alla nostra azienda, per analizzare lo stato di fatto e per capire se ci sono, come nel nostro caso, nuove strade.
Credo che in questo momento trovare, tutti insieme, gli strumenti per superare la situazione contingente sia fondamentale. C’è bisogno di idee nuove, di contatti e di forte unità».
La maggior parte delle imprese italiane ha dimensioni troppo piccole e manca di sufficiente incisività commerciale e di marketing. «Sono aziende vitali ma devono affrontare tre grossi ordini di problemi» sintetizza con Panorama Fabio Tamburini, responsabile progetti speciali Unicredito. «Il primo riguarda l’efficienza operativa. Storicamente le aziende sono cresciute concentrandosi sul prodotto, ottenendo alti margini di profitto, senza badare appunto ai margini di efficienza.
In secondo luogo, sono prive di un importante canale distributivo a livello internazionale e incapaci di affermare la propria marca.
L’ultima questione, importantissima, riguarda le competenze manageriali all’interno dell’azienda, specializzate nelle aree di valore aggiunto a cominciare dal marketing».
Investimenti sulle risorse umane quindi, e soprattutto, come sostengono gli esperti, necessità di mettersi insieme cercando anche partner finanziari in grado di rischiare.
Lo stesso progetto sarà esteso dall’Unicredito ad altri ambiti del made in Italy, come la meccanica, settore ancora più importante per il Paese, con il Celabproject, e all’alimentazione, con il Wine e food lab.
Intanto, qualche dato positivo comincia ad affacciarsi nel panorama numerico poco roseo del settore tessile-abbigliamento: le esportazioni italiane negli Stati Uniti, dopo due anni di forte ridimensionamento, hanno registrato un’espansione del 7,1 per cento per un valore di 2,5 milioni di dollari.
Eppur qualcosa si muove.
Panorama.it
di Antonella Matarrese
29/6/2005