Competitività in caduta libera

09/01/2009

Nel 2004 l’Italia è scivolata al 51 posto perdendo dieci posizioni in classifica. Poco distanti Filippine, Brasile e Romania – Sotto accusa anche la scarsa propensione al cambiamento.

MILANO • Competitività in caduta libera per l’Italia. Nella prima classifica del 2004, il nostro Paese perde infatti ben dieci posizioni, arretrando al cinquantunesimo posto, ultimo di tutta la Ue compresa la Grecia (quarantaquattresima) e di poco superiore in fatto di efficienza del sistema a Filippine, Brasile, Romania e Turchia.

Questo il responso stilato dagli esperti di management dell’Imd. Anche nella speciale graduatoria di carattere regionale la Lombardia viene trascinata verso il basso e scende alla quarantaseiesima posizione rispetto alla trentaseiesima di un anno fa.

Gli Usa risultano sul podio, come sempre, mentre Singapore conquista la piazza d’onore, seguita da Canada e Australia. Scende invece in settima posizione, dalla quinta del 2003, la Danimarca, primo Paese europeo della classifica, seguita da Finlandia, Lussemburgo e Irlanda, tutte nella top ten.

Fanno passi avanti, e la cosa non meraviglia, le Nazioni asiatiche (la Cina risulta ventiquattresima), mentre anche la Russia è davanti a noi. «Il nostro rapporto è compilato sia con criteri statistici quantitativi sia con elementi più qualitativi raccolti da un nostro survey. Ebbene, quello che ha penalizzato quest’anno in maniera particolare il vostro Paese — osserva Stéphane Garelli, il professore che cura il rapporto Imd — è stata la parte delle interviste. Decisamente avete una brutta immagine. Di gente che annuncia le riforme, ma non le realizza.

L’Italia, nel giudizio degli operatori internazionali, è un Paese nel quale nessuno vuole cedere i propri privilegi. Inoltre abbiamo registrato una scarsa coesione sociale e una insufficiente attitudine ad accettare la ridefinizione delle politiche economiche». È quindi stata la scarsa propensione al cambiamento che ha fatto diventare l’Italia maglia nera della Ue nella classifica della competitività.

La cattiva campagna di stampa internazionale di cui siamo stati oggetto negli ultimi mesi, innescata anche dagli scandali finanziari, ha quindi giocato un ruolo chiave nella compilazione della graduatoria. Sui mercati internazionali è molto importante l’elemento immagine, un fattore che diventa decisivo quando si tratta di attrarre investimenti esteri. La scarsa determinazione con la quale vengono portate avanti le riforme ha quindi pesato molto di più, spiegano a Losanna, del rallentamento della crescita o di altri fattori negativi strutturali.

Non per niente tra le voci che zavorrano la performance dell’Italia troviamo elementi di corporate governance legati al cattivo funzionamento dei consigli di amministrazione e all’insufficiente tutela degli azionisti di minoranza. Tutti elementi negativi che vanno ad aggiungersi all’elevato peso contributivo (sia a carico dell’azienda sia dei dipendenti) e ad altre voci di infrastruttura come la scarsa spesa in ricerca e sviluppo o l’insufficienza delle via d’acqua. Non mancano però i fattori positivi. Oltre alle capacità imprenditoriali, la buona produttività delle risorse umane (siamo in ottava posizione) e una solida base di tecnologia installata nelle fabbriche.

Altri punti di forza vengono riconosciuti nei bassi costi delle telefonate cellulari, nel discreto volume di esportazioni (anche se in calo), nel numero di giorni per l’avvio delle imprese, ma anche nella libertà concessa agli investitori esteri e nel costo del capitale piuttosto basso. La miglior performance la otteniamo però nella scuola con un terzo posto nel rapporto tra insegnanti e studenti. Tra le minacce viene segnalato che in Slovenia, Paese confinante con noi ed entrato nella Ue, il costo del lavoro è di appena 6,7 dollari l’ora contro i 17,8 del nostro Paese (ma in Germania si arriva a trenta).

Il Sole-24 Ore Franco Vergnano