Commercio estero: export in recupero a novembre

09/01/2009

Bilancia in leggero avanzo (0,3 miliardi di euro) nei primi undici mesi del 2004, a fronte di un saldo positivo di 3,3 miliardi nello stesso periodo del 2003. In novembre recuperano le esportazioni (+13,5%) e corrono le importazioni (+16,9%); nei primi undici mesi export +5,2% e import +6,5% nei valori tendenziali. Segnano il passo le vendite nei paesi dell’Unione europea; vanno meglio Stati Uniti, Asia, Opec e America latina, così come buona parte dei nuovi entranti nella Ue, Turchia, Russia e Svizzera. Supereuro e caro petrolio pesano sullo scenario di fine anno.

Le esportazioni italiane sono tornate a crescere nel 2004, dopo un biennio 2002-2003 in sensibile flessione per il 3,5-4% annuo nei dati della contabilità nazionale (-1,5% circa le sole merci nelle statistiche Istat). I risultati parziali del nostro commercio estero hanno incominciato, infatti, a riflettere il rafforzamento della congiuntura internazionale e, quindi, della domanda mondiale, trainata dal Nord America e dall’Asia (Cina in testa). E’ un segnale importante, perché avviene in un contesto in cui l’economia europea appare ancora debole e incerta.

Nell’ultimo trimestre dell’anno si sta facendo sentire, però, l’effetto del supereuro sui comparti del made in Italy, che rende difficilmente replicabile la notevole accelerazione dell’export registrata nella parte centrale del 2004. Il caro petrolio, a sua volta, determina un sensibile aumento del valore delle merci importate, tale da assottigliare in modo decisivo il saldo commerciale.

Peggiora in particolare, rispetto allo stesso periodo di un anno prima, l’avanzo commerciale, che si riduce in misura significativa, mentre tornano in affanno le esportazioni, sia verso l’Unione europea ma soprattutto nei paesi extra Ue , dove sono a rischio a causa dell’eccessiva svalutazione del dollaro. La forte crescita dell’economia internazionale ha, dunque, favorito la ripresa delle nostre vendite all’estero, nonostante l’apprezzamento dell’euro e la conseguente erosione dei margini di competitività di prezzo. Questi ultimi fattori stanno, peraltro, determinando una netta contrazione della quota italiana nel commercio mondiale, passata dal 4% a circa il 3% negli ultimi cinque anni, se misurata a valori costanti, con una tendenza che sembra inevitabile nel prossimo futuro e può essere contrastata solo con un riposizionamento strategico dell’industria esportatrice (nei settori dove la concorrenza è soprattutto basata sulla qualità e l’innovazione).

L’andamento del commercio estero italiano ha mostrato nei dati complessivi del 2003 una marcata debolezza in entrambi i flussi dell’interscambio. Ma il calo più sensibile si è registrato per le esportazioni, che sono diminuite in misura rilevante verso i paesi extraeuropei (-4,8%), mentre hanno continuato a segnare il passo in quelli Ue. Il declino dell’export ha risentito, in particolare, della persistente stagnazione della domanda mondiale e del forte apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, che spiega in gran parte la flessione delle vendite sui mercati extraeuropei. I soli modesti risultati positivi sono stati messi a segno con i paesi già candidati all’Ue, la Turchia, la Russia e, in Europa, con la Spagna e la Svizzera; mentre le riduzioni più accentuate hanno riguardato gli Stati Uniti, l’America latina e gran parte dei paesi asiatici. La posizione competitiva del made in Italy è, inoltre, minacciata dalla crescente penetrazione delle merci provenienti dalla Cina (e rilevanti per il modello di specializzazione italiano) sui principali mercati di sbocco delle nostre esportazioni. Ne è risultato un forte ridimensionamento del surplus commerciale, sceso nel 2003 ad appena 1,6 miliardi di euro, il saldo più modesto dall’ormai lontano 1992.

Anche il 2002 si era delineato come un anno difficile e contrastato per la bilancia commerciale italiana; un’analoga evoluzione è stata, del resto, registrata nel 2001, ma con un profilo temporale rovesciato (la seconda metà dell’anno in recessione, mentre il 2002 nello stesso periodo è apparso in moderato recupero). I saldi della bilancia, a partire dal trimestre primaverile 2001, sono stati in miglioramento nei confronti dello stesso periodo di un anno prima, ma le esportazioni e, soprattutto, le importazioni hanno mostrato una sensibile decelerazione nella loro dinamica tendenziale annua, che dopo l’estate era diventata complessivamente negativa. E’ quanto mettono in evidenza i dati a cadenza mensile sull’interscambio commerciale con i paesi europei ed extraeuropei, in perdita di velocità a causa del freno rappresentato dall’indebolimento della congiuntura internazionale e interna.

La dinamica dei nostri scambi commerciali ha risentito, soprattutto nel primo semestre dello scorso anno, della prolungata stagnazione del commercio internazionale e delle difficoltà della congiuntura nel settore manifatturiero, come risulta dall’andamento fiacco e altalenante della produzione industriale. La bilancia commerciale ha chiuso in attivo i dodici mesi del 2002 per circa 7,8 miliardi di euro, un po’ meno dell’anno precedente (è pari a 9,2 miliardi l’avanzo del 2001), ma i flussi di import-export sono stati in brusca frenata. Le esportazioni hanno continuato a registrare cali tendenziali per diversi mesi, che interessano gran parte dei settori merceologici, e nemmeno le importazioni sono andate granché meglio. I dati più recenti, in particolare, appaiono in controtendenza rispetto ai segnali di ripresa che erano emersi nella fase centrale del 2003. La tenuta del saldo attivo è l’effetto del declino, ma a differenti velocità, di entrambi i flussi di commercio estero.

Le caratteristiche di fondo che hanno determinato la perdita di competitività del made in Italy negli ultimi anni si sono via via accentuate e spiegano la recente tendenza negativa della nostra bilancia commerciale: da un avanzo di 36 miliardi di euro (quasi 70mila miliardi di lire) nel 1996, pari a ben il 4% del Pil, si passa al sostanziale pareggio del 2000, a causa del forte aumento della bolletta energetica, che sale a circa 29 miliardi di euro – nel 2001-2003 essa si attesta, poi, a 26-27 miliardi, per riportarsi a quasi 30 miliardi nel 2004 – e degli effetti del deprezzamento dell’euro sui flussi in valore delle importazioni. Il miglioramento dell’interscambio in quantità è stato così annullato dal notevole peggioramento delle ragioni di scambio. Ma esaurita la spinta della svalutazione, riprende il deterioramento della bilancia commerciale, conseguenza della minore competitività del nostro sistema produttivo, che si manifesta in pieno con l’apprezzamento dell’euro. Le vendite sui mercati esteri favorite dalla concorrenza di prezzo erano, infatti, sostenute fino alla metà degli anni 90 dalle ricorrenti svalutazioni della lira. L’euro, per contro, ha accompagnato la progressiva perdita di quote di mercato dei prodotti italiani, avvenuta soprattutto nei settori tradizionali (tessile-abbigliamento, cuoio e calzature, mobili e articoli per la casa), a vantaggio dei paesi emergenti dell’Asia e dell’Europa orientale. In questi settori, al calo dell’export ha fatto da contraltare un sensibile aumento delle importazioni.

Il Sole 24 Ore
20 gennaio 2005