Commercio estero: bilancia in rosso per il caro petrolio

09/01/2009

Con una crescita tendenziale in valore pari al 3,5% nei primi nove mesi del 2005, le esportazioni italiane verso i paesi dell’Unione europea e quelli extra Ue mostrano un evidente rallentamento rispetto alla positiva dinamica del 2004, rivista al +7,5%; e non riescono a compensare, nello stesso tempo, l’aumento molto più sostenuto delle importazioni (+6,7% nello stesso periodo), soprattutto a causa dell’alto prezzo del petrolio e di numerose materie prime.

A ciò si aggiunge la crescente agguerrita concorrenza proveniente dalla Cina, che interessa ormai gran parte dei prodotti del made in Italy, dal tessile-abbigliamento alla calzature e alla meccanica a minor valore aggiunto. Avanza così il rosso della bilancia commerciale, che nel gennaio-settembre 2005 ha sfiorato i 7 miliardi di euro, in sensibile peggioramento sullo stesso periodo del 2004 (-0,2 miliardi), alimentato da un lato dal deficit energetico (-27,5 miliardi nei primi nove mesi) e, dall’altro, dall’invasione dei prodotti cinesi (-7,5 miliardi il saldo, inferiore solo a quello con l’area Opec). In più, l’industria italiana soffre il calo di competitività sui prezzi rispetto ai partner dell’area euro; si registra, per esempio, una perdita di quote di mercato nei confronti della Germania.

L’export italiano è tornato ad aumentare nel 2004, dopo un biennio 2002-2003 in sensibile flessione per il 2-3% annuo nei dati della contabilità nazionale (-1,5% circa la sola componente merci nelle statistiche Istat). I risultati complessivi del nostro commercio estero hanno infatti seguito, sia pure a distanza, il rafforzamento della congiuntura internazionale e, quindi, della domanda mondiale, trainata dal Nord America e dall’Asia (Cina in testa). E’ un segnale importante, perché avviene in un contesto in cui l’economia europea appare ancora debole e incerta.

Nell’ultimo trimestre dell’anno si è fatto sentire, però, l’effetto del supereuro sui comparti del made in Italy, che rende difficilmente replicabile la notevole accelerazione dell’export registrata nella parte centrale del 2004. Il caro petrolio, a sua volta, ha determinato un sensibile aumento del valore delle merci importate, tale da incidere in misura decisiva sui flussi di interscambio.

E’ peggiorato in particolare, rispetto allo stesso periodo di un anno prima, il saldo commerciale, che ha cambiato di segno (-1,2 miliardi), mentre tornano in affanno le esportazioni, sia verso l’Unione europea ma anche nei paesi extra Ue , dove sono a rischio a causa dell’eccessiva svalutazione del dollaro. La forte crescita dell’economia internazionale ha, dunque, favorito la ripresa delle nostre vendite all’estero, nonostante l’apprezzamento dell’euro e la conseguente erosione dei margini di competitività di prezzo. Questi ultimi fattori stanno, peraltro, determinando una netta contrazione della quota italiana nel commercio mondiale, passata dal 4% a circa il 3% negli ultimi cinque anni, se misurata a valori costanti, con una tendenza che sembra inevitabile nel prossimo futuro e può essere contrastata solo con un riposizionamento strategico dell’industria esportatrice (nei settori dove la concorrenza è soprattutto basata sulla qualità e l’innovazione).

L’andamento del commercio estero italiano aveva mostrato nei dati complessivi del 2003 una marcata debolezza in entrambi i flussi dell’interscambio. Ma il calo più sensibile si è registrato per le esportazioni, che sono diminuite in misura rilevante verso i paesi extraeuropei (-4,8%), mentre hanno continuato a segnare il passo in quelli Ue (+0,5%). Il declino dell’export ha risentito, in particolare, della persistente stagnazione della domanda mondiale e del forte apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, che spiega in gran parte la flessione delle vendite sui mercati extraeuropei.

I soli modesti risultati positivi sono stati messi a segno con i paesi nuovi entrati nella Ue, la Turchia, la Russia e, in Europa, con la Spagna e la Svizzera; mentre le riduzioni più accentuate hanno riguardato gli Stati Uniti, l’America latina e gran parte dei paesi asiatici. La posizione competitiva del made in Italy è, inoltre, minacciata dalla crescente penetrazione delle merci provenienti dalla Cina (e rilevanti per il modello di specializzazione italiano) sui principali mercati di sbocco delle nostre esportazioni. Ne è risultato un forte ridimensionamento del surplus commerciale, sceso nel 2003 ad appena 1,6 miliardi di euro, il saldo positivo più modesto dall’ormai lontano 1992.

Le caratteristiche di fondo che hanno determinato la perdita di competitività del made in Italy negli ultimi anni si sono via via accentuate e spiegano la recente tendenza negativa della nostra bilancia commerciale: da un avanzo di ben 36 miliardi di euro (quasi 70mila miliardi di lire) nel 1996, pari al 4% del Pil, si passa al sostanziale pareggio del 2000, a causa del forte aumento della bolletta energetica, che sale a circa 29 miliardi di euro – nel 2001-2003 essa si attesta, poi, a 26-27 miliardi, per riportarsi a 29 miliardi nel 2004 – e degli effetti del deprezzamento dell’euro sui flussi in valore delle importazioni. Il progresso delle esportazioni in quantità è stato così annullato dal notevole peggioramento delle ragioni di scambio.

Ma esaurita la spinta della svalutazione, riprende il deterioramento della bilancia commerciale, conseguenza della minore competitività del nostro sistema produttivo, che si manifesta in pieno con l’apprezzamento dell’euro. Le vendite sui mercati esteri favorite dalla concorrenza di prezzo erano, infatti, sostenute fino alla metà degli anni 90 dalle ricorrenti svalutazioni della lira. L’euro, per contro, ha accompagnato la progressiva perdita di quote di mercato dei prodotti italiani, avvenuta soprattutto nei settori tradizionali (tessile-abbigliamento, cuoio e calzature, mobili e articoli per la casa), a vantaggio dei paesi emergenti dell’Asia e dell’Europa orientale. In questi settori, al calo dell’export ha fatto da contraltare un sensibile aumento delle importazioni.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
Istat