Cina, assedio alle materie prime

09/01/2009

Joint venture e progetti infrastrutturali tra le strategie di conquista

MILANO • Adesso che la Cina è diventata la “fabbrica” del mondo, e ha un’insaziabile sete di materie prime, per i Paesi produttori di commodities si apre la grande opportunità: diventare la miniera di Pechino e andare al traino del boom industriale cinese. Una scommessa dalla durata incerta, ma ugualmente allettante per molti mercati emergenti, dopo anni di magra.

Da trampolino di lancio funzionano le quotazioni dei prodotti di base, portate in alto, dopo quasi un decennio di piccolo cabotaggio, dalla voracità degli impianti industriali dell’ex Celeste Impero. Ma se non bastasse, arriva in soccorso la strategia della Cina sui mercati ricchi di risorse naturali. Una strategia fatta di accordi e joint venture per sfruttare nuovi giacimenti, o di conquista di quote di partecipazione nel business delle materie prime.

In questo momento, l’obiettivo di diversificare e fidelizzare i fornitori vede in primo piano soprattutto l’America latina, grande serbatoio di risorse naturali. La Cina oggi è il secondo partner commerciale del Brasile subito dopo gli Usa, e prima della Ue. Un balzo in avanti prodigioso, se si considera che solo un anno e mezzo fa Pechino era l’ottavo partner commerciale del Brasile.

Un cambio di marcia evidente anche a livello di leggi e regolamenti: di recente, Pechino ha deciso di accettare l’autocertificazione brasiliana rispetto alla non pericolosità della soia transgenica. Un fatto di rilievo, dietro cui traspare un grande bisogno di prodotti di base. Ed è proprio la soia, che copre il 30% del totale in valore, la principale voce dell’export brasiliano in Cina. Al secondo posto ci sono i minerali di ferro (16%), che rappresentano l’altro grande oggetto del desiderio per l’industria di Pechino: il colosso cinese dell’acciaio, Baosteel, ha in programma una joint venture con la brasiliana Companhia Vale do Rio Doce (Cvrd), leader mondiale del minerale di ferro.

Un accordo che potrebbe vedere protagonista anche la Arcelor, gigante europeo dell’acciaio, per costruire un’acciaieria della capacità di 3,7 milioni di tonnellate, un progetto valutato in 2 miliardi di dollari. Intanto, per sciogliere i nodi delle infrastrutture brasiliane e facilitare l’export di soia e minerali ferrosi, gli investitori cinesi si sono spinti fino a proporre di costruire porti e ferrovie. «Per ora è solo un’idea — osserva l’ambasciatore italiano a Brasilia, Vincenzo Petrone —.

Non è chiaro, inoltre, se si interverrebbe con project financing o con regimi di concessione. Il problema, infatti, è che il Governo brasiliano non ha ancora pronto un quadro normativo per le partnership pubblico-privato». Ma ci sono altri segnali che indicano il forte interesse della Cina per le infrastrutture. Come la candidatura che Pechino ha avanzato in sede Bid, la Banca interamericana di sviluppo, il più grande finanziatore di progetti in America latina.

L’appartenenza alla Bid permetterebbe alla Cina di partecipare alle gare sui contratti per la costruzione di infrastrutture, rafforzando i legami commerciali con una regione che è un grande serbatoio di materie prime: «La decisione di ammettere la Cina — ha detto Enrique Iglesias, presidente Bid — è allo stesso tempo un’opportunità e una sfida per le nazioni dell’America latina: perché la Cina ha una grande capacità di mercato, ma è anche un grande concorrente». Il rischio, infatti, è proprio questo. Che in cambio dell’accesso libero per le materie prime brasiliane, la Cina chieda come contropartita luce verde per i suoi prodotti industriali. Un rischio mortale per l’industria brasiliana che cerca di decollare.

Anche di questo dovrà parlare il presidente brasiliano Lula, che andrà in visita a Pechino a maggio. La sensazione è che il Brasile stia cercando di prendere al volo l’opportunità offerta dalla sete cinese di materie prime, e che poi cercherà di prendere tempo nell’aprire il suo mercato ai prodotti cinesi. Il rischio di offrire ponti d’oro allo sbarco del made in China è alto anche sugli altri mercati dove i progetti cinesi iniziano a farsi strada. In America latina, oltre al Brasile, la Cina ha interessi nella produzione di minerali di ferro in Perù, possiede una partecipazione in un giacimento petrolifero in Ecuador, e sta riattivando una miniera d’oro in Venezuela.

Tra gli altri angoli del mondo dove Pechino sta andando a caccia di metalli, gas e petrolio ci sono l’Australia, la Nuova Guinea, il Vietnam, l’Algeria. E in Cile, la società anglo-australiana Bhp Billiton sta investendo in nuove tecniche di produzione per aumentare il rendimento di Escondida, la più grande miniera di rame del mondo, e riempire di metallo le fauci del dragone cinese. Fino a quando la Cina riuscirà a replicare il miracolo, e a mantenere a galla i prezzi delle materie prime? «La tensione sui prezzi delle materie prime continuerà nei prossimi anni» è il parere di Rustam Minnikhanov, presidente di Tatneft, il sesto gruppo petrolifero russo.

Ma intanto, sullo scenario sudamericano, i giochi non sembrano del tutto fatti per la Cina. «Alla lunga — osserva da San Paolo un diplomatico europeo — sarà interessante vedere la reazione degli Usa. Cinque anni fa l’America latina era il cortile di casa degli Stati Uniti. Adesso, vedere un negoziatore come la Cina venire qui e diventare protagonista in campo commerciale per gli americani può essere uno shock».

Il Sole 24Ore 8/4/2004 ALFREDO SESSA