Brasilia supera Londra ma il futuro resta incerto
20/03/2012
OMERO CIAI
Esportazioni in Cina, crescita e consolidamento di una nuova classe media, grandi risorse naturali. E' questa la miscela che ha spinto il Brasile al sesto posto nella classifica delle maggiori economie del mondo superando la Gran Bretagna. E con la crisi dell'area euro l'anno prossimo potrebbe essere la volta anche della Francia, che secondo le previsioni è destinata a perdere il quinto posto nei ranking del Pil a favore del gigante sudamericano.
Ma è una classifica destinata a subire nuove scosse per l'avvento di altre economie emergenti, come quella indiana, che nelle previsioni crescerà nei prossimi anni ad un ritmo almeno doppio rispetto a quello del Brasile. Infatti mentre festeggia il sorpasso, la maggiore economia dell'America Latina ha già il fiato corto.
Dati recenti ne sono la testimonianza più evidente. Nel 2010 il Pil brasiliano era cresciuto del 7,5 per cento ma nel 2011 l'aumento è stato appena del 2,7 per cento con una brusca frenata nella produzione industriale che, dopo una espansione record (+10,1 percento nel 2010), ha registrato nel 2011 una crescita dell'1,6 percento. E' calato il consumo interno, che è aumentato "solo" 4,1 per cento l'anno scorso rispetto al 6,9 per cento del 2010, mentre sono diminuite le esportazioni ed aumentate le importazioni. Il quadro è incerto e, per i maggiori economisti, il Brasile potrebbe diventare vittima del suo stesso successo e delle riforme strutturali rinviate nell'ultimo decennio.
Il governo di Brasilia è preoccupato perché l'economia nazionale si muove più lentamente rispetto ad altri paesi latinoamericani, come il Perù, e cresce al di sotto della media regionale (+4 per cento del Pil). Altre fonti di preoccupazione sono l'inflazione (6,5 per cento nel 2011) che porta i tassi d’interesse su valori fra il 9,75 e il 12%, cioè molto più alti di tutti i concorrenti, e poi la contrazione delle esportazioni, provocata secondo Brasilia dall'apprezzamento della moneta, il real, sul dollaro. Una conseguenza dell'ingresso di grandi capitali con fini speculativi attirati appunto dagli alti di interesse del denaro.
Agli osservatori internazionali invece preoccupa la scarsa capacità di manovra del governo di Dilma Rousseff. La "presidenta" brasiliana non ha una maggioranza propria in Parlamento e mettere d'accordo gli alleati è un processo lungo e faticoso che, per ora, esclude la possibilità di affrontare e realizzare i grandi interventi necessari per rendere l'economia più competitiva. Così, in mancanza di strategie di ampio respiro, le risposte diventano soprattutto tattiche. La Banca centrale è intervenuta, abbassandolo, sul tasso d'interesse (sceso dal 12 al 9,75 per cento) mentre il governo approva misure protezionistiche per frenare l'assalto di prodotti industriali cinesi o giapponesi e minaccia di rompere il Trattato di libero scambio con il Messico, reo di inondare il mercato interno di auto che costano meno di quelle prodotte in Brasile.
La lunga stagione positiva del Brasile è iniziata con l'aumento dei prezzi delle materie prime e con la domanda cinese. Dal caffè al succo d'arancia, dalla carne al pollo, i settori dell'alimentazione dove il Brasile è il primo produttore al mondo, ma anche ferro e acciaio, soia e rame che sono rapidamente diventate esportazioni privilegiate verso il vorace mercato cinese. Questo, legato alla crescita di una nuova classe media composta da 25 milioni di ex poveri e al conseguente aumento dei consumi, ha creato il circolo virtuoso alla base di un decennio di boom economico.
Adesso per consolidare il sesto posto (il ministro dell'economia Mantega sostiene che presto il suo paese tornerà a crescere ad una media del 5 per cento l'anno) il governo brasiliano punta sul doppio appuntamento internazionale dei mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi, in calendario per il 2016. Ma, scrivono gli analisti, i "colli di bottiglia" creati dallo sviluppo di questi anni andrebbero affrontati con riforme ambiziose capaci di ridurre quello che è già diventato il "costo Brasile": tasse alte per le imprese, mercato del lavoro caro per la scarsità di mano d'opera specializzata, infrastrutture obsolete.
Lo sviluppo ha messo a nudo le debolezze trasformando il paese in un luogo costoso per chi ci vive ma anche per chi ci vuole investire.
Si dice che all'inizio dell'anno scorso, quando è arrivata alla presidenza, Dilma Rousseff fosse convinta che sarebbe stato sufficiente guidare "con il pilota automatico", senza grandi interventi, per ottenere gli stessi risultati degli anni precedenti. Dopo la frenata del 2011 lo scenario è mutato e il futuro dipenderà sempre di più dalle capacità di manovra del governo. Dalla riforma fiscale, all'alleggerimento della pesante burocrazia statale e agli interventi sulla competitività del settore industriale. Ma è più probabile che il governo di Brasilia continuerà, come ha fatto finora, a scegliere azioni che esigano un appoggio relativo da parte del Parlamento. Rischiando di peggiorare con misure protezionistiche le relazioni con i paesi concorrenti, come sta accadendo con il Messico e con l'Argentina, senza sciogliere i nodi dello sviluppo futuro.
Fonte:
La Repubblica