Brasile, scontro Governo imprese

30/08/2013

San Paolo – In Brasile, gli industriali sono sul piede di guerra, insoddisfatti non soltanto nei confronti del Governo in carica, ma anche e soprattutto verso le Authority statali, accusate di ostacolare in ogni modo l'attività imprenditoriale. Si rimprovera l'Amministrazione federale di essere sorda ai loro suggerimenti, e soprattutto di non avere leader e personalità in grado di negoziare e prendere decisioni autonomamente; senza che si passi cioè ogni volta per la supervisione della Presidente Dilma Rousseff, o peggio ancora dal voto del collegio dei Ministri.

Gli appunti mossi alle Autorità garanti sono forse ancora più severi: mentre sul banco degli imputati finiscono la lentezza e l'inefficienza degli organi di controllo, gli industriali farmaceutici passano all'offensiva pubblicando -non senza amara ironia- un documento informativo chiamato 'Demorômetro'. Vi si calcolano i tempi 'biblici' che impiega il Garante del farmaco per autorizzare l'ingresso sul mercato di nuovi prodotti.

Nel Paese sudamericano, lo scenario economico e politico è ben diverso rispetto a quello che poteva immaginarsi all'inizio dell'anno in corso. Non più di sette mesi fa, le prospettive di crescita erano molto più rosee rispetto al panorama attuale: oggi le previsioni sull'aumento del prodotto interno lordo (Pil) -secondo gli analisti- si attestano intorno a quota 2,2 per cento, mentre rispetto a dollaro ed euro, la divisa nazionale è calata ai livelli del marzo 2009.

L'economia verde-oro, beninteso, ha definitivamente superato la precarietà di qualche decennio fa, e ha costruito quelle solide fondamenta sconosciute presso le cosiddette 'Repubbliche delle banane', ricevendo un paio di giorni fa anche gli elogi dell'FMI (Fondo Monetario internazionale): «L'economia brasiliana si sta progressivamente riprendendo dopo il forte rallentamento iniziato alla metà del 2011, e i consumi hanno resistito anche lo scorso anno, grazie ai bassi livelli di disoccupazione e alla crescita dei salari reali».

Si è perso tuttavia quello slancio che aveva fatto gridare al boom e al miracolo economico, mentre anche il quadro politico è confuso e magmatico: l'Esecutivo e l'alleanza che lo appoggia nel Congresso non mostrano più la sicumera di pochi mesi fa, quando le proteste di giugno erano di là da venire, e una tranquilla riconferma dell'attuale classe dirigente sembrava scontata e a portata di mano.

In questo scenario il settore industriale è sempre più inquieto, e scarica inevitabilmente il proprio nervosismo sul Governo, che se non può esser definito debole, appare tuttavia vulnerabile. Come hanno dimostrato -pur nel diverso ambito delle relazioni internazionali- le forzate dimissioni dell'ormai ex Ministro degli Esteri, Antonio Patriota.

E in soccorso all'Esecutivo è sceso di nuovo in campo l'ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che naturalmente conserva una straordinaria capacità di dialogo, non solo col mondo sindacale, ma anche con la controparte imprenditoriale. Così negli ultimi mesi l'ex operaio metalmeccanico ha ufficiosamente svolto un ruolo di tramite tra istituzioni e settore produttivo, raccogliendo lamentele e consigli nelle fabbriche, per poi riferirli ai Ministri competenti.

Un incarico quanto mai necessario, secondo alcuni osservatori, anche per evitare che le aziende -pur di far sentire la loro voce- finiscano per rivolgersi ai singoli parlamentari, e per attivare così lobby improvvisate, capaci di tenere in scacco il Governo. Il prestigio di Lula, però, non può bastare, e l'Esecutivo Rousseff è sotto tiro in primis per l'assenza di negoziatori autorevoli, che non siano solo semplici portavoce della Presidente.

Se, infatti, nei primi mesi del proprio mandato quest'ultima partecipava in prima persona ai colloqui con le parti sociali, in seguito -secondo alcuni per un'indole poco portata alla trattativa- ha gradualmente preferito delegare il titolare dell'Economia, Guido Mantega, e il Ministro della Casa civile, Gleisi Hoffmann. Quest'ultimo è un incarico molto importante, all'interno del Governo di Brasilia: svolge funzioni tipiche del titolare dell'Interno – con l'esclusione di quelle riguardanti l'ordine pubblico – e coordina le attività dei colleghi, come una sorta di Primo Ministro.

Inoltre i singoli Ministri sembrano più interessati a brigare in vista delle elezioni del prossimo anno, piuttosto che per assicurare la buona gestione del proprio dipartimento. E per arginare questo problema, che in piena campagna elettorale potrebbe paralizzare l'attività di Governo, Rousseff starebbe pensando a un maxi-rimpasto, che all'inizio del 2014 dovrebbe coinvolgere quei Ministri (almeno la metà) che danno maggiori segni d'irrequietezza.

«Nel corso delle riunioni tutto è rimandato. Tutto è lasciato dipendere da un fattore esterno, che impedisce risposte tempestive. E noi frattanto navighiamo nell'incertezza», ha dichiarato alla stampa un industriale, ben sintetizzando lo stato dei rapporti tra Governo e imprese. Un rapporto che, come anticipato, è incrinato dalla troppa burocrazia, e soprattutto dalla presenza spesso invasiva delle Authority, i cui vertici sono evidentemente nominati dalla politica.

Del resto, mentre a parole il mondo della politica fa di tutto per invitare le aziende a nuovi investimenti, il Brasile resta saldamente nelle retrovie di tutte le classifiche sulla competitività. Sul banco degli imputati, le varie autorità di controllo: non solo per l'inefficacia e la lentezza del loro operare, ma anche per via della nebulosità dei loro regolamenti, che richiedono consulenti specializzati che ne traducano il significato.

«Anziché investire in ricerca a sviluppo», sostiene Rafael Madke, socio del gruppo RPH, «le imprese devono spendere per assumere consulenti legali, se vogliono adempiere le richieste del Governo». Sulla stampa nazionale si è scritto recentemente dello scontro tra l'Authority in campo sanitario, Anvisa (Agência nacional de Vigilância sanitária), e Interfarma (Assossiação da Industria farmacêutica de pesquisa), l'associazione che rappresenta la locale industria farmaceutica.

Quest'ultima, in testa il Presidente Antônio Brito, fa notare che mentre negli Stati uniti l'autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci, arriva dopo circa quattro mesi, in Brasile il citato 'Demorômetro' registra un tempo medio di attesa di circa due anni ('demorar' in italiano significa 'ritardare'). «Oggi il ritardo per il rilascio delle autorizzazioni è il maggior problema per il mercato farmaceutico brasiliano», conferma Brito.

La situazione non va meglio nel già deficitario settore delle infrastrutture, ove dal 25 giugno uno sciopero dei dipendenti paralizza lo DNIT (Departamento nacional de Infra-estrutura de transportes), e impedisce i via libera per la costruzione di nuove opere. Progetti di vitale importanza restano sulla carta, come nel caso del raddoppio della cosiddetta 'Rodovia da morte' (autostrada della morte), la BR-381 che passa in Minas Gerais.

 

Fontre:

L'Indro

San Paolo – In Brasile, gli industriali sono sul piede di guerra, insoddisfatti non soltanto nei confronti del Governo in carica, ma anche e soprattutto verso le Authority statali, accusate di ostacolare in ogni modo l'attività imprenditoriale. Si rimprovera l'Amministrazione federale di essere sorda ai loro suggerimenti, e soprattutto di non avere leader e personalità in grado di negoziare e prendere decisioni autonomamente; senza che si passi cioè ogni volta per la supervisione della Presidente Dilma Rousseff, o peggio ancora dal voto del collegio dei Ministri.

Gli appunti mossi alle Autorità garanti sono forse ancora più severi: mentre sul banco degli imputati finiscono la lentezza e l'inefficienza degli organi di controllo, gli industriali farmaceutici passano all'offensiva pubblicando -non senza amara ironia- un documento informativo chiamato 'Demorômetro'. Vi si calcolano i tempi 'biblici' che impiega il Garante del farmaco per autorizzare l'ingresso sul mercato di nuovi prodotti.

Nel Paese sudamericano, lo scenario economico e politico è ben diverso rispetto a quello che poteva immaginarsi all'inizio dell'anno in corso. Non più di sette mesi fa, le prospettive di crescita erano molto più rosee rispetto al panorama attuale: oggi le previsioni sull'aumento del prodotto interno lordo (Pil) -secondo gli analisti- si attestano intorno a quota 2,2 per cento, mentre rispetto a dollaro ed euro, la divisa nazionale è calata ai livelli del marzo 2009.

L'economia verde-oro, beninteso, ha definitivamente superato la precarietà di qualche decennio fa, e ha costruito quelle solide fondamenta sconosciute presso le cosiddette 'Repubbliche delle banane', ricevendo un paio di giorni fa anche gli elogi dell'FMI (Fondo Monetario internazionale): «L'economia brasiliana si sta progressivamente riprendendo dopo il forte rallentamento iniziato alla metà del 2011, e i consumi hanno resistito anche lo scorso anno, grazie ai bassi livelli di disoccupazione e alla crescita dei salari reali».

Si è perso tuttavia quello slancio che aveva fatto gridare al boom e al miracolo economico, mentre anche il quadro politico è confuso e magmatico: l'Esecutivo e l'alleanza che lo appoggia nel Congresso non mostrano più la sicumera di pochi mesi fa, quando le proteste di giugno erano di là da venire, e una tranquilla riconferma dell'attuale classe dirigente sembrava scontata e a portata di mano.

In questo scenario il settore industriale è sempre più inquieto, e scarica inevitabilmente il proprio nervosismo sul Governo, che se non può esser definito debole, appare tuttavia vulnerabile. Come hanno dimostrato -pur nel diverso ambito delle relazioni internazionali- le forzate dimissioni dell'ormai ex Ministro degli Esteri, Antonio Patriota.

E in soccorso all'Esecutivo è sceso di nuovo in campo l'ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che naturalmente conserva una straordinaria capacità di dialogo, non solo col mondo sindacale, ma anche con la controparte imprenditoriale. Così negli ultimi mesi l'ex operaio metalmeccanico ha ufficiosamente svolto un ruolo di tramite tra istituzioni e settore produttivo, raccogliendo lamentele e consigli nelle fabbriche, per poi riferirli ai Ministri competenti.

Un incarico quanto mai necessario, secondo alcuni osservatori, anche per evitare che le aziende -pur di far sentire la loro voce- finiscano per rivolgersi ai singoli parlamentari, e per attivare così lobby improvvisate, capaci di tenere in scacco il Governo. Il prestigio di Lula, però, non può bastare, e l'Esecutivo Rousseff è sotto tiro in primis per l'assenza di negoziatori autorevoli, che non siano solo semplici portavoce della Presidente.

Se, infatti, nei primi mesi del proprio mandato quest'ultima partecipava in prima persona ai colloqui con le parti sociali, in seguito -secondo alcuni per un'indole poco portata alla trattativa- ha gradualmente preferito delegare il titolare dell'Economia, Guido Mantega, e il Ministro della Casa civile, Gleisi Hoffmann. Quest'ultimo è un incarico molto importante, all'interno del Governo di Brasilia: svolge funzioni tipiche del titolare dell'Interno – con l'esclusione di quelle riguardanti l'ordine pubblico – e coordina le attività dei colleghi, come una sorta di Primo Ministro.

Inoltre i singoli Ministri sembrano più interessati a brigare in vista delle elezioni del prossimo anno, piuttosto che per assicurare la buona gestione del proprio dipartimento. E per arginare questo problema, che in piena campagna elettorale potrebbe paralizzare l'attività di Governo, Rousseff starebbe pensando a un maxi-rimpasto, che all'inizio del 2014 dovrebbe coinvolgere quei Ministri (almeno la metà) che danno maggiori segni d'irrequietezza.

«Nel corso delle riunioni tutto è rimandato. Tutto è lasciato dipendere da un fattore esterno, che impedisce risposte tempestive. E noi frattanto navighiamo nell'incertezza», ha dichiarato alla stampa un industriale, ben sintetizzando lo stato dei rapporti tra Governo e imprese. Un rapporto che, come anticipato, è incrinato dalla troppa burocrazia, e soprattutto dalla presenza spesso invasiva delle Authority, i cui vertici sono evidentemente nominati dalla politica.

Del resto, mentre a parole il mondo della politica fa di tutto per invitare le aziende a nuovi investimenti, il Brasile resta saldamente nelle retrovie di tutte le classifiche sulla competitività. Sul banco degli imputati, le varie autorità di controllo: non solo per l'inefficacia e la lentezza del loro operare, ma anche per via della nebulosità dei loro regolamenti, che richiedono consulenti specializzati che ne traducano il significato.

«Anziché investire in ricerca a sviluppo», sostiene Rafael Madke, socio del gruppo RPH, «le imprese devono spendere per assumere consulenti legali, se vogliono adempiere le richieste del Governo». Sulla stampa nazionale si è scritto recentemente dello scontro tra l'Authority in campo sanitario, Anvisa (Agência nacional de Vigilância sanitária), e Interfarma (Assossiação da Industria farmacêutica de pesquisa), l'associazione che rappresenta la locale industria farmaceutica.

Quest'ultima, in testa il Presidente Antônio Brito, fa notare che mentre negli Stati uniti l'autorizzazione all'immissione in commercio dei farmaci, arriva dopo circa quattro mesi, in Brasile il citato 'Demorômetro' registra un tempo medio di attesa di circa due anni ('demorar' in italiano significa 'ritardare'). «Oggi il ritardo per il rilascio delle autorizzazioni è il maggior problema per il mercato farmaceutico brasiliano», conferma Brito.

La situazione non va meglio nel già deficitario settore delle infrastrutture, ove dal 25 giugno uno sciopero dei dipendenti paralizza lo DNIT (Departamento nacional de Infra-estrutura de transportes), e impedisce i via libera per la costruzione di nuove opere. Progetti di vitale importanza restano sulla carta, come nel caso del raddoppio della cosiddetta 'Rodovia da morte' (autostrada della morte), la BR-381 che passa in Minas Gerais.

 

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