Brasile, salgono i tassi dei bond in vista dei mondiali
06/01/2014
Per il Brasile, il 2014 sarà ricordato come l’anno dei mondiali di calcio. Magari il Brasile vincerà la coppa del mondo di calcio, ma sicuramente perderà lo scettro di paese emergente simbolo della crescita degli ultimi anni. Il Brasile è infatti in difficoltà economica, anche se i mass media tendono a sminuirne la portata proprio per non allarmare gli investitori e le banche finanziatrici a pochi mesi dalla kermesse calcistica che inizierà il prossimo mese di giugno. Il ritmo delle esportazioni sta diminuendo e i consumi interni rallentano a vista d’occhio sotto il peso di un’inflazione (6,3%) che sta erodendo costantemente il potere d’acquisto di quella esile classe media che aveva fatto credere al miracolo economico del paese carioca. Sotto accusa è finito il presidente Dilma Rousseff che avrebbe dirottato gli investimenti pubblici verso i mondiali di calcio 2014 e le Olimpiadi del 2016, sottraendoli a importanti programmi di riforme, come chiesto più volte dal Fondo Monetario Internazionale. Fattori che risentono anche dei segnali contraddittori inviati dal governo e che hanno finito per scoraggiare gli investitori. Ma a frenare l’espansione del Brasile è anche la debolezza dell’export e il calo degli investimenti internazionali: i capitali tornano da dove erano scappati. Esemplari sono state le manifestazioni di piazza e le tensioni sociali scoppiate lo scorso anno, ma anche il crollo della moneta locale, il real, che in un anno si è mangiato il 23% del proprio valore nei confronti dell’euro e del dollaro. Ma la colpa non è solo della politica interna.
La crescita del Brasile rallenta, i capitali fuggono e la Banca Centrale alza i tassi al 9%
La causa principale del declino brasiliano è dovuta alla crisi economica globale e alla mancanza di riforme, alla corruzione e all’evasione fiscale. Problemi che dovevano essere risolti quando l’economia brasiliana cresceva al ritmo del 7% all’anno e ora sono tornati sul tappeto con maggiore preoccupazione. Nel 2011 il PIL brasiliano è cresciuto “solo” del 2,7 per cento, il secondo peggior risultato dal 2003, mentre nel 2012 è andata ancora peggio, con una crescita dello 0,9 per cento. E anche il 2013 non sarà roseo: nel terzo trimestre il PIL ha registrato un calo dello 0,5% rispetto al secondo trimestre e un +2,2% rispetto al 2012, inferiore alle previsioni del ministro delle Finanze, Guido Mantega. Secondo molti analisti, il modello di sviluppo del Brasile nell’ultimo decennio si è basato sull’espansione dei consumi e quindi del credito: molti brasiliani appartenenti alle fasce più deboli della popolazione hanno potuto comprare macchine, televisioni e altri prodotti che prima non si potevano permettere, migliorando la loro qualità di vita ma raggiungendo livelli di debito non più sostenibili, nonostante siano stati tagliati dal governo i tassi d’interesse. Ma ora che la Banca Centrale quei tassi è stata costretta ad alzarli al 9% per contenere l’inflazione, l’economia del paese si sta avvitando nuovamente su se stessa. Inascoltati sono stati i consigli del Fondo Monetario che aveva chiesto lo scorso anno alla Rousseff “sforzi omnicomprensivi per incrementare la produttività e la competitività, aumentare gli investimenti e il risparmio interno, migliorare il meccanismo di indicizzazione dei salari minimi e continuare a riformare il sistema pensionistico”.
Rendimenti in rialzo per i titoli di stato: a rischio la BBB
Detto questo, molti si chiedono se vale ancora la pena investire in Brasile. Economisti ed esperti sono concordi nel ritenere che l’economia brasiliana tenderà a peggiorare e non saranno certo i mondiali di calcio e le olimpiadi a salvare i conti di Brasilia. Tuttavia, pare che lo scenario peggiore sia ormai scontato nei prezzi dei rendimenti obbligazionari governativi, i cui prezzi sono scesi a livelli più consoni rispetto agli standard abituali del paese sudamericano. Ora tutto dipenderà dalle prossime mosse che il governo farà in campo sociale per difendere le conquiste finora ottenute. Il bond da 3 miliardi di dollari 4,875% con scadenza 2021 (Isin US105756BS83) è trattato a 105 (era a 117 nove mesi fa) e rende il 4,15% lordo a scadenza. Mentre il bond Brasile 12,25% 2030 (Isin US105756AL40) da 1,6 miliardi di dollari viene scambiato a 170 (era a 200 nove mesi fa) e rende il 5,72%. Rendimenti che potrebbero salire qualora l’economia brasiliana confermasse la sua debolezza durante il 2014. L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha, infatti, rivisto da stabili a negative le prospettive di rating del Brasile, mossa che può preludere ad un declassamento in futuro. Peraltro al gigante sudamericano l’agenzia assegna una valutazione già non molto elevata, BBB, e ora si fa sentire anche l’effetto combinato della crescita a rilento del PIL con una politica di bilancio espansionista. Secondo gli analisti americani nel 2013 e 2014 il paese registrerà una crescita del 2,5 per cento relativamente ridotta per una economia emergente.
Obbligazioni in reais BEI 6% 2016 per non correre troppi rischi
Quindi, dal Brasile è opportuno tenersi prudentemente a distanza, soprattutto se si punta su obbligazioni denominate in valuta locale dice John Welch, analista strategico del CIBC World Markets. Questo non significa che i bond brasiliani siano da scartare a priori, anzi, ci sono società, come la petrolifera Petrobras o le compagnie idroelettriche e minerarie che vantano ottimi fondamentali, così come alcune maggiori banche del paese. Sono da preferire le emissioni in dollari, ma per chi proprio volesse scommettere su un rafforzamento del real, il consiglio è quello di stare corti, cioè di scegliere delle obbligazioni a breve scadenza. Come la BEI 6% 2016 (Isin XS0876113373) da 381 milioni di real. L’emittente, come noto, offre le massime garanzie di solvibilità (AAA) e la data di rimborso prevista per il 25 gennaio 2016 dovrebbe limitare i rischi rispetto alla volatilità della valuta.
Il titolo, negoziabile per tagli minimi da 100 reais è scambiato a 93,75 e offre un rendimento lordo del 9,50%. La cedola è fissa e viene staccata il 25 gennaio di ogni anno. L’unico rischio, come detto, è il cambio, per cui è prudente investire una minima parte del proprio capitale e comunque farlo a differenti tappe per ammortizzare eventuali oscillazioni valutarie.
Fonte:
Il Messaggero.it