Brasile, la nuova terra promessa
21/12/2011
Una fila così lunga non s’era mai vista prima. Allo sportello visti dell’ambasciata del Brasile di Lisbona i funzionari non hanno più un attimo di tregua e le richieste di emigrazione formano adesso piccole montagnette di carta da dover essere smaltite. Quando, non si sa. «Siamo al collasso», racconta un dipendente locale che aderisce all’“Operaçao Despertar” che si batte per i diritti dei contrattisti locali. «Noi siamo sempre gli stessi ma le richieste di visti si sono moltiplicate. Il flusso sta diventando ingestibile».
Se prima infatti erano i brasiliani a doversi mettere in coda nella speranza di trovare un lavoro in Portogallo, l’antica madrepatria, adesso sono proprio i portoghesi, tra gli stranieri più numerosi a giocarsi come ultima carta quella dell’emigrazione nella loro ex colonia.
Di fronte alla drammatica crisi economica che sta strozzando Europa e Stati Uniti, il Brasile appare davvero adesso come la terra promessa. Grazie a una crescita economica senza precedenti, col pil che è salito del 7,5 per cento nel 2010, il paese verde-oro si è trasformato in una calamita straordinaria. Secondo i dati dei ministeri della giustizia e del lavoro solo nell’ultimo anno il flusso di immigrati in entrata è aumentato del 52 per cento.
In pole position ci sono gli statunitensi, seguono i portoghesi, i boliviani e gli argentini, facilitati in questo caso anche dalla vicinanza geografica.
In totale un milione e mezzo di immigrati legali, circa lo 0,8 dell’intera popolazione brasiliana, cui si aggiungono i clandestini che secondo le autorità doganali superano le 600mila unità. La città più gettonata rimane Rio de Janeiro, seguita dalla capitale finanziaria San Paolo. Non mancano ovviamente gli italiani. Sono circa 340 le imprese del nostro paese presenti in Brasile, con una crescita netta del 10 per cento registrata nell’ultimo anno secondo i dati forniti dalla Camera di commercio italiana di San Paolo.
Per l’onorevole Fabio Porta, eletto in Brasile nelle fila del Partito democratico, «se nei prossimi anni saranno almeno 7mila gli universitari brasiliani a specializzarsi in Italia, dieci volte tanti saranno gli ingegneri, architetti e informatici italiani che sbarcheranno in Brasile. Un flusso da seguire con attenzione, anche perché potrebbe essere foriero di reciproche opportunità di successo».
Tra gli indotti più d’appeal per i nuovi emigrati in arrivo dall’Italia ci sono Fiat e Tim Brasile, che con i loro fatturati record chiamano a sé tanti italiani esperti del settore. Germano Colombo è un giovane manager italiano di una multinazionale. Insieme a sua moglie Francesca Merico e al loro piccolo Leo sono arrivati da poco a San Paolo dopo aver vissuto in Inghilterra e in Svizzera. «Professionalmente – spiega Colombo a Europa – non smetto di imparare ogni giorno, confrontandomi con una realtà di mercato esplosiva, qualcosa che in Europa oggi è sconosciuto. Siamo felicissimi di vivere in un paese meraviglioso e pieno di stimoli».
Ci sono anche gli artisti. Antonio Barrese è un architetto tra i più famosi di Milano, suo l’Albero di luce esposto nel 2009 al Castello Sforzesco. Da giugno si è trasferito a San Paolo per proporre nuovi progetti artistici inascoltati a casa nostra. «Quello che vorrei è che la mia installazione Flowing River Rio Amazonas, una serie di boe luminose che viaggerano sul Rio delle Amazzoni, diventasse almeno per qualche anno il simbolo del Brasile così come la Tour Eiffel è il simbolo della Francia».
Tra i nuovi immigrati non mancano francesi, inglesi, tedeschi. Souraya Sbeih è una ingegnere parigina di 25 anni, in Brasile dal gennaio 2011 con il gruppo Alstom. «Il mio trasferimento ha suscitato un’ondata di invidia tra i miei amici», racconta sorridendo. Eric Scott invece a Rio ci è arrivato dritto dritto da Manhattan. 54 anni, consulente aziendale, ripete soddisfatto che ha la fortuna di «vivere dove tutto il resto del mondo sogna di andare solo in vacanza».
In Brasile insomma sembra esserci posto davvero per tutti, purché si abbia il desiderio di ricostruirsi una vita. Come Valery Pereux, un panettiere francese che in uno degli stati più poveri del Brasile, il Maranhão, nella capitale São Luis ha trasformato in panetteria un antichissimo palazzo coloniale in rovina. E come nel XIX secolo – quando il Brasile insieme all’Argentina e agli Stati Uniti era davvero esclusivamente meta di emigrazione, soprattutto per noi italiani – nelle più importanti metropoli del paese si stanno ricostituendo i quartieri divisi per etnie.
A San Paolo per esempio gli italiani ricchi e gli statunitensi hanno scelto il centralissimo Itaim Bibi per vivere e lavorare, a due passi dal quartiere finanziario della “City”, mentre il quartiere fatiscente di Bom Retiro, vicino al vecchio centro, è diventato un piccolo ghetto scelto dai nuovi emigrati dalla Grecia, uno dei paesi europei più duramente colpiti dalla crisi. «Il Brasile è un paese grande e giovane», racconta con la voce piena di speranza Christos Andreas Kristelis che in Grecia ha fatto fallimento qualche mese fa, «ho molto da esplorare qui. Incrocio le dita».
Chiunque insomma almeno in Brasile sembra avere ancora il diritto a un sogno, «sia esso uno stipendio competitivo, un lavoro gratificante o una possibilità di carriera», spiega la società di consulenza del lavoro Hays, che cerca manager in tutto il mondo da ricollocare qui. Perché oggi, nell’eldorado Brasile la 24 ore ha preso il posto della valigia di cartone.
Fonte:
Europaquotidiano.it