Brasile, la morte del Rio Doce
01/12/2015
Il fiume è arancione, migliaia di pesci galleggiano sulla superficie. Gamberi e chiocciole d’acqua dolce fuggono il loro ambiente naturale per finire agonizzanti sulla riva, alla ricerca di una impossibile salvezza. I galleggianti a protezione delle sponde e i fossati scavati dall’esercito per deviare lo tsunami di fanghi tossici non sono bastati a evitare la catastrofe. Volontari e pescatori navigano alla ricerca di pozze dove possa essere sopravvissuta qualche forma di vita. Il Rio Doce è morto, la sua biodiversità azzerata, alcune delle specie endemiche che lo popolavano perse per sempre.
È trascorso quasi un mese dal cedimento del bacino di lagunaggio “Fundão” situato a Mariana, città del Minas Gerais vicino a Belo Horizonte. Il crollo di una delle pareti, avvenuta nel primo pomeriggio del 5 novembre durante i lavori di ampliamento della vasca, ha riversato nella sottostante valle di Santarém 62 milioni di metri cubi di fanghi tossici e acque acide di origine mineraria investendo il villaggio operaio di Bento Rodrigues, posto a 2,5 km di distanza. La posizione defilata e la mancanza di un protocollo di emergenza da parte della Samarco Mineração, società titolare della concessione estrattiva, hanno isolato il villaggio, ridotto alle pareti squartate degli edifici rimasti in piedi. I soccorritori hanno potuto raggiungere Bento Rodrigues solamente in elicottero, trasferendo la popolazione nella vicina città di Mariana. Nell’incidente sono morte tredici persone e undici risultano tuttora disperse.
Da Bento Rodrigues l’ondata mortale si è riversata sul Rio Carmo, raggiungendo rapidamente il Rio Doce, principale corso d’acqua del Sud-est del Brasile. Da questo, annichilendo qualunque forma di vita, i fanghi hanno iniziato la loro corsa con destinazione l’Oceano Atlantico, raggiunto due settimane e 600 chilometri più tardi. Il volume di fanghi tossici fuoriusciti della Samarco è di due volte e mezzo superiore a quelli fuoriusciti l’anno scorso dalla miniera canadese di Mount Polley, in quella che finora era considerata la più grave contaminazione ambientale mai avvenuta sulla terraferma.
Come suggerisce il nome, l’economia del Minas Gerais ("Miniere generali" in portoghesi) è fondata sulla ricchezza del suo sottosuolo e in particolare sull’attività estrattiva che rappresenta oltre la metà dell’attività mineraria dell’intero Brasile. Qui nacque nel 1942 la Companhia Vale do Rio Doce, colosso internazionale del settore il cui core business è l’estrazione ed esportazione degli ossidi di ferro che abbondano nel Quadrilatero Ferrifero di cui Mariana rappresenta uno dei vertici.
Pur possedendone la metà, nel sottile gioco di scatole seguito alla privatizzazione, Vale non controlla la Samarco, che risulta nominalmente una joint-venture paritaria con BHP Billiton, società anglo-australiana leader mondiale del settore minerario.
Dopo l’iniziale disconoscimento delle proprie responsabilità nella catastrofe, la pressione dei media – che ne parlano come una “Fukushima brasileira” – e del governo federale hanno obbligato Vale a uscire allo scoperto, rilasciando un comunicato nel quale
ammetteva la fuoriuscita dei fanghi ma escludeva negli stessi la presenza di metalli pesanti. Secondo Vania Somavilla, direttore esecutivo dell’ufficio comunicazione di Vale, la moria nel Rio Doce era imputabile all’eccesso di sedimento che avrebbe letteralmente soffocato la fauna ittica del fiume.
Le dichiarazioni di Vale sono state immediatamente smentite dalle analisi condotte in dodici punti del fiume dall’Istituto di Gestione delle Acque del Minas Gerais. Il rapporto evidenziava concentrazioni record di metalli tossici: il piombo risultava 165 volte superiore al limite legale, l’arsenico 108 volte, il rame 75 e il cromo 57. Inoltre risultavano fuori scala anche nichel, cadmio, manganese e ferro.
Dilma Rousseff, presidente della Repubblica, ha annunciato l’avvio di un piano di recupero a lungo termine del Rio Doce che, nelle prospettive più rosee richiederà oltre dieci anni per tornare in condizioni accettabili. Nel frattempo, il governo federale ha avviato una causa civile da 5,3 miliardi di dollari contro Samarco, Vale e BHP Billiton, destinati a creare un fondo per aiutare gli sforzi di recupero del fiume.
L’ONU ha però criticato anche il governo brasiliano, ritenendo la risposta insufficiente ed esortando le parti a fare quanto in loro potere per evitare ulteriori conseguenze. Nonostante l’ammontare della cifra, ritenuta comunque esigua per aziende il cui fatturato è superiore al PIL di alcune piccole nazioni, il risarcimento non ripristinerà la biodiversità del fiume, andata perduta per sempre, e potrebbe risultare insufficiente a rifondere i danni subiti dalla popolazione del Minas Gerais e degli stati confinanti.
Giunti nell’oceano, i fanghi tossici hanno infatti coperto oltre 70 kilometri delle pescose coste dell’Espíritu Santo, estendendosi per dieci chilometri al largo. In queste ore inoltre c'è grande apprensione per le condizioni meteo nel timore che i venti possano spingere gli inquinanti anche nella riserva naturale delle isole Abrolhos: la marea arancione non si è ancora arrestata.
Fonte: National Geographic Italia