Brasile, la crisi economica fa risorgere tentazioni protezionistiche

11/04/2012

Come sempre generalmente avviene ogni volta che si è in presenza di una crisi, i governi assumono atteggiamenti di chiusura commerciale per difendere l’industria nazionale piuttosto che tentare di risolvere problemi strutturali che  ostacolano lo sviluppo.

Anche il governo brasiliano, negli ultimi tempi, sta cedendo a tentazioni protezionistiche. Nel 2011 la quota dei prodotti importati tra i beni industriali ha raggiunto il 19%, ossia: ogni cinque prodotti del settore comprati in Brasile, dalle tegole per il progetto “Minha Casa, Minha Vida” alle automobili, uno di essi è stato prodotto all’estero.

Malgrado le preoccupazioni di molti imprenditori brasiliani che nell’ultimo ventennio sono cresciuti con la progressiva apertura dell’economia nazionale, siamo ben lontani da tentativi di ritorno al periodo precedente alla cosiddetta “Era Collor”. È bene ricordare che solo con l’arrivo alla Presidenza della Repubblica di Fernando Collor de Mello, all’inizio degli Anni Novanta, il Brasile ha cominciato a importare prodotti dall’estero e a proteggere meno la propria industria.

Alla fine dello scorso anno, si è assistito all’aumento del 30% dell’Imposta sui Prodotti Industrializzati (IPI) per le automobili importate con cilindrata compresa tra i 1.500 cc e i 3.000 cc che non abbiano il 65% del contenuto nazionale o regionale. Sempre nello stesso settore, il Brasile ha intenzione di modificare l’Accordo Automobilistico con il Messico. Il Brasile insiste per la creazione di un meccanismo che limiti le esportazioni messicane di automobili. Dietro l’insistenza, vi è l’argomentazione che produttori cinesi, europei e statunitensi usino il Messico come piattaforma per esportare in Brasile.

Il governo inoltre dovrebbe annunciare la prossima settimana l’aumento dell’aliquota del Cofins (imposta locale denominata Contributo per il Finanziamento della Sicurezza Sociale) per alcuni prodotti importati in circolazione nel mercato brasiliano. In linea di massima, si tratterebbe di 35 prodotti usati per la generazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica. In contropartita, le aziende brasiliane che producono articoli simili ai 35 importati pagheranno solamente l’1% del fatturato lordo al posto della quota relativa alla previdenza sociale finora prevista a favore di ciascun dipendente. Misure simili potrebbero essere estese ad altri settori produttivi.

Tuttavia, l’atteggiamento più chiaramente protezionista e che più fa discutere in questi giorni è senza dubbio l’intenzione da parte del governo brasiliano di rendere la vita impossibile a chi intenda importare vino nel paese. La misura di protezione del vino nazionale è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale locale (Diario Oficial) lo scorso 15 marzo. In essa viene stabilita l’apertura di un’inchiesta per l’applicazione di misure di salvaguardia per il settore. Queste ultime sono misure previste dalla legislazione locale e riconosciute dall’OMC che hanno come obiettivo di proteggere un settore che subisca un danno o una grave minaccia di danno in funzione dell’aumento delle importazioni.

Un dettaglio curioso: attualmente il Brasile applica misure di salvaguardia (in vigore fino alla fine del 2012) solamente per il cocco grattugiato.
Se le misure fossero applicate, il vino importato potrebbe essere seriamente penalizzato da un aumento della tassazione o disciplinato da un sistema di quote (scenario più probabile). I paesi europei produttori (Italia, Francia, Portogallo e Spagna) ne pagherebbero le più serie conseguenze.

Ma i produttori di vino locali non si accontentano e vogliono anche una modifica della lista di eccezioni della Tariffa Esterna Comune del Mercosur, con un aumento delle percentuali dell’imposta di importazione esistente e, per completare il quadro, chiedono la modifica delle etichette dei vini importati con informazioni non presenti nelle etichette originali (ad esempio, la dicitura in portoghese ‘vinho fino’).

 

Fonte:
(ICE SAN PAOLO)