Brasile: fine del miracolo, frenata brusca e tassi in crescita

25/08/2013

Quasi tre anni fa gridava alla guerra delle valute, accusava la Federal Reserve di deprezzare il dollaro e danneggiare le economie emergenti con le sue iniezioni di liquidità e le intimava di adottare una politica monetaria meno aggressiva. Oggi lo scenario per il Brasile è l'opposto, il real che correva senza freni, nel 2013 è la valuta che ha perso di più dopo il rand: negli ultimi tre mesi è scesa del 15% nei confronti del dollaro, mandando all'aria gli sforzi delle autorità monetarie di contenere l'inflazione sotto il 6,5%. Dalla metà del 2011, il calo è del 30%.

Per sostenere il cambio, a differenza di quando accaduto in altre economie emergenti, la banca centrale non ha esitato ad alzare i tassi, portandoli all'8,5% a luglio, con un aumento di 125 punti base rispetto ad aprile, quando, solo tre mesi prima, li aveva al contrario abbassati al minimo storico del 7,25%. L'economia, frenata anche dal crollo dei prezzi delle materie prime e dalla mancata modernizzazione dell'industria, paga dazio e nel 2013 la crescita – dopo l'asfittico +0,9% del 2012 – faticherà a raggiungere anche il 2,5% previsto dall'Fmi, che nel suo ultimo outlook di luglio ha già tagliato le stime di mezzo punto percentuale rispetto alle previsioni di aprile. Venerdì, JPMorgan ha rivisito le sue previsioni sulla crescita del Pil nel terzo trimestre dall'1,5 allo 0,3%.

Nella difesa del cambio, la Banca centrale non ha ancora utilizzato gli interventi diretti sul mercato monetario (a parte l'uso degli swap), tenendo in serbo quello che considera il suo strumento più potente, dall'alto dei 374 miliardi di dollari di riserve valutarie custoditi nei suoi forzieri. A pesare sulla valuta c'è anche il deficit commerciale che nei 12 mesi fino a giugno ha raggiunto quota 72 miliardi di dollari, vale a dire il 3,2% del Pil, rispetto al 2,4% del 2012. Il contagio ha raggiunto anche la Borsa che ha ceduto il 9% dal 22 maggio, anche se nell'ultimo mese è rimbalzata del 6,5%, dimezzando perdite che avevano raggiunto il 20%.

 

Fonte:
Il Sole 24 Ore